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  • Lunedì 27 ottobre 2025

In Argentina le opposizioni devono ripartire quasi da zero

Alla vittoria di Milei alle elezioni di metà mandato corrisponde la sconfitta della coalizione peronista, che non ha proposto un'alternativa convincente

Un poster con gli ex presidenti Néstor e Cristina Kirchner, a Buenos Aires, il 12 giugno 2025. (AP Photo/Natacha Pisarenko)
Un poster con gli ex presidenti Néstor e Cristina Kirchner, a Buenos Aires, il 12 giugno 2025. (AP Photo/Natacha Pisarenko)
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L’inattesa vittoria elettorale di Javier Milei nelle elezioni di metà mandato in Argentina è anche una bocciatura per l’opposizione di centrosinistra, ossia la coalizione peronista Fuerza Patria. Milei, presidente ultraliberista in carica dal 2023, ha impostato la campagna elettorale come una scelta fra il suo modello di paese e un ritorno al passato: è stata una mossa vincente, anche perché gli avversari non hanno saputo proporre un progetto alternativo. Due anni prima delle elezioni presidenziali del 2027 l’opposizione argentina si ritrova frammentata, senza una vera idea del futuro del paese e con una leader, Cristina Kirchner, agli arresti domiciliari e ormai parecchio impopolare.

Milei ha vinto nonostante un consistente calo di popolarità, dubbi crescenti degli elettori sulla sua gestione del paese, due grossi scandali che hanno riguardato lui e la potente sorella Karina e altri scandali minori all’interno del suo partito, La Libertad Avanza. Il Clarín, il quotidiano più diffuso in Argentina e di orientamento conservatore, ha scritto che gli elettori hanno «preferito rinnovare la fiducia al governo, nonostante i costi e le sofferenze, piuttosto che rivivere un passato al quale non sarebbero disposti a tornare».

Il peronismo non ha infatti saputo mostrare nessuna discontinuità rispetto al passato, ritenendo che fosse sufficiente evidenziare storture e limiti delle politiche dell’attuale governo e presentando lo stesso approccio che aveva portato l’Argentina a dover gestire un’inflazione superiore al 200 per cento su base annua, una moneta in continua svalutazione e un deficit pubblico enorme. Milei e la destra argentina hanno avuto vita facile a ricordare agli elettori come solo due anni fa le scelte che definiscono “assistenzialiste” avessero portato a una situazione economica quasi ingestibile.

Javier Milei con un cartello “Il futuro è in libertà”, il 26 ottobre 2025 (Tobias Skarlovnik/Getty Images)

Fuerza Patria è una coalizione espressione del partito peronista che ha segnato gran parte della vita politica argentina negli ultimi ottant’anni, e che ha governato per la maggior parte degli ultimi venti, caratterizzati da una profonda e duratura crisi economica. Il partito fu fondato negli anni Quaranta da Juan ed Eva Perón, ma dagli anni Duemila è stato dominato da un’altra coppia: Néstor Kirchner, presidente fra il 2003 e il 2007 e morto nel 2010, e la moglie Cristina Fernández de Kirchner, che gli è succeduta alla presidenza fino al 2015.

Cristina, come la chiamano tutti in Argentina, è rimasta leader della coalizione anche dopo la fine del suo incarico, e lo è ancora oggi, nonostante sia stata condannata a sei anni di carcere in via definitiva per corruzione.

– Leggi anche: La carriera politica di Cristina Kirchner è finita, almeno per ora

È agli arresti domiciliari e il giudice le ha imposto di usare anche una cavigliera elettronica, ma la sua residenza di via San José 1111, a Buenos Aires, è diventata il centro dell’opposizione a Milei. Kirchner ha incontrato a casa i principali candidati prima delle elezioni e domenica sotto il suo balcone si è raccolta una discreta folla in attesa dei risultati elettorali. C’erano venditori ambulanti di bandiere e magliette e c’erano i chioschi di cibo da strada: Kirchner si è anche brevemente affacciata al balcone, per mostrare la sua delusione, e ha anche ballato al ritmo dei cori.

Kirchner è rimasta al centro del peronismo nonostante la coalizione che guidava avesse perso le ultime due elezioni, quelle del 2021 e del 2023. Ora ha perso anche la terza e i candidati a lei più vicini sono quelli che hanno avuto i risultati peggiori, anche in province considerate favorevoli.

A settembre l’opposizione aveva ottenuto una vittoria che sembrava confortante: nelle elezioni locali per la provincia di Buenos Aires (dove vive il 40 per cento degli argentini) aveva vinto con 14 punti di vantaggio sul partito di Milei. Ci era riuscita puntando sulle difficoltà delle fasce più povere della popolazione, colpite dai tagli di Milei, dalla riduzione dei sussidi, dai licenziamenti e dalla riduzione del potere d’acquisto. In quell’occasione era sembrato emergere anche un nuovo possibile leader e futuro candidato alla presidenza: Axel Kicillof, ex ministro dell’Economia, governatore uscente e riconfermato. In meno di due mesi quei 14 punti percentuali di vantaggio sono svaniti, il partito di Milei ha vinto nella capitale così come in tutte le province più importanti e produttive del paese.

La stessa figura di Kicillof, che aveva guidato la campagna elettorale negli appuntamenti pubblici, ne è uscita ridimensionata. Molti elettori lo considerano troppo vicino alla ex presidente, mentre all’interno del partito esiste un duro confronto che lo vede opposto ai politici più fedeli e vicini a Kirchner: fra questi c’è anche Máximo Kirchner, 48enne figlio di Néstor e Cristina. Dopo la sconfitta è stato imputato a Kicillof di aver voluto separare le elezioni provinciali da quelle legislative, decisione che aveva potuto prendere in quanto governatore.

Axel Kicillof dopo la sconfitta elettorale (AP Photo/Gustavo Garello)

Non è detto che questa pesante e inattesa sconfitta inneschi un cambio radicale nella dirigenza e nelle proposte di Fuerza Patria: molti dirigenti e commentatori la considerano reversibile e non definitiva, anche perché influenzata da fattori esterni.

Da sinistra si dice che il risultato è frutto soprattutto del timore degli argentini nei confronti delle reazioni dei mercati, che negli ultimi mesi avevano mostrato di poter innescare una nuova crisi economica e monetaria nel caso di una prematura fine delle riforme liberiste di Milei. A questo si è aggiunto l’intervento diretto del presidente statunitense Donald Trump, che aveva detto che avrebbe continuato a sostenere l’economia argentina solo in caso di vittoria del partito di governo. In seguito Trump aveva aggiunto che l’Argentina stava «lottando per la sua sopravvivenza», aumentando fra gli elettori i timori di gravi ripercussioni in caso di un risultato che non lo soddisfacesse.

– Leggi anche: Quando Milei è in difficoltà, Trump risponde

Questa lettura è però piuttosto parziale e anche all’interno dell’opposizione c’è chi critica la scelta di fare una campagna solamente “anti Milei”, senza fornire un’alternativa credibile. Questo ha portato a una diffusa disillusione negli elettori, tanto che l’affluenza è stata inferiore al 68 per cento, contro il quasi 78 per cento del 2017 e il 71 del 2021 (in Argentina il voto è teoricamente obbligatorio, ma le multe se non ci si presenta sono inferiori a un euro).

Uno striscione con Néstor e Cristina Kirchner (AP Photo/Mario De Fina)

Esiste quindi una parte crescente dell’elettorato da rimotivare e riconquistare. Non è chiaro se potrà farlo una coalizione ancora guidata da Kirchner e dalla stessa classe dirigente, oppure se esistano i tempi e le possibilità per un cambio radicale.

Nonostante la netta vittoria nemmeno il compito di Milei è semplice: dovrà affrontare le riforme delle leggi sul lavoro e di quelle sulle tasse, ma continuerà a farlo senza una vera maggioranza, cercando il sostegno delle parti più dialoganti delle opposizioni, quelle di centro. La disponibilità al compromesso non è stata finora uno dei punti forti di Milei, che invece ha spesso attaccato e insultato tutti, anche i possibili alleati.

Molto dipenderà dalla situazione economica. Il giorno dopo le elezioni le azioni della società argentine e i titoli obbligazionari dello stato hanno registrato alcuni importanti rialzi, ma gli scorsi mesi hanno mostrato che la situazione può cambiare in fretta e condizionare più che ogni altra cosa il voto degli argentini.