Come funzionano le evacuazioni sanitarie dalla Striscia di Gaza
Sono lente, complicate da Israele e soprattutto troppo poche, anche per la scarsa disponibilità dei paesi occidentali

Nella Striscia di Gaza la situazione delle strutture sanitarie è disastrosa da tempo, e continua a esserlo ancora oggi nonostante il cessate il fuoco. La maggior parte degli ospedali non è più funzionante a causa dei bombardamenti israeliani e decine di migliaia di feriti gravi e di malati cronici non possono essere curati e sono in attesa di essere portati all’estero per ricevere i trattamenti di cui hanno bisogno.
Dall’inizio della guerra meno di 8mila persone sono riuscite a uscire dalla Striscia per ricevere cure mediche. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) più di 15.600 palestinesi sono in attesa di un’evacuazione medica che può salvare loro la vita. Oltre 700 persone sono morte aspettando di essere trasferite e curate altrove.
Il numero delle evacuazioni mediche è stato finora insufficiente soprattutto per due ragioni. Sia perché Israele ritarda o non concede le autorizzazioni all’uscita dalla Striscia, sia perché non si trovano abbastanza paesi, soprattutto occidentali, disposti ad accettare pazienti. Il processo per realizzare le evacuazioni è quindi complesso e lento.
L’ong Medici Senza Frontiere (MSF) e l’OMS hanno raccolto i dati delle evacuazioni mediche completate tra l’inizio della guerra e il 21 ottobre del 2025. Più della metà dei pazienti evacuati è stata accolta dall’Egitto (circa 4.000) e dagli Emirati Arabi Uniti (quasi 1.500), ma in cima alla lista ci sono anche Qatar, Turchia e Giordania.
L’Italia è il paese occidentale che ha accettato più pazienti, 196, nonostante il suo governo non si possa certo considerare tra i più vicini alla causa palestinese. Il contributo di altri invece è stato minimo o nullo: la Spagna ha accettato solo 45 pazienti, il Regno Unito 39, gli Stati Uniti 28, la Francia 27, il Canada 2 e la Germania nessuno, solo per fare alcuni esempi.
La scelta di accettare pazienti spetta ai governi dei paesi riceventi ed è solo politica, tranne in casi estremi in cui non esistono le strutture necessarie per accoglierli.
Le evacuazioni sono state il campo in cui il governo italiano si è mostrato più attivo nel corso degli ultimi due anni della guerra a Gaza. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha rivendicato più volte le azioni in questo campo, favorite da canali diplomatici consolidati, anche legati alla locale Chiesa cattolica, e dal sostegno alle operazioni delle ong, che prosegue spesso anche in Italia.
Le evacuazioni, non solo mediche, sono state anche un modo del governo italiano per rispondere alla crescente pressione dell’opinione pubblica sulla crisi umanitaria in corso a Gaza. Attualmente i palestinesi accolti in Italia sono circa 1.200: oltre a pazienti e familiari sono arrivate persone per ricongiungimenti familiari e all’interno di un progetto di borse di studio per studenti, promosso dalle università italiane.
Per molti pazienti l’evacuazione è l’unica speranza di sopravvivenza. Si parla di persone con ferite gravi da armi da fuoco o da esplosioni, oppure che soffrono di patologie croniche potenzialmente letali come tumori o insufficienza renale. Non possono quindi aspettare che il sistema sanitario della Striscia venga ricostruito e non possono nemmeno essere trasferiti negli ospedali della Cisgiordania, che a loro volta sono in grossa difficoltà per assenza di medici, infermieri, medicine e strutture (Israele comunque permette raramente trasferimenti fra Gaza e la Cisgiordania).

Un intervento chirurgico usando delle torce elettriche come illuminazione, a Beit Lahiya il 19 novembre 2023 (AP Photo/Ahmed Alarini)
La necessità di un’evacuazione medica viene segnalata negli ospedali di Gaza dai medici che riscontrano che non esistono mezzi per portare avanti le cure. Le segnalazioni vengono verificate dal ministero della Salute di Gaza, che indica anche un livello di priorità. La pratica passa poi all’Organizzazione Mondiale della Sanità, che fa ulteriori verifiche, contatta i pazienti e li inserisce in una lista finale che viene sottoposta ai paesi stranieri che potrebbero garantire loro le cure.
I governi dei paesi esteri dichiarano la propria disponibilità ad accogliere un certo numero di pazienti della lista: l’ordine in cui vengono scelti dovrebbe dipendere solo dalla gravità della situazione sanitaria, ma MSF dice che spesso viene data disponibilità per curare bambini e minori, ma è più difficile che venga offerta per adulti e anziani (che pure sono il 75 per cento dei pazienti totali). Il grosso dei costi dell’evacuazione e delle cure è sostenuto dai paesi ospitanti.

Un donna mostra il referto medico di suo figlio, di circa 2 anni, a Deir al Balah il 15 novembre 2024: Israele ha respinto la domanda di evacuazione per curare il cancro alla retina per cui rischia di perdere la vista (AP Photo/Abdel Kareem Hana)
Quando si trova un “paese ospite” la richiesta di trasferimento deve essere approvata da Israele, e in particolare dal Coordinamento israeliano delle attività governative nei Territori (COGAT): non è un passaggio scontato e chi se ne occupa racconta che non è nemmeno prevedibile. Il COGAT spesso nega le autorizzazioni senza dare spiegazioni, usando criteri arbitrari. Quando invece l’autorizzazione arriva, OMS, ministero della Salute e ong si occupano di organizzare i trasferimenti in modo sicuro. Con il paziente quasi sempre parte anche almeno uno dei parenti più stretti, che deve seguire le stesse procedure burocratiche per ottenere i visti.
Per semplificare alcuni processi talvolta le evacuazioni vengono prima effettuate verso paesi come Egitto o Giordania e poi da lì completate verso paesi europei.
I pazienti trasferiti ricevono quasi sempre dei permessi di soggiorno temporanei nei paesi che li accolgono. Alcuni governi impongono il rientro nella Striscia dopo la prima fase della cura, senza prevedere percorsi riabilitativi completi. OMS e ong sottolineano la necessità di garantire un sostegno psicologico e tempi adeguati per completare le cure e la riabilitazione (a volte molto lunga). Chiedono che ai pazienti venga permesso di restare all’estero, se vogliono farlo, ma anche che venga garantito un ritorno sicuro verso Gaza in caso contrario, per evitare che le evacuazioni possano essere vissute come espulsioni forzate.



