Cos’è questa storia dell’aumento della tassa sugli affitti brevi
Il governo prima lo ha inserito nella legge di bilancio, poi lo ha tolto, infine lo ha rimesso in una versione più subdola

Questa settimana sui media si è parlato molto della cosiddetta tassa sugli affitti brevi, dovuta dai proprietari di appartamenti affittati ai turisti attraverso piattaforme online come Airbnb. Il governo vorrebbe aumentarla dal 21 al 26%, ma Forza Italia e Lega si sono detti contrari e pronti a opporsi durante la discussione della legge di bilancio. Il confronto interno ha portato il governo a proporre soluzioni diverse e contraddittorie nel giro di pochi giorni, alimentando molta confusione.
La tassa, intanto, non è una tassa ma un’imposta: le tasse si pagano allo Stato o agli enti locali in cambio di servizi puntuali come la raccolta dei rifiuti, mentre le imposte contribuiscono a sostenere più in generale i servizi pubblici (la sanità, le scuole eccetera). Nel caso degli affitti – lunghi o brevi – da anni il governo ha concesso di pagare l’imposta attraverso la cedolare secca, con un’aliquota fissa, cioè una percentuale fissa sugli incassi degli affitti. Senza la cedolare secca, questo reddito dovrebbe essere sommato a tutti gli altri redditi, da cui poi calcolare tasse e imposte, come l’IRPEF o le addizionali locali dovute alle regioni e ai comuni. Di fatto, la cedolare secca è un modo per semplificare le procedure e per scoraggiare l’evasione fiscale.
La legge ora in vigore prevede per gli affitti brevi un’aliquota base al 26%, ma con la possibilità di scendere al 21% per chi mette in affitto un solo appartamento. Chi affitta due case paga il 21% sulla prima e il 26% sulla seconda. Nella maggior parte dei casi, quindi, lo Stato incassa solo il 21%.
Il governo vorrebbe portarla per tutti al 26%. Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha detto che l’aumento è stato pensato perché negli ultimi anni, soprattutto nelle grandi città, è diventato molto difficile trovare case in affitto, anche per via dell’aumento degli affitti brevi. Il governo spera che l’aumento dell’imposta convinca alcuni proprietari a togliere le case da piattaforme come Airbnb per affittarle a lungo termine.
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Nella prima proposta della legge di bilancio era stato inserito un aumento esplicito e semplice della cedolare secca dal 21 al 26%, a cui però si sono opposti fin da subito sia Forza Italia che la Lega, decisi a tutelare i proprietari. «Noi siamo assolutamente contrari. Faremo di tutto perché il testo sia modificato», ha detto Antonio Tajani, ministro degli Esteri e segretario di Forza Italia.
L’opposizione di due partiti su tre della maggioranza ha portato il governo a rivedere più volte l’aumento, prima cedendo alle pressioni e togliendolo dalla legge di bilancio, e poi reintroducendolo in un modo più subdolo. Nell’ultima versione della legge, quella che verrà trasmessa al parlamento per essere discussa, è stata infatti inserita una nuova regola: è stata mantenuta l’aliquota al 21% solo nel caso in cui gli affitti non vengano gestiti tramite piattaforme online o agenzie di intermediazione. Se anche solo un contratto passa da Airbnb, si dovrà pagare il 26% sugli incassi di tutto l’anno. Va detto che in parlamento, da qui a fine dicembre, la legge potrebbe poi cambiare (anzi è molto probabile che cambi).
Secondo le stime del governo, il 90% dei proprietari mette in affitto le case attraverso piattaforme online, quindi il beneficio rimarrebbe solo per il restante 10%. L’aumento di cinque punti percentuali della cedolare secca per la maggior parte dei proprietari porterebbe nelle casse dello Stato poco più di 102 milioni di euro all’anno.
Lo stratagemma del governo non ha convinto Forza Italia e Lega, che continuano a dirsi contrari. Forza Italia ha detto che presenterà un emendamento per cancellare la norma dalla legge di bilancio, mentre il ministro dei Trasporti e segretario della Lega Matteo Salvini garantisce che l’aumento sarà cancellato durante la discussione in Parlamento.
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