I film di Luca Guadagnino sono meno americani di quanto sembrano

Una spiegazione di come sono pensati, finanziati e distribuiti, ora che è uscito il suo ultimo: “After the Hunt”

Una scena di After the Hunt
Una scena di After the Hunt
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Questa settimana esce al cinema After the Hunt, il decimo film del regista italiano Luca Guadagnino. Ha come protagonisti Julia Roberts, Andrew Garfield e Ayo Edebiri, ed è il perfetto esempio di cosa sono diventati i film di Guadagnino. Si presentano come film americani ma sono pensati e messi in piedi con soldi più che altro italiani, quindi fuori dal sistema statunitense, e con più libertà. Solo in un secondo momento vengono “ingranditi” dalla partecipazione di società straniere e infine acquistati dai grandi distributori americani, che li promuovono e li fanno circolare come si fa con i film hollywoodiani.

Non è sempre stato così: a questa modalità Guadagnino è arrivato dopo che per i primi sedici anni della sua carriera era stato poco considerato dal cinema italiano. Questo accadeva nonostante a quel punto avesse girato quattro film italiani, tre dei quali con Tilda Swinton e uno, A Bigger Splash, con un cast tutto internazionale (oltre a Swinton anche Dakota Johnson, Ralph Fiennes e Matthias Schoenaerts), tutti e tre presentati alla Mostra del cinema di Venezia. Come ricordò il direttore della Mostra Alberto Barbera, uno dei pochissimi a scommettere su di lui fin dal suo primo film: «Ha sempre vissuto ai margini del cinema italiano, seguendo un suo percorso con grande coerenza e facendo solo quello che trovava stimolante».

Fu nel 2017 con il grande successo mondiale di Chiamami col tuo nome che le cose iniziarono a cambiare. Quel film fu prodotto con pochissimo, anche per gli standard dei film di Guadagnino dell’epoca, e dopo una storia travagliata. Guadagnino non era un regista affermato e inizialmente era stato coinvolto in qualità di location scout, cioè la persona esperta incaricata di trovare i posti dove girare il film.

Nei dieci anni necessari a farlo Guadagnino si interessò sempre di più alla storia, lavorò a una versione della sceneggiatura con James Ivory, diventò produttore del film. Come tale cercò qualcuno che potesse dirigerlo, vagliando a un certo punto anche Gabriele Muccino, che non se la sentì, pensando di non essere adeguato. Alla fine lo diresse lui, anche perché nel frattempo era diventato conosciuto. I soldi erano pochi e provenivano principalmente dall’Italia, ma anche dal Brasile, dalla Francia e dagli Stati Uniti. C’era un solo attore un po’ noto, Armie Hammer, e un altro al suo primo ruolo da protagonista: Timothée Chalamet, suggerito dai produttori e subito approvato.

Fino a quel momento Guadagnino aveva fatto film sostanzialmente italiani, ambientati in Italia e recitati in italiano (in Io sono l’amore anche Tilda Swinton recita in italiano) che avevano girato il mondo e si erano fatti notare come tali. Solo A Bigger Splash era stato comprato e distribuito nel mondo dagli americani, ma senza grande successo. Chiamami col tuo nome invece fu selezionato al Sundance Film Festival e fu notato subito da Sony Pictures Classics (divisione della Sony Pictures Entertainment dedicata ai film d’autore) che lo distribuì nel mondo.

Quello di Chiamami col tuo nome è il modo in cui bene o male continua a lavorare anche oggi, seppure con dimensioni maggiori. Parte dall’Italia e ingrandisce il film con capitali stranieri. Con la differenza che ora i film di Luca Guadagnino non vengono più presi da un distributore americano dopo che sono finiti: i grandi gruppi come Amazon/MGM o Sony/Columbia li comprano già nella fase di progettazione, per assicurarsi “il nuovo film di Luca Guadagnino” sulla base del suo nome e del cast.

Rimangono in questo modo produzioni della società di Guadagnino, Frenesy Film, fatte insieme a qualche altra società più grande che può essere italiana (è stato così per Bones and All e Queer, realizzate con The Apartment), o in altri casi americana, come per Challengers o After the Hunt. Tutto questo è facilitato dal fatto che i film che vuole fare sono storie quasi sempre non italiane. Per esempio Queer, uscito nel 2024, è tratto da un romanzo di William S. Burroughs su cui Guadagnino da tempo voleva fare un film. È stato lui a coinvolgere uno sceneggiatore con cui aveva già lavorato, Justin Kuritzkes, e con la sua sceneggiatura ha attirato Daniel Craig per il ruolo da protagonista. Le riprese sono state fatte prevalentemente a Cinecittà e gli unici due produttori sono italiani: Lorenzo Mieli e Luca Guadagnino. Il film è stato poi comprato dalla A24 per la distribuzione negli Stati Uniti e da MUBI per il resto del mondo. After the Hunt, invece, che racconta questioni più scottanti negli Stati Uniti che in Italia, cioè di docenti dell’università americana di Yale che si confrontano con una storia di molestie sessuali forse mai accaduta, è stato girato più che altro a Londra ricostruendo gli interni di Yale e distribuito dalla MGM in America e da Sony nel mondo.

Nonostante quindi il prodotto finale sia un film che per dimensione e circolazione non è diverso da quelli di Wes Anderson, Guadagnino non è un regista italiano che fa film in America, ma uno che li fa dove e come vuole e poi grandi società americane li comprano. Non è l’unico al mondo a procedere così, ma è un caso al momento quasi unico in Italia. È quello che faceva, per esempio, Sergio Leone ed è diverso da quello che hanno fatto altri registi italiani quando hanno girato film internazionali in inglese, come Paolo Sorrentino con This Must Be the Place o Paolo Virzì con Ella & John, che non avevano nessuna partecipazione di società americane. È diverso anche da quello che fece Gabriele Muccino con i suoi quattro film americani, finanziati solo con capitali statunitensi (i primi due addirittura alle dipendenze di una major, la Columbia), o da come sono stati prodotti i due film americani di Stefano Sollima, cioè senza partecipazione italiana.

Quello che regge questo sistema è la capacità di Guadagnino di attirare grandissimi attori e attrici. La presenza di questi nomi a sua volta attira i capitali necessari per pagarli e creare un budget adeguato alla circolazione mondiale. Per esempio l’appoggio della MGM per Challengers arrivò quando stavano discutendo della distribuzione del film precedente di Guadagnino, Bones and All, e lui menzionò di stare lavorando a “una storia sexy sul tennis con Zendaya”, cioè una delle star più richieste di quel momento. È una capacità che Guadagnino possiede dall’inizio della sua carriera. A fine anni Novanta approcciò Tilda Swinton, venuta a Roma per una retrospettiva che proiettava un film in cui lei recitava, Caravaggio di Derek Jarman, così la conobbe, tra i due si creò un legame e questo gli consentì di proporle il suo primo film, The Protagonists, e poi diversi altri che hanno fatto in seguito.

È stato anche per questa sua particolare maniera di muoversi fuori dalle convenzioni del cinema italiano, evitando i passaggi che seguono di solito i registi italiani, che Guadagnino è stato a lungo poco considerato. In Italia lo ha sostenuto fin dagli inizi solo Bernardo Bertolucci, anche lui regista italiano che ha lavorato molto con attori internazionali e in produzioni mondiali.

Uno dei film che Guadagnino ha ora in progetto, e che potrebbe essere il prossimo che farà, è Camere separate, tratto dal romanzo di Pier Vittorio Tondelli. Come per gli altri, anche questo è al momento un progetto unicamente italiano ma, se le cose andranno come per i film precedenti, è probabile che quando sarà annunciato il cast si uniranno società internazionali o possibilmente americane, aumentando il budget.