Stellantis investirà 13 miliardi di dollari negli Stati Uniti

È l’ultimo esempio di come il gruppo stia puntando su zone fuori dall’Europa e soprattutto dall’Italia

Auto in uno stabilimento statunitense di Stellantis (AP Photo/Charles Rex Arbogast)
Auto in uno stabilimento statunitense di Stellantis (AP Photo/Charles Rex Arbogast)
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Martedì Stellantis ha annunciato che nei prossimi quattro anni investirà 13 miliardi di dollari negli Stati Uniti, con l’obiettivo di assumere 5mila lavoratori e di potenziare la produzione e gli impianti. Stellantis è l’azienda automobilistica creata nel 2021 dalla fusione tra PSA (ex Peugeot Citroen) e FCA, che a sua volta nacque dall’unione della statunitense Chrysler e dell’italiana Fiat.

L’azienda è in crisi da tempo, soprattutto in Italia, dove l’annuncio probabilmente verrà accolto male da sindacati e da una parte della politica, perché nonostante i profondi legami con il territorio e l’indotto l’azienda sta disinvestendo da anni, delocalizzando, fermando gli impianti, mettendo in cassa integrazione i dipendenti, e in definitiva sfruttando le risorse pubbliche per finanziare una crisi a cui non sembra aver intenzione di dare una soluzione. Tutto questo mentre promette ai governi di rilanciare gli stabilimenti e il mercato, promesse costantemente disattese.

I toni entusiasti dell’annuncio sono stati condivisi dalle testate del gruppo GEDI, come Repubblica e La Stampa, di proprietà della famiglia Elkann che possiede anche una cospicua quota in Stellantis. Il leader di Azione Carlo Calenda, che da ex ministro dello Sviluppo economico interviene spesso sull’argomento, ha già scritto su X incalzando il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso.

L’azienda ha presentato il piano parlando dell’investimento «più significativo nei 100 anni di storia dell’azienda negli Stati Uniti», e l’amministratore delegato Antonio Filosa ha detto che servirà a stimolare la crescita e a portare «più posti di lavoro americani negli stati che consideriamo la nostra casa». Filosa è italiano, ma ha passato gran parte dei suoi 25 anni in Fiat fuori dall’Italia, e prima di diventare amministratore delegato di Stellantis era capo delle attività del gruppo negli Stati Uniti.

Antonio Filosa a giugno (ANSA/US STELLANTIS)

Questo investimento è un modo per ingraziarsi il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che tra le sue prime misure ha imposto dazi all’importazione di auto e componenti, ma si era anche mostrato disponibile a garantire eccezioni alle aziende che avrebbero investito per riportare la produzione negli Stati Uniti.

Già altre aziende del settore hanno fatto lo stesso, come Ford e General Motors. Questi 13 miliardi di Stellantis serviranno a potenziare gli stabilimenti di Ohio, Michigan e Indiana, oltre che a riaprire uno stabilimento chiuso in Illinois. Riportare lì le produzioni dal Messico e dal Canada richiede non solo un investimento, ma anche un aumento dei costi nel lungo periodo, che l’azienda spera comunque di compensare con cinque nuovi modelli e un aumento della produzione del 50 per cento nei prossimi quattro anni.

Del resto Stellantis punta molto sul mercato statunitense, anche per compensare l’enorme crisi dell’auto che c’è nei paesi europei. Le prospettive sono molto peggiori in Italia: qui nei primi nove mesi di quest’anno la produzione di Stellantis si è ridotta del 31,5 per cento; finora, secondo le stime dei sindacati, sono stati prodotti circa 265mila veicoli e si prevede che arriveranno entro la fine dell’anno a 310mila, molto lontani dal milione di vetture che l’ex amministratore delegato Carlos Tavares aveva promesso al governo entro il 2030. Circa metà dei lavoratori degli stabilimenti italiani è in cassa integrazione. Stellantis ha iniziato a fermare la produzione anche in altri stabilimenti europei.

Sono evidenti le ragioni dell’investimento negli Stati Uniti, ma «è anche evidente che toglierà risorse ai paesi europei», dice Giorgio Airaudo, segretario generale della CGIL di Torino. Che un amministratore delegato italiano potesse garantire “l’italianità” del gruppo è stata un’illusione, visto che l’allontanamento dall’Italia è sempre più evidente, dice. Nel prossimo incontro tra Filosa e i sindacati, che avverrà lunedì 20 ottobre, i rappresentanti dei lavoratori chiederanno garanzie occupazionali e cercheranno di capire quali sono le reali intenzioni del gruppo per quanto riguarda l’Italia. Per esempio non è chiaro cosa ne sarà del cosiddetto “Piano Italia”, firmato dall’azienda e dal governo italiano lo scorso dicembre e che prevede investimenti e nuove produzioni negli stabilimenti italiani.

Nonostante per ora si stia vedendo poco di questo piano, il dirigente di Stellantis e CEO di Maserati Jean-Philippe Imparato ha detto che sarà «assolutamente rispettato».

Filosa e John Elkann a Torino (ANSA/UFFICIO STAMPA)

I rapporti tra il governo e Stellantis sono stati sempre abbastanza tribolati. Meloni e i suoi ministri rimproverano all’azienda la scarsa volontà di investire in Italia; Tavares e John Elkann (presidente del gruppo e rappresentante della famiglia che storicamente ha posseduto e diretto la Fiat) hanno dal lato loro sempre detto che manca un contesto normativo, burocratico e politico che consenta o agevoli quegli investimenti.

Le pretese del governo si basavano sul fatto che prima la Fiat e poi Stellantis avevano beneficiato per anni di finanziamenti statali, e anche ora ricevono il sostegno dello Stato per garantire i lavoratori con la cassa integrazione. Peraltro non è la prima volta che Stellantis annuncia investimenti in altri paesi: era già successo con il Marocco, dove verrà trasferita la produzione proprio di alcuni modelli prima costruiti in Europa, e anche quella volta in Italia c’erano state reazioni dure.

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