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  • Mercoledì 15 ottobre 2025

Cosa dicono i leader quando pensano di non essere ascoltati

I “fuorionda” sono frequenti e spesso sconvenienti: qualcuno dice che un collega «è un bugiardo», altri che i problemi della NATO partono dalla cucina

Barack Obama e Nicolas Sarkozy insieme ad altri leader alla riunione della NATO a Lisbona, nel 2010 (Sean Gallup/Getty Images)
Barack Obama e Nicolas Sarkozy insieme ad altri leader alla riunione della NATO a Lisbona, nel 2010 (Sean Gallup/Getty Images)
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La riunione di lunedì a Sharm el Sheikh, in Egitto, è stata soprattutto un grande show di Donald Trump a cui ha partecipato anche una trentina di leader internazionali. Trump ha parlato con tutti in una cerimonia pomposa e a tratti piuttosto caotica: tra un incontro e l’altro ci sono stati anche due episodi di dialoghi privati che sono diventati pubblici, perché i leader non sapevano di avere i microfoni aperti e quindi di essere registrati.

Sono quelli che i media anglosassoni chiamano “hot mic” e che da noi vengono definiti “fuorionda”: sono diventati più frequenti con Trump, che anche nelle comunicazioni ufficiali ha dismesso molti filtri, ma in politica hanno una lunga storia.

Lunedì l’episodio più problematico è stato il dialogo fra Trump e il presidente indonesiano Prabowo Subianto, che ha chiesto a Trump di poter parlare con suo figlio Eric «o anche con Donald Junior» (un altro figlio di Trump). Sono entrambi dirigenti della Trump Organization, l’azienda che riunisce i molti affari del presidente statunitense e della sua famiglia. Trump ha assicurato a Prabowo che lo avrebbe fatto chiamare, e Prabowo è stato sentito parlare della necessità di «trovare un nuovo posto». I media statunitensi hanno collegato il dialogo ad alcuni investimenti immobiliari della Trump Organization a Giacarta e Bali, in Indonesia, e hanno ricordato la nota ed estesa commistione fra affari pubblici e privati di Trump.

Sempre lunedì durante una pausa il primo ministro canadese Mark Carney ha fatto notare a Trump, in tono scherzoso, che qualche minuto prima lo aveva chiamato «presidente del Canada». Trump ha risposto: «Almeno non ti ho chiamato governatore». Si riferiva a quando, alcuni mesi fa, iniziò a chiamare “governatore” l’allora primo ministro canadese Justin Trudeau, sostenendo che il Canada dovesse diventare il 51esimo stato statunitense (e quindi il suo leader sarebbe stato un semplice governatore, e non un primo ministro autonomo: ma era una proposta assurda e irrealizzabile).

A inizio settembre, durante la gigantesca parata militare organizzata a Pechino, tre leader erano stati ascoltati durante una conversazione che pensavano privata. Il presidente cinese Xi Jinping, quello russo Vladimir Putin e il leader nordcoreano Kim Jong Un parlarono della possibilità di vivere oltre i 150 anni, o per sempre. Tutti e tre sembrarono molto convinti di avere ancora una lunghissima vita davanti (Xi Jinping ha 72 anni, Putin 73 e Kim Jong Un dovrebbe averne 41, ma non c’è certezza sulla sua data di nascita).

Nel 2024 il presidente statunitense Joe Biden parlando con i primi ministri Narendra Modi (India), Fumio Kishida (Giappone) e Anthony Albanese (Australia) disse loro che la Cina stava «mettendo alla prova in modo aggressivo gli Stati Uniti» in tutta la regione dell’Asia meridionale. La frase, diventata pubblica, rischiò di creare problemi diplomatici.

L’ex presidente statunitense Barack Obama e quello francese Nicolas Sarkozy furono molto più diretti in una conversazione colta dai microfoni nel 2011 durante il G20 di Cannes (il G20 è la riunione a cui partecipavano venti dei paesi più industrializzati al mondo). Riferendosi al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, Sarkozy disse: «Non lo sopporto, è un bugiardo». Obama gli diede ragione, lamentandosi di doverci avere a che fare «ogni giorno».

Qualche anno prima un altro presidente francese, Jacques Chirac, se la prese con la cucina britannica. Era a cena con il presidente russo Vladimir Putin e con il cancelliere tedesco Gerhard Schröder, dopo una riunione del G8 in Scozia del 2005. Disse dei britannici: «Non ti puoi fidare di gente che cucina così male». Quando fu servito dell’haggis, un insaccato tradizionale della cucina scozzese, disse: «È qui che nascono i problemi della NATO». Nello stesso dialogo parlando del Regno Unito disse anche: «L’unica cosa con cui hanno contribuito all’agricoltura europea è la malattia della mucca pazza».

Probabilmente il peggiore dei fuorionda fu quello di Vladimir Putin in un incontro del 2006 a Mosca con il primo ministro israeliano Ehud Olmert. Credendosi in un incontro privato senza microfoni si mise a fare battute sulle accuse di stupro rivolte al presidente israeliano Moshe Katsav da alcune sue ex dipendenti, dicendo: «Non pensavo che potesse gestire dieci donne. Ci ha sorpreso. Lo invidiamo tutti».

Anche la politica italiana ha una lunga tradizione di fuorionda: l’ultimo a livello internazionale è quello di agosto della presidente del Consiglio Giorgia Meloni. A Washington, parlando con il presidente finlandese Alexander Stubb della predisposizione di Trump a rispondere alle domande dei giornalisti, disse: «Io non voglio mai parlare con la mia stampa».

Più lungo e articolato fu il discorso con cui nel 2019 Giuseppe Conte, primo ministro di un governo sostenuto dal Movimento 5 Stelle e dalla Lega, cercò di spiegare alla cancelliera tedesca Angela Merkel le posizioni dei due partiti di maggioranza sulle politiche migratorie e i rapporti con gli altri paesi europei. Conte assicurò di essere in grado di far smettere di litigare i due partiti e disse che Salvini era «contro tutti, Francia e Germania», mentre il Movimento era contro la Francia ma a favore della Germania. Merkel sembrò perplessa e commentò: «Mi sembra un approccio molto semplicistico».

Conte nella sua prima esperienza politica (era sostanzialmente sconosciuto prima di diventare presidente del Consiglio, nel 2018) fu protagonista di vari fuorionda, soprattutto durante le audizioni alla Camera e nelle interazioni con il leader del Movimento 5 Stelle Luigi Di Maio, che gli diceva cosa poteva dire o gli cercava gli appunti dei discorsi.

Uno dei fuorionda più noti della politica italiana fu quello del 2009 di Gianfranco Fini. Era presidente della Camera e leader di Alleanza Nazionale, partito di destra alleato di Forza Italia nel governo guidato da Silvio Berlusconi. I microfoni registrarono un suo dialogo con il procuratore Nicola Trifuoggi proprio su Berlusconi. Fini diceva: «L’uomo confonde il consenso popolare che ovviamente ha e che lo legittima a governare, con una sorta di immunità nei confronti di qualsiasi altra autorità di garanzia e di controllo (…). Confonde la leadership con la monarchia assoluta». Furono dichiarazioni involontarie molto riprese, anche perché coincidevano con quello che da anni le opposizioni dicevano di Berlusconi.

Di altra natura, ma altrettanto popolare, fu il fuorionda del presidente della Repubblica Sergio Mattarella durante la pandemia di Covid-19, nel primo lockdown. Quando un collaboratore gli fece notare che aveva un ciuffo di capelli fuori posto, Mattarella rispose: «Eh Giovanni, non vado dal barbiere neanche io».