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  • Mercoledì 8 ottobre 2025

Ilaria Salis può essere processata in Italia?

In teoria sì, ma ovviamente c'è di mezzo la politica

(EPA/OLIVIER HOSLET/ANSA)
(EPA/OLIVIER HOSLET/ANSA)
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Ora che il parlamento europeo ha mantenuto l’immunità parlamentare per l’eurodeputata italiana Ilaria Salis, si sta discutendo della possibilità che venga processata in Italia, anziché in Ungheria, come lei stessa chiede da tempo.

Salis, che fa parte del partito italiano Alleanza Verdi e Sinistra e del gruppo La Sinistra al parlamento europeo, è accusata in Ungheria di aver aggredito dei neonazisti a una manifestazione di estrema destra a Budapest nel 2023, cosa che lei ha sempre negato: il governo ungherese aveva chiesto al parlamento europeo di revocarle l’immunità proprio per poterla processare (e secondo Salis come ritorsione contro le sue critiche al governo ungherese e al suo primo ministro Viktor Orbán).

L’immunità parlamentare che Salis ha mantenuto impedisce l’avvio di un processo nei suoi confronti in Ungheria, ma non in Italia, il suo paese d’origine: Salis vuole essere processata qui perché ritiene di poter godere di un processo equo, cosa che secondo lei non accadrebbe in Ungheria, un paese governato in maniera semiautoritaria, molto duro con gli oppositori politici e in cui la magistratura non è indipendente. Secondo Salis in Ungheria la sentenza nei suoi confronti sarebbe «già scritta».

A livello legale ci sono due norme che rendono possibile un processo contro Ilaria Salis in Italia per i fatti avvenuti in Ungheria. Il primo è l’articolo 9 del codice penale italiano, che prevede che un cittadino italiano possa essere punito in Italia per alcuni tipi di reati commessi all’estero; il secondo è l’articolo 9 del protocollo numero 7 sull’immunità degli europarlamentari, un trattato europeo.

Il trattato dice due cose: che un europarlamentare che gode dell’immunità non può essere perseguito penalmente in uno stato diverso dal suo (quindi, tradotto, che Salis non può essere processata in Ungheria), e che nel suo paese d’origine gode dello stesso tipo di immunità garantita ai membri del parlamento nazionale.

Nel caso di Salis, cioè di una cittadina italiana, questo significa che lei non può essere processata per presunti reati commessi nell’esercizio delle sue funzioni, ma può esserlo per reati che non hanno a che fare con il suo incarico: quindi potrebbe essere processata per le presunte aggressioni di cui è accusata in Ungheria. Per farlo non serve l’autorizzazione del parlamento (servirebbe solo se venisse arrestata, detenuta o sottoposta ad altre misure restrittive, ma non per l’avvio di un processo).

L’avvio di un processo contro Salis in Italia richiederebbe però alcuni passaggi obbligati che non dipendono solo da aspetti procedurali, ma coinvolgono anche valutazioni molto politiche. Anzitutto il fatto che un eventuale processo in Italia contro Salis dovrebbe iniziare su richiesta del ministero della Giustizia, che dovrebbe chiedere di procedere alla procura competente (in questo caso di Milano, città in cui Salis risiede).

Salis ha chiesto più volte di essere processata in Italia e anche il senatore e leader di Azione Carlo Calenda ha rivolto un’interrogazione parlamentare al ministro della Giustizia Carlo Nordio perché proceda in questa direzione: una prima incognita è se effettivamente il ministero della Giustizia voglia chiedere il processo di Salis in Italia. Finora non c’è stato nessun indizio che possa essere così, anzi: il governo di destra di Giorgia Meloni si è mostrato sempre molto indisponibile a questa ipotesi, e i partiti di governo si sono schierati contro il mantenimento dell’immunità di Salis (almeno pubblicamente: nel voto al parlamento europeo è probabile che qualcuno abbia votato per confermare l’immunità di Salis, contro le indicazioni di partito).

Normalmente il trasferimento di un procedimento penale da uno stato europeo all’altro prevede una serie di requisiti e azioni di cooperazione tra i due paesi, variabili a seconda dei singoli casi: queste azioni sono regolamentate da una direttiva del 2014, e comprendono per esempio la collaborazione per la raccolta delle prove per formulare l’accusa (la procura italiana dovrebbe andare a chiedere documenti e informazioni a quella ungherese). Ci sono casi in cui l’altro paese può negare la propria cooperazione: su Salis non sembrano esserci particolari ragioni giuridiche per farlo, ma d’altra parte potrebbero essercene di più “politiche”, visto che il suo caso è diventato molto discusso e anche i membri del governo ungherese si sono spesso espressi pubblicamente dicendo di volerla processare in Ungheria (anche con toni piuttosto violenti).

Su Salis c’è anche un’altra incognita sull’eventuale inizio di un processo in Italia. Durante l’ultima udienza per il suo caso a Budapest, in Ungheria, il giudice ungherese Jozsef Sos aveva detto che il procedimento penale a carico di Salis sarebbe stato annullato nel caso in cui (come poi è successo) l’immunità non le fosse stata revocata, per poter procedere contro i due cittadini imputati insieme a lei.

Il voto al parlamento europeo per mantenere l’immunità di Salis c’è appena stato e la magistratura ungherese per ora non ha dato notizie sull’intenzione o meno di annullare il procedimento contro Salis. In ogni caso la magistratura italiana potrebbe avviarne uno nuovo, sempre sulla base dell’articolo 9 del codice penale: Salis, in quanto cittadina italiana, potrebbe essere perseguita e punita per un reato comune compiuto all’estero. Questo vale sia nel caso in cui venisse annullato il processo in Ungheria, sia se non venisse annullato: poi servirebbe sempre la cooperazione tra le procure dei due paesi per condividere i documenti delle indagini.

Se si aprisse un’indagine su Salis in Italia, secondo il suo avvocato Eugenio Losco è probabile che venga accusata del reato di lesione personale contro i militanti neonazisti in Ungheria: è un reato punibile con la reclusione da sei mesi a tre anni, a cui sempre secondo il suo avvocato potrebbero aggiungersi aggravanti legate al contesto in cui le presunte lesioni sarebbero state compiute.

Salis, come detto, è accusata di aver fisicamente aggredito alcuni militanti neonazisti tra il 10 e l’11 febbraio del 2023 a Budapest, dove migliaia di militanti di estrema destra da tutta Europa erano arrivati per festeggiare il Giorno dell’onore (Tag der Ehre), la celebrazione di un battaglione nazista che nel 1945 tentò di impedire l’assedio di Budapest da parte dell’Armata Rossa. Salis era stata arrestata qualche giorno dopo insieme ad alcuni militanti antifascisti tedeschi: ha sempre detto di essere innocente e di aver partecipato a contro-manifestazioni pacifiche che si erano tenute nel corso della giornata, senza aggredire nessuno. In Ungheria rischierebbe fino a 24 anni di carcere: la procura ne aveva chiesti 11.

Michele Caianiello, professore ordinario di Diritto processuale all’università di Bologna, dice che se anche l’Ungheria annullasse il procedimento penale contro Salis, a lei converrebbe essere processata in Italia. «In Italia godrebbe di un processo giusto e, soprattutto, a quel punto l’Ungheria non potrebbe più riaprire in futuro un processo nei suoi confronti alla fine del suo mandato da europarlamentare, quando non avrebbe più l’immunità», dice Caianiello.

Il principio del diritto internazionale per cui questo non potrebbe accadere è quello del cosiddetto “ne bis in idem”, che significa, in poche parole, che una persona non può essere processata due volte per lo stesso reato. Nel caso in cui l’Italia non processasse Salis, alla fine del suo mandato (nel 2029) la magistratura ungherese potrebbe citarla nuovamente in giudizio per i fatti del febbraio del 2023.