Una fusione bancaria che è diventata un caso politico in Spagna
Una delle più grosse banche del paese sta provando a comprarne una radicata in Catalogna, che non vuole saperne

In questi giorni in Spagna si parla moltissimo di una possibile fusione bancaria, che oltre a grosse implicazioni economiche ne ha anche di politiche. L’operazione riguarda la seconda e la quarta banca del paese, rispettivamente BBVA e Banco Sabadell, la principale della Catalogna. L’eventualità che una banca come Sabadell, nata e molto radicata in una regione con storiche istanze indipendentiste, sia acquistata da un grosso gruppo multinazionale con sede a Madrid ha caricato l’operazione di significati simbolici, anche perché i dirigenti di Sabadell non ne vogliono sapere e il governo si è timidamente schierato con loro. Peraltro ci siamo quasi: l’Offerta pubblica di scambio (OPSC) di BBVA scade venerdì.
Una OPSC prevede uno scambio di azioni, come suggerisce il nome, e funziona solo se gli azionisti della banca “obiettivo” aderiscono all’offerta, quindi accettano diventando così azionisti dell’altra banca: per farlo devono ritenere sia che lo scambio sia profittevole (quindi che guadagneranno azioni per un valore superiore a quelle che hanno già), sia che diventare azionisti dell’altra banca sia una buona idea per il futuro (quindi credere per esempio alle sue prospettive di crescita e al suo modello di business).
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BBVA offre una propria azione in cambio di 4,8376 azioni di Sabadell (le azioni di BBVA valgono molto di più di quelle di Sabadell, essendo una banca più grande). L’offerta iniziale era stata presentata a maggio del 2024 ma nella seconda metà di settembre BBVA l’ha modificata e aumentata del 10 per cento, per renderla più allettante per via dell’aperta contrarietà della controparte, portando il valore della proposta di acquisto a quasi 17 miliardi di euro.
È la seconda volta che BBVA ci prova, dopo una prima nel 2020. I dirigenti di Sabadell si sono sempre opposti e il consiglio d’amministrazione ha ritenuto insufficiente anche l’offerta aggiornata: come detto però l’esito dipende solo dagli azionisti, di cui i consiglieri sono solo dei delegati.

La sede della BBVA a Madrid, il 3 ottobre (Ricardo Rubio/Contacto via ZUMA Press)
In questi giorni BBVA e Sabadell si sono attaccate a vicenda, con toni ancora più accesi, in quella che il País ha definito «la guerra delle cifre». È abbastanza normale che le offerte pubbliche siano così battagliere, quando non sono concordate: per esempio, in Italia è stato così per quella con cui recentemente il gruppo MPS è riuscito a comprare Mediobanca, dopo che quest’ultima aveva messo in piedi una campagna pubblicitaria molto aggressiva per scoraggiare gli azionisti e un piano di acquisizione alternativo.
Sia BBVA che Sabadell si sono rivolte all’autorità garante della borsa, come spesso avviene in questi casi. L’amministratore delegato di BBVA, Onur Genç, ha accusato Sabadell di fare disinformazione sulle condizioni della OPSC, sostenendo che gli impiegati delle filiali stessero ostacolando l’adesione degli azionisti all’offerta. Sabadell ha smentito e ha chiesto all’autorità garante della borsa di intervenire contro le «manipolazioni del mercato».
Lo scontro è traboccato in un’insolita campagna pubblicitaria. Sabadell ha diffuso uno spot in cui gioca sul giorno di San Giorgio (Sant Jordi), la festività del patrono della Catalogna che secondo la leggenda uccise un drago. Il video, in lingua catalana, parla del ritorno di un «drago insaziabile» accostandolo alla banca rivale. BBVA invece ha fatto una campagna con toni più concilianti, centrata sui vantaggi della fusione.
L’uso della lingua catalana nello spot non è casuale e serve a enfatizzare, o a strumentalizzare, i legami di Sabadell con la comunità autonoma, che sono quelli che hanno trascinato la politica nell’operazione. Il 41 per cento degli azionisti della banca è fatto da piccoli investitori, cioè persone comuni che investono i loro soldi in borsa; e la banca è stata storicamente un’importante fonte di credito per le piccole e medie imprese catalane.

Pedro Sánchez in parlamento, lo scorso 17 settembre (Eduardo Parra/Contacto via ZUMA Press)
Il primo ministro Pedro Sánchez è in una posizione particolare. Da un anno il suo Partito Socialista governa in Catalogna, dove alle elezioni del 2024 gli indipendentisti avevano perso la maggioranza per la prima volta dal 2003; però il suo governo dipende dai voti degli stessi indipendentisti nel parlamento nazionale. In questi giorni Genç, il CEO di BBVA, ha riconosciuto che i tempi dell’offerta, lanciata poco prima delle elezioni catalane, «non sono stati fortunati».
Di fatto il governo spagnolo ha condiviso le preoccupazioni dei due principali partiti catalani: Uniti per la Catalogna (Junts, di centrodestra) e Sinistra repubblicana (ERC, di sinistra). Nonostante l’autorità garante abbia autorizzato la fusione, infatti, il governo ha posto alcune condizioni, contro cui BBVA ha già fatto ricorso. La principale è che le due banche dovranno restare entità separate per tre anni, durante i quali BBVA non potrà licenziare personale di Sabadell o chiuderne le filiali.
Il timore dei partiti catalani è che dopo un’eventuale fusione la governance della banca si allontani dalla Catalogna o si ridimensioni la sua presenza lì, come avvenuto per altri istituti comprati nel corso degli anni. Va notato che, almeno in teoria, BBVA non è un gruppo di Madrid ma è originario di Bilbao, nei Paesi Baschi, un altro posto con una tradizione separatista e nazionalista (anche se ovviamente oggi BBVA si è internazionalizzata).

Un particolare della sede del Banco Sabadell a Barcellona, il 17 aprile (David Zorrakino/Contacto via ZUMA Press)
Almeno fino alle ultime settimane, Junts ed ERC si erano tenute lontane dalla fusione, come i partiti di destra dell’opposizione. A maggio l’autorità garante della borsa aveva approvato all’unanimità la fusione e aveva votato a favore anche il consigliere espresso da Junts, Pere Soler. Il leader del partito, l’ex presidente catalano Carles Puigdemont, lo aveva difeso sostenendo che le dinamiche delle banche fossero slegate dal movimento indipendentista, che peraltro non se la passa benissimo.
Recentemente, Junts ed ERC hanno cambiato posizione. Hanno chiesto che la fusione salti qualora la OPSC non riceva subito un’adesione superiore al 50 per cento. In realtà, secondo le regole, con un’adesione tra il 30 e il 50 per cento BBVA potrebbe comunque fare una seconda offerta di acquisto, tecnicamente un’OPA, per comprare le azioni rimanenti. Gli indipendentisti sono contrari a questa possibilità, che viene ritenuta la più probabile.
Martedì il gruppo di assicurazioni Zurich, che è il secondo azionista di Sabadell (con circa il 5 per cento), ha rifiutato pubblicamente la OPSC. In precedenza, tra gli investitori istituzionali (banche e fondi d’investimento, cioè quelli che investono per mestiere), ha dichiarato invece di essere favorevole il finanziere David Martínez (che ha il 3,8 per cento). BBVA ha detto anche di avere 8 miliardi di euro di riserve, che potrebbero venire usate per la OPA.
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