Nella Serie A femminile di calcio c’è solo un’allenatrice
11 squadre su 12 sono allenate da maschi e il Milan, allenato dall'olandese Suzanne Bakker, è l'unica eccezione
di Giorgia Bernardini

Sabato 4 ottobre ricomincia la Serie A Women, il più importante campionato italiano di calcio femminile, che da questa stagione avrà 12 squadre anziché le 10 dell’anno scorso. Di queste 12 solo una è allenata da una donna: il Milan femminile, che anche per questa stagione ha confermato l’olandese Suzanne Bakker, ex allenatrice dell’Ajax. Lavorare (e in particolare allenare) nel calcio maschile è ancora quasi impensabile per una donna, e al contempo sembra anche si stia riducendo lo spazio in quello femminile.
Nel resto d’Europa la situazione è solo un po’ migliore, ma c’è sempre una generale prevalenza di allenatori maschi ai massimi livelli del calcio femminile. Nella Frauen-Bundesliga tedesca ci sono tre allenatrici, nella Women’s Super League inglese ce ne sono quattro e nella Première Ligue francese solo due, così come nella Liga F spagnola. Anche se si guarda alla Champions League, il principale torneo europeo, le allenatrici sono solo quattro su 18: Renée Slegers all’Arsenal, Sonia Bompastor al Chelsea, Sandrine Soubeyrand al Paris FC e Lisa Alzner all’SKN St. Pölten.
Nella Serie A femminile le allenatrici sono sempre state molte meno rispetto agli allenatori. Succede perché c’è un sistema che limita in partenza il percorso necessario per diventare allenatrici. Anzitutto è una questione di costi e di criteri di accesso ai corsi di abilitazione, ma c’è anche il fatto che è difficile per le donne avere credibilità e fiducia in un mondo ancora prevalentemente maschile come il calcio (anche femminile).
Negli scorsi anni le allenatrici di Serie A sono persino diminuite. Nella stagione 2021-2022 (quando il campionato femminile aveva 12 squadre ma era ancora dilettantistico) erano quattro: Carolina Morace alla Lazio, Manuela Tesse al Pomigliano, Rita Guarino all’Inter e Patrizia Panico alla Fiorentina. Ma durò poco: dopo poche giornate Morace e Tesse – entrambe allenatrici di due squadre appena promosse in Serie A – furono esonerate e sostituite da degli uomini.

Patrizia Panico quando allenava la Fiorentina, 6 novembre 2021 (Stringer/Getty Images)
Nella stagione 2022-2023 – la prima professionistica, però a 10 squadre – le uniche due allenatrici furono Guarino e Panico. A fine stagione, però, anche Panico lasciò la Serie A per diventare la vice-allenatrice dell’Olympique Lione, uno dei club più vincenti del calcio femminile, e nel 2023-2024 Guarino rimase l’unica allenatrice della Serie A. Già nel 2024-2025 Bakker era l’unica allenatrice tra le 10 squadre di Serie A femminile.
Insomma, sono già tre anni che in Serie A Women c’è solo un’allenatrice, e quest’anno – con due squadre in più – la situazione non è cambiata. La situazione è simile anche in Serie B, dato che su 14 squadre solo il Como 1907 e il Lumezzane hanno un’allenatrice: rispettivamente Selena Mazzantini e Nicoletta Mazza.
«La tendenza al momento in Italia è di scegliere allenatori maschi che hanno poca o nessuna esperienza nel femminile» ha detto Panico al Post. «Anche poca esperienza nelle prime squadre, visto che spesso questi allenatori vengono dalle squadre giovanili maschili». Per le allenatrici che già hanno esperienza in Serie A le possibilità non sono molte: al momento Guarino è senza squadra, mentre Tesse allena la nazionale femminile maltese.

L’allenatrice della nazionale maltese femminile Manuela Tesse, 16 luglio 2024 (Gualter Fatia/Getty Images)
Lo sbilanciamento fra le presenze maschili e quelle femminili inizia già a partire dai corsi di formazione per diventare allenatori e allenatrici, dove c’è una netta prevalenza di uomini.
Per allenare in Serie A femminile è necessario conseguire il patentino UEFA PRO, lo stesso che serve per la Serie A maschile. I criteri di accesso ai corsi sono uguali per uomini e donne: bisogna aver compiuto 30 anni ed essere in possesso della qualifica UEFA A, il secondo livello più alto del percorso di formazione per persone che allenano.
Visto che il numero di partecipanti è limitato a 20 esiste una graduatoria che si basa su punteggi che derivano fra le altre cose dalle attività di calciatore/calciatrice e allenatore/allenatrice, dal titolo di studio, dalle qualifiche e dalla valutazione del punteggio conseguito all’esame di abilitazione al corso UEFA A.
Uno dei criteri principali è legato alle esperienze pregresse come calciatore o calciatrice. Anche la carriera in Nazionale dà punti aggiuntivi. Una stagione giocata in serie A maschile vale un punteggio maggiore rispetto a una stagione in Serie A femminile. Lo stesso vale per le presenze in Nazionale: quelle nella squadra maschile valgono di più.
In genere poi la carriera di un calciatore è più lunga e remunerativa rispetto a quella di una calciatrice. Questo ha sia un’influenza diretta sul numero di punti che si accumulano sia sulla possibilità di sostenere i costi per partecipare al corso.
Il corso – che si svolge a Coverciano, a Firenze – dura 240 ore in totale, con lezioni che si tengono di mattina e di pomeriggio e hanno l’obbligo di frequenza. La quota di partecipazione è di 8mila euro, da cui sono escluse spese di viaggio, di soggiorno e per eventuali trasferte. Visto che le calciatrici professioniste hanno ingaggi molto minori rispetto ai calciatori, i costi del corso sono effettivamente un investimento importante.
Ma più dei soldi a incidere sulla scelta sono le aspettative per il futuro: «In quanto donna la probabilità che ho di trovare lavoro è comunque troppo bassa rispetto a quella degli uomini. E di conseguenza troppo bassa rispetto ai costi del corso», dice Panico.
Le allenatrici italiane che hanno conseguito la licenza UEFA PRO sono sette. Oltre alle quattro già citate ci sono Nazzarena Grilli, Milena Bertolini ed Elisabetta Bavagnoli. Tranne rare eccezioni, gli allenatori italiani con questa stessa licenza sono tutti quelli che hanno allenato o stanno allenando squadre di Serie A, e molti altri ancora.
Ai corsi di abilitazione le donne sono sempre in numero minore, e quelle che riescono a portare a compimento il percorso di formazione non hanno molte possibilità di sbocco. Questo tipo di discriminazione non riguarda solo le allenatrici ma anche le direttrici sportive, le team manager, e tutte le figure che ruotano attorno al calcio.
Oltre a costi e ostacoli, da parte delle società di calcio c’è spesso l’idea che sia in un certo modo più sicuro affidare la guida della propria squadra ad allenatori maschi, che magari hanno giocato in passato nella squadra o che ne hanno allenato le giovanili maschili. Spesso la scelta di un’allenatrice per una squadra femminile continua a essere percepita da certe squadre come un’eccezione, un azzardo. «Non è successo nulla di concreto affinché si potessero coinvolgere le allenatrici dentro al sistema calcio», dice Panico.
Le allenatrici che c’erano in passato in Serie A nella maggior parte dei casi non sono state messe concretamente in condizione di restare. Hanno cambiato ruolo oppure nazione. E allo stesso tempo non si sono formate nuove allenatrici per sostituirle.
Ci sono eccezioni (al Milan Bakker ha preso il posto di Maurizio Ganz), ma spesso, quando le cose non funzionano, un’allenatrice viene sostituita con un allenatore. È successo anche nella Nazionale italiana dove dopo Milena Bertolini è arrivato Andrea Soncin, con risultati molto positivi, che dipendono però da meriti di Soncin, non dal suo essere un allenatore.
Restando sul piano delle Nazionali, è importante il dato dell’Europeo che si è giocato in Svizzera l’estate scorsa. Su 16 squadre partecipanti 7 erano allenate da donne. La finale, inoltre, è stata giocata da due squadre guidate da allenatrici: la Spagna da Montse Tomé e l’Inghilterra da Sarina Wiegman. Il punto è che in Europa, dice Panico, c’è la tendenza a cercare di reinserire le donne nel contesto in cui hanno sempre vissuto e lavorato, mentre «In Italia c’è questo credo che chi viene dal maschile porti qualcosa di nuovo e di diverso. Ma io queste cose nuove non le vedo».
Per alzare di nuovo il numero delle allenatrici in Serie A, secondo Panico è necessario creare opportunità per chi vuole intraprendere questo percorso in Italia. «È la stessa cosa che pensi da giocatrice. Quando decidi di restare in Italia anziché andare all’estero, lo fai anche per il desiderio di incrementare il patrimonio italiano con la tua esperienza».



