L’esodo forzato dalla città di Gaza
L'esercito israeliano ha detto che è «l'ultima possibilità» per i palestinesi di spostarsi verso sud, dove però le condizioni sono insostenibili

L’esercito israeliano sta proseguendo i bombardamenti e le operazioni di terra per occupare la città di Gaza e mercoledì ha pubblicato quello che ha definito «l’ultimo avvertimento» per la popolazione civile: ha detto agli abitanti che ancora sono rimasti a Gaza di andarsene immediatamente e muoversi verso sud. Il ministro della Difesa israeliano, Israel Katz, ha aggiunto che chi resta «sarà considerato un terrorista o un sostenitore dei terroristi».
Questi ordini di evacuazione sono imposizioni di trasferimento forzato, contrarie al diritto internazionale.
Israele ha emesso decine di ordini di evacuazione nei due anni di guerra e dal 9 settembre diversi hanno riguardato l’intera città di Gaza. Poco meno di un mese fa in città viveva circa un milione di persone. Da allora i civili hanno dovuto scegliere fra restare nelle proprie case o nei rifugi di fortuna (tende e accampamenti) rischiando di essere uccisi dai bombardamenti, oppure spostarsi verso sud, nell’area di al Mawasi o di Deir al Balah, lasciando tutto e trasferendosi in zone già sovraffollate e con scarsissime infrastrutture.

Il fumo dopo un bombardamento su Gaza City (AP Photo/Jehad Alshrafi)
L’esercito israeliano dice che nell’ultimo mese circa 780mila persone hanno lasciato la città di Gaza. Intanto bombardamenti e operazioni di terra si sono intensificate, molti dei palazzi più alti di Gaza sono stati distrutti e le possibilità di sopravvivere all’interno della città sono diventate minime. Solo mercoledì sono state uccise 46 persone, di cui 36 a Gaza, secondo l’agenzia di protezione civile della città.
Da mercoledì l’esercito israeliano ha bloccato l’unica strada che permetteva di risalire verso nord dalla parte meridionale della Striscia. Resta aperta solo la strada costiera in direzione sud, dove da settimane ci sono spesso lunghe code di auto, carretti e mezzi che portano tutti i beni rimasti alle famiglie costrette a trasferirsi. Dal 12 settembre è chiuso il varco di Zikim, nel nord della Striscia, da dove entravano i camion di cibo e beni di prima necessità.
La situazione del reperimento del cibo resta molto grave: il 22 agosto l’Integrated Food Security Phase Classification (IPC) aveva dichiarato la carestia nel nord di Gaza, nelle settimane successive era un po’ aumentato il numero di camion con cibo a cui era stato permesso di entrare nella Striscia. Fino ai giorni scorsi in città si riusciva a trovare ancora un po’ di cibo nei mercati, anche se in quantità molto scarse, soprattutto perché i venditori volevano liberarsi di quello che avevano accumulato prima di spostarsi a loro volta verso sud. Testimonianze raccolte dai media internazionali, fra cui il New York Times, indicano che però da martedì i mercati sono rimasti chiusi o senza niente da vendere.

Le code lungo l’unica strada costiera (AP Photo/Jehad Alshrafi)
Mercoledì anche la Croce Rossa internazionale ha sospeso le sue attività nella città di Gaza, rese impossibili dalle operazioni militari. Qualche giorno prima lo aveva fatto Medici Senza Frontiere, denunciando che le sue strutture erano state circondate dai soldati israeliani. Nel weekend quattro ospedali erano diventati «inutilizzabili», secondo le Nazioni Unite.
Chi si è spostato o si sta spostando verso sud vive una situazione quasi altrettanto complessa. L’esercito israeliano aveva detto che nelle cosiddette “aree sicure” i palestinesi avrebbero trovato aiuti e strutture di ricovero. Non è così: chi è arrivato senza niente deve dormire per strada o acquistare a caro prezzo tende di fortuna, cercando poi un posto libero per piantarle. Gli ospedali ancora aperti sono sovraffollati e la produzione di acqua (con impianti di desalinizzazione) insufficiente.
Le ong operanti hanno sottolineato che sono in aumento malattie e problemi respiratori, questi ultimi causati dalla necessità di bruciare plastica nei fuochi per cucinare o per scaldarsi.

Tende nella zona di al Mawasi (AP Photo/Jehad Alshrafi)
Il cibo a disposizione nel sud della Striscia è insufficiente. Israele sostiene di metterne a disposizione abbastanza, ma che questo viene rubato o non viene opportunamente distribuito dall’ONU e dalle ong incaricate. Queste ultime denunciano che spesso viene loro vietato di andare a recuperare i beni di prima necessità, che rimangono così al confine, e che è sempre più difficile muoversi in sicurezza all’interno della Striscia e raggiungere parte della popolazione.
Le Nazioni Unite dicono che il 73 per cento dei beni entrati in Gaza a settembre è stato rubato dai camion da persone affamate e disperate o da bande armate che poi li rivendono.
– Leggi anche: Com’era la città di Gaza prima della guerra, e com’è oggi



