In Nepal una bambina di due anni è stata scelta come nuova dea vivente
La Kumari è venerata da buddisti e induisti, ma solo fino alla pubertà: è una tradizione molto criticata

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A Katmandu, capitale del Nepal, è stata scelta una nuova Kumari, ossia una bambina considerata una dea vivente da alcune comunità induiste e buddiste del paese: si chiama Aryatara Shakya, e ha due anni e otto mesi. Ora, come da tradizione, la bambina si trasferirà in un tempio nel centro della città, dove riceverà i fedeli in visita fino a che lo spirito divino non lascerà il suo corpo, con le sue prime mestruazioni.
In Nepal ci sono diverse Kumari, una parola che significa “vergine” in sanscrito (l’antica lingua dei testi sacri induisti, da cui derivano alcune lingue moderne del subcontinente indiano), ma quella di Katmandu è considerata la più importante. A venerarle sono principalmente i newar, un gruppo etnico che vive nella zona di Katmandu e fra cui ci sono sia buddisti sia induisti, che con 1,3 milioni di membri costituisce il 4,6 per cento della popolazione nepalese. Per chi le venera, le Kumari sono un’incarnazione della dea induista Taleju (chiamata Durga in India), la divinità che rappresenta l’energia vitale femminile che pervade l’universo (detta in sanscrito shakti).
Esistono molte tradizioni simili a quella delle Kumari nepalesi, attestate da più di mille anni in tutta l’India. Secondo la leggenda l’usanza di venerare una bambina come dea vivente si diffuse fra i newar a partire dalla metà del Settecento, ed era inizialmente associata alla famiglia regnante a Katmandu e, dopo l’unificazione del paese, alla dinastia reale nepalese. La Kumari di Katmandu continuò a benedire e proteggere la famiglia reale fino all’abolizione della monarchia nel 2008, motivo per cui era chiamata anche la Kumari reale. Ora benedice i primi ministri, ed è ancora considerata dai suoi fedeli la protettrice del paese. Le Kumari delle città vicine, abitate sempre dai newar, hanno un seguito più prettamente locale.
Le Kumari di Katmandu vengono scelte fra le bambine nate nel clan Shakya (che secondo la tradizione discende da quello in cui nacque anche il Buddha), con un lungo processo di selezione guidato da un gruppo di astrologi e sacerdoti: per diventare Kumari una bambina deve avere il piano astrale corretto, non deve aver avuto malattie, presentare voglie o nei, né aver perso denti. Una volta individuata una bambina che risponde a queste caratteristiche, il suo corpo viene controllato per vedere se ha una serie di 32 caratteristiche fra le quali il “collo come una conchiglia”, il “petto come un leone” e le “ciglia come una mucca”.
A questo punto la bambina deve superare impassibile una prova di coraggio. Viene lasciata per una notte in una stanza buia, all’interno della quale si trovano delle cose spaventose: secondo la versione più attestata sono teste mozzate di animali, ma altri racconti parlano di serpenti. Solo se la bambina non piange e non dimostra paura diventa effettivamente una Kumari. Fra i newar le famiglie da cui provengono le Kumari sono tenute in grande considerazione.
Nel momento in cui viene riconosciuta come dea la bambina si trasferisce nel Kumari Ghar, un tempio costruito 250 anni fa affacciato su piazza Durbar, una piazza nel centro di Katmandu circondata da templi, affidata alle cure di una famiglia Shakya che tradizionalmente ricopre il ruolo di guardiana della Kumari. Qui la dea-bambina riceve le visite di centinaia di fedeli e, negli ultimi anni, di turisti, che le portano offerte e chiedono benedizioni. Secondo le credenze dei fedeli, se rimane impassibile i loro desideri saranno esauditi, mentre se ha qualche reazione, come un sorriso, significa che arriveranno delle sciagure (possono essere finanziarie, giudiziarie, o anche morti premature).
Le Kumari passano quasi tutto il tempo confinate nel loro tempio, da cui possono uscire solo una quindicina di giorni l’anno: alcuni giorni durante il festival religioso di Dashain, a settembre, che celebra la vittoria della dea Durga contro un demone malvagio, e in poche altre festività. In queste occasioni vengono portate in giro su una portantina dorata, dato che i loro piedi non possono toccare terra, sono vestite interamente di rosso (colore associato alla divinità), e portano il trucco tradizionale, fra cui gli occhi contornati di kajal (una specie di spesso eyeliner nero) e un terzo occhio dipinto in mezzo alla fronte.
Solo da qualche anno la Kumari di Katmandu può avere qualche contatto in più con il mondo esterno: se prima poteva solo benedire i fedeli e vedeva la propria famiglia di origine una volta a settimana (che comunque la trattava come dea e non come bambina), ora può avere più contatti (e più intimi) con la famiglia, può giocare con alcuni bambini, comunque selezionati dai loro guardiani, e fa lezione con altri alunni tre giorni a settimana, nei quali una classe la visita nel tempio.
Secondo le credenze, quando ha le prime mestruazioni o quando perde molto sangue per altri motivi, la bambina perde anche la shakti, l’energia divina che la rendeva una dea vivente. Attorno all’età della pubertà quindi la Kumari torna a essere una ragazzina normale, e ricomincia il processo di ricerca di una nuova dea. Il passaggio dalla vita da Kumari a quella normale presenta molte difficoltà, e solo recentemente il governo nepalese ha iniziato a intervenire per renderlo meno traumatico.
Fino a pochi anni fa alle Kumari non veniva insegnato neanche a leggere, scrivere e far di conto, anche perché sono considerate onniscienti. Ora invece la legge ha iniziato a prescrivere che ricevano lezioni da un tutore privato, anche grazie alla pubblicazione nel 2005 dell’autobiografia di Rashmila Shakya, un’ex Kumari, che attirò molta attenzione sulle condizioni di vita delle dee-bambine. Negli anni lo Stato ha iniziato anche ad assegnare alle Kumari uno stipendio mensile e una pensione una volta che ritornano alla vita normale, equivalenti a circa un centinaio di euro, attorno al salario minimo.
La maggiore consapevolezza sulle condizioni di vita delle Kumari ha anche suscitato diverse critiche, secondo cui la pratica priverebbe le bambine dei propri diritti dell’infanzia. Fra gli aspetti indicati come più problematici, oltre all’istruzione carente ricevuta e alle conseguenti difficoltà a riadattarsi alla vita da comuni mortali, ci sono anche la cerimonia con cui vengono scelte e lo stile di vita monotono e poco adatto a una bambina, dato che per anni praticamente la loro unica attività è salutare i fedeli. Molte una volta cresciute faticano a sposarsi, perché è credenza diffusa che i loro mariti muoiano poco dopo il matrimonio. Nel 2008 la Corte suprema nepalese ha respinto una causa che chiedeva di vietare la pratica.
Molte ex Kumari hanno raccontato delle difficoltà avute nei primi periodi in cui hanno frequentato la scuola normale, perché sono poco abituate a studiare ma anche a essere trattate come persone normali da chi hanno intorno. Alcune hanno detto di essere spaventate anche da automobili e moto, che prima di smettere di essere Kumari non avevano mai visto. Nel tempo comunque tendono ad abituarsi al mondo esterno e a vivere vite piuttosto normali.
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