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  • Lunedì 29 settembre 2025

Il pallavolista da cui passa tutto il gioco, e non solo, dell’Italia

C'è un motivo se nella Nazionale campione del mondo nessun giocatore ha spiccato sugli altri: Simone Giannelli ha sempre coinvolto tutti

Simone Giannelli, 29 anni (Volleyball World)
Simone Giannelli, 29 anni (Volleyball World)
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Mentre riceveva il trofeo dei Mondiali di pallavolo Simone Giannelli, capitano dell’Italia, indossava la maglietta di Daniele Lavia, lo schiacciatore rimasto a casa per un infortunio subìto pochi giorni prima dell’inizio del torneo. Anche nel momento della premiazione, ha fatto capire perché è considerato il leader indiscusso della Nazionale che ha appena vinto il suo secondo Mondiale di fila, non solo per le sue eccezionali doti di palleggiatore ma anche per come tiene unita la squadra.

Dagli ottavi di finale in poi, da quando cioè sono cominciate le partite a eliminazione diretta, Giannelli ha alzato il livello del suo gioco, e non a caso tutta la squadra è migliorata. Contro Argentina, Belgio e soprattutto Polonia in semifinale, l’Italia non ha perso nemmeno un set, e anche in finale contro la Bulgaria ha vinto in modo molto netto (pur perdendo il terzo set).

Non c’è stato quasi mai, nelle partite dell’Italia, un giocatore che ha dovuto sobbarcarsi la maggior parte del gioco offensivo: Giannelli ha saputo coinvolgere sempre tutti i suoi attaccanti ed è riuscito a farli rendere al meglio, che è poi una delle cose principali richieste a un palleggiatore (o alzatore), colui che gestisce il gioco della squadra decidendo, in quasi ogni azione, chi far attaccare (alzandogli, appunto, la palla).

Giannelli esulta dopo un punto in semifinale contro la Polonia (Volleyball World)

Giannelli ha 29 anni e da dieci fa l’alzatore della Nazionale: c’era già nel 2016 quando l’Italia vinse la medaglia d’argento alle Olimpiadi di Rio de Janeiro. Era una squadra molto diversa da quella degli ultimi due Mondiali, con giocatori esperti come Ivan Zaytsev e Osmany Juantorena, ma nonostante fosse il più giovane di tutti, Giannelli aveva già mostrato di avere carisma e tecnica a sufficienza per guidare il gioco dell’Italia. Già l’anno prima del resto, a 19 anni ancora da compiere, aveva vinto il campionato italiano con Trento venendo premiato come miglior giocatore della serie finale.

Della Nazionale di Rio de Janeiro è rimasto solo lui, che nei successivi nove anni ha continuato a vincere con i club (prima Trento, poi Perugia) e soprattutto ha continuato a farlo con l’Italia. Da quando è arrivato Ferdinando De Giorgi come allenatore, e Giannelli è diventato capitano, l’Italia ha vinto un Europeo e due Mondiali, affermandosi come miglior Nazionale al mondo come non capitava dagli anni Novanta (quando c’era la squadra che venne rinominata generazione di fenomeni).

Simone Giannelli alle Olimpiadi di Rio de Janeiro del 2016: feel old yet? (ANSA/ETTORE FERRARI)

Giannelli viene da anni considerato uno dei migliori alzatori al mondo, se non il migliore. Un paio di anni fa Micah Christenson, alzatore di Verona e della Nazionale statunitense, disse che «Giannelli ha tutto ciò che si può desiderare da un palleggiatore e da un giocatore; può fare qualsiasi cosa». In effetti non è solo preciso e costante quando ha una palla semplice da alzare, ma pure eclettico per come sa servire i suoi attaccanti in ogni situazione, riuscendo a smarcarli anche quando si trova distante da rete o quando deve saltare in alto e alzare a una mano.

Un palleggiatore, oltre a saper appunto palleggiare (cosa su cui Giannelli ha pochi eguali), deve essere bravo a capire a chi alzare la palla nei vari momenti, con l’obiettivo di mantenere sempre in partita tutti i suoi attaccanti, di sfruttare quelli che stanno rendendo al meglio e allo stesso tempo di disorientare il muro avversario. È quella che in gergo viene definita “distribuzione”, un’altra cosa che l’alzatore dell’Italia padroneggia alla grande; in modo forse un po’ enfatico, dopo la vittoria di domenica Eurosport lo ha definito a questo proposito «il padre del tempo e dello spazio».

Dieci minuti di Giannelli magic all’ultima Nations League, persa dall’Italia in finale ma in cui è stato premiato comunque come miglior palleggiatore

In quell’articolo si legge anche che «eccelle in tutto. Veramente tutto. E quando sta bene, l’Italia diventa una squadra a tratti ingiocabile». Oltre alle doti da alzatore tout court, infatti, Giannelli fa spesso la differenza al servizio e a muro, per esempio, sfruttando i suoi 199 centimetri di altezza. È anche un palleggiatore che non disdegna, al momento opportuno, concludere le azioni “di seconda”. Invece che alzare la palla al secondo tocco (dopo la ricezione o la difesa di un compagno, come avviene di solito), cioè, la manda subito nel campo avversario: o fingendo di palleggiare e poi girandola di là della rete con la mano sinistra, oppure proprio girandosi e schiacciandola con il destro.

È una cosa che fanno diversi palleggiatori, ma che lui fa a livelli di eccellenza rari. Lo scorso dicembre, nella partita di campionato tra Perugia e Monza, Giannelli ha fatto 12 punti, con 2 ace, 4 muri e 6 attacchi, una cosa molto inusuale per un palleggiatore. Negli ottavi di finale contro l’Argentina ha fatto l’ultimo punto sia del primo che del secondo set, chiudendo con un suo attacco azioni molto lunghe.

È sembrato proprio pensare: «Adesso basta, ci penso io»

In questa stagione Simone Giannelli ha vinto da protagonista la Champions League con Perugia (premiato come miglior palleggiatore e miglior giocatore del torneo) e i Mondiali con l’Italia, i due trofei internazionali più importanti della pallavolo. Se anche nel suo sport venisse assegnato un Pallone d’oro, non ci sarebbero molti dubbi sul fatto che dovrebbe vincerlo lui.

Non è una cosa banale che l’alzatore, un ruolo che per sua natura fa da tramite a coloro che concludono l’azione, sia il giocatore più forte e rappresentativo di una Nazionale (e di una squadra, Perugia) così forte e dominante, e anche questo contribuisce a definire l’eccezionalità di Giannelli. Un giocatore a cui, nei giorni scorsi, è stato addirittura dedicato un grosso murale su un campetto sportivo a Don Galo, un quartiere periferico di Manila, nelle Filippine, dove si sono svolti i Mondiali.