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  • Lunedì 29 settembre 2025

I palestinesi che scavalcano il muro tra Cisgiordania e Israele per lavorare

Aggirano il divieto che il governo israeliano ha imposto dopo il 7 ottobre: quando i militari israeliani se ne accorgono, sparano

di Daniele Raineri, foto di Gabriele Micalizzi

Ahmad Abu Ali e Imad Alnemer all'ospedale di Jenin
(Gabriele Micalizzi, CESURA, per il Post)
Ahmad Abu Ali e Imad Alnemer all'ospedale di Jenin (Gabriele Micalizzi, CESURA, per il Post)
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Ci sono palestinesi che scavalcano il muro di dodici metri che separa la Cisgiordania dal territorio di Israele, per andare a lavorare nei cantieri israeliani. È una cosa vietata e quando i soldati israeliani sorprendono i palestinesi nel tentativo di scavalcare il muro reagiscono come se fosse un’incursione terroristica e sparano. Succede più volte, ogni settimana. Domenica i soldati hanno sparato contro un palestinese di 33 anni che stava scavalcando vicino a Gerusalemme Est e lo hanno ferito a una gamba.

Gli ingressi non autorizzati continuano anche se sono rischiosi. Due anni fa, dopo le stragi di Hamas del 7 ottobre, il governo israeliano vietò l’ingresso ai circa 100mila palestinesi della Cisgiordania che lavoravano in Israele, soprattutto nei cantieri – un settore che offre molto lavoro nel paese. Quel divieto non è mai stato revocato. Sono passati due anni e da allora molti muratori palestinesi al di là del muro di separazione sono ancora disoccupati.

Il muro che divide la Cisgiordania da Israele sulla via per Gerusalemme all’interno dei territori occupati (Gabriele Micalizzi, CESURA, per il Post)

«Vorrei vedere che cosa fareste voi», dice Ahmad Abu Ali, 51 anni, da un letto dell’ospedale Khalil Suleiman a Jenin, dove è finito dopo aver tentato per la prima volta in vita sua di scavalcare il muro di separazione. «Mia figlia ha quindici anni e quando mi chiede dieci shekel (due euro e mezzo) non so che cosa risponderle. Volevo soltanto lavorare, non sono mai stato contro nessuno», dice. Il messaggio sottinteso è: non ho idee che possano essere considerate pericolose dagli israeliani. Quando lavorava dall’altra parte del muro prendeva tra i 500 e i 550 shekel a giornata, che è una somma tra i 128 e i 140 euro.

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Ahmad ha una gamba rotta in più punti, mentre parla si aggrappa al bordo del letto. Soltanto in questo ospedale a Jenin, raccontano i medici, altre tre persone sono state curate nell’ultima settimana perché hanno tentato di superare la barriera vicino Jalameh, poco più a nord, e sono state ferite.

Ci sono due aspetti tecnici in questa storia. Il primo è che i controlli dei soldati sono rigidissimi per chi vuole passare dalla Cisgiordania a Israele, ma non in senso inverso. Uscire da Israele e tornare in Cisgiordania attraverso i valichi ufficiali non è difficile. Il secondo è che i lavoratori palestinesi che hanno scavalcato in segreto il muro di separazione fanno una vita nascosta, nei paraggi del cantiere. Se nessuno chiede loro i documenti possono andare avanti a lavorare e a guadagnare per molto tempo prima di rientrare in Cisgiordania.

Gli investigatori israeliani pensano che i due attentatori che l’8 settembre hanno sparato a una fermata dell’autobus a Gerusalemme Est e hanno ucciso sei persone prima di essere uccisi abbiano anche loro scavalcato il muro per sfuggire ai controlli di sicurezza o comunque abbiano fatto un buco nei reticolati per passare con le armi.

Giovedì 25 settembre Ahmad Abu Ali ha tentato di scavalcare il muro, vicino a Qalandia, il valico tra Israele e Cisgiordania più trafficato. Ha promesso il pagamento di circa 500 euro a un intermediario che garantiva un passaggio sicuro e che doveva portarlo in macchina fino a un tratto del muro meno esposto. I soldi li avrebbe pagati il suo datore di lavoro, con il quale era già d’accordo.

Sotto il muro c’era un altro intermediario con una scala che faceva pagare 25 euro a tutti quelli che volevano usarla per scavalcare. Dall’altro lato del muro c’era una corda che penzolava, da afferrare per calarsi. Ma quando Ahmad è arrivato in cima gli altri hanno cominciato a gridare «l’esercito, l’esercito». Lui ha tentato di tornare indietro, ha perso la presa ed è precipitato in territorio israeliano. «Ero steso a terra, urlavo dal dolore».

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Ahmad Abu Ali all’ospedale di Jenin (Gabriele Micalizzi, CESURA, per il Post)

Un altro palestinese che aveva già scavalcato, Imad Alnemer, 54 anni, si è preoccupato che i soldati potessero sparare a Ahmad. È accanto al letto e racconta il seguito. Entrambi sono d’accordo con l’essere citati per nome e fotografati. Imad ha portato via il ferito e lo ha nascosto dolorante. Poi ha chiamato l’uomo che li avrebbe dovuti assumere, che è venuto a caricarli in macchina. Imad «mi ha visto a terra e mi ha nascosto per salvarmi la vita. Se i soldati fossero arrivati, saremmo morti entrambi», conferma Ahmad.

Prima sono andati in una piccola clinica che però ha rifiutato di curare il muratore: «Questa è una zona sotto controllo israeliano, non possiamo fare nulla», hanno risposto al banco di accettazione. Poi i due muratori sono riusciti a salire su un’ambulanza per andare a Ramallah, capitale della Cisgiordania. Ma sono stati fermi quattro ore al checkpoint. «Da mezzogiorno fino alle quattro aspettando una firma. E intanto io con le ossa rotte», dice Ahmad.

L’altro lavoratore, Imad, è già stato a lavorare dall’altra parte del muro. Racconta un episodio successo a Rehovot: la polizia aveva tentato di arrestarlo sul posto di lavoro, ma i vicini israeliani erano intervenuti a difenderlo. «Dicevano: “È un brav’uomo, non crea problemi.” Alla fine la polizia mi ha soltanto scortato al confine, senza arrestarmi. Questo è il mio lavoro, mi ha detto il poliziotto. Ma adesso se ti prendono a lavorare senza permesso rischi da uno a tre anni di carcere».