Il ritorno delle sanzioni dell’ONU contro l’Iran, dieci anni dopo
Erano state sospese dopo gli accordi sul nucleare iraniano del 2015, smantellato da Trump qualche anno dopo

Dalle prime ore di domenica 28 settembre l’ONU ha ripristinato alcune pesanti sanzioni economiche contro l’Iran. Erano sospese da dieci anni: nel 2015 infatti erano state revocate in seguito all’accordo sul programma nucleare iraniano, poi smantellato dagli Stati Uniti.
Le sanzioni sono rientrate in vigore su richiesta dei paesi occidentali. Un mese fa Regno Unito, Francia e Germania avevano accusato l’Iran di non aver rispettato gli impegni presi – che del resto lo stesso Iran aveva annunciato di voler disattendere, dato lo smantellamento dell’accordo – e avviato le procedure per riattivare le sanzioni sospese dal 2015. Le misure prevedono il divieto esplicito di arricchire l’uranio, restrizioni sui test con i missili balistici, un embargo sulla vendita di armi, il congelamento dei beni e il divieto di viaggio per persone coinvolte nei programmi nucleari, l’avvio di ispezioni sulle merci iraniane a bordo di navi e aerei.
L’Iran ha molto protestato contro il ripristino delle sanzioni e annunciato che richiamerà i suoi ambasciatori nel Regno Unito, in Francia e Germania. Il presidente iraniano Masoud Pezeshkian ha condannato la reintroduzione delle sanzioni definendole «ingiuste e illegali».
La Cina e la Russia, due paesi alleati dell’Iran, avevano proposto di rinviare di sei mesi la reintroduzione delle sanzioni, ma la loro mozione ha ottenuto solo quattro voti a favore nel Consiglio di sicurezza dell’ONU, composto da 15 membri (non tutti i voti del Consiglio hanno bisogno dell’unanimità).
Le sanzioni economiche contro l’Iran erano state imposte dal Consiglio di sicurezza dell’ONU tra il 2008 e il 2010. Il meccanismo che ha consentito ai paesi europei di riattivare le sanzioni (in gergo si parla di snapback) era previsto dall’accordo sul nucleare iraniano firmato nel 2015.
L’accordo prevedeva che l’Iran limitasse l’arricchimento del proprio uranio entro soglie compatibili con l’uso civile – e si impegnasse, insomma, a non dotarsi di una bomba atomica – in cambio di un ritiro delle sanzioni. L’accordo fallì nelle sue parti più importanti quando nel 2018 il presidente statunitense Donald Trump ne uscì unilateralmente. Poco dopo l’Iran riprese ad arricchire l’uranio oltre i limiti consentiti, e il regime islamista che lo governa rivendicò molto questa scelta (l’Iran continua comunque a sostenere di sviluppare il suo programma nucleare solo con fini civili, e non militari).
Ufficialmente Regno Unito, Germania, Francia e Iran non sono mai davvero usciti dall’accordo, e l’impianto formale è ancora in piedi, anche se solo parzialmente. I tre paesi europei hanno detto di aver fatto ogni sforzo possibile per evitare il ripristino delle sanzioni, aggiungendo però che l’Iran non ha più autorizzato gli ispettori dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica dell’ONU (AIEA) ad accedere ai siti collegati al programma nucleare militare (tre peraltro sono stati bombardati a giugno da Israele e dagli Stati Uniti: Fordo, Natanz e Isfahan), né ha inviato all’AIEA un rapporto sulle sue scorte di uranio arricchito. I paesi europei quindi hanno detto di non avere avuto scelta nel chiedere di ripristinare le sanzioni.
La decisione dell’ONU rischia di influire pesantemente sulla situazione economica dell’Iran, già in forte difficoltà a causa della svalutazione della moneta e della grave carenza di elettricità e acqua. Regno Unito, Francia e Germania sostengono comunque di essere disponibili a continuare a trattare per trovare un accordo e sospendere nuovamente le sanzioni.
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