In Cisgiordania i coloni stanno cercando di prendersi tutto
Abbiamo assistito a una loro incursione in una casa palestinese
di Daniele Raineri, foto di Gabriele Micalizzi

Alle tre e mezza di pomeriggio di martedì 23 settembre quattro coloni israeliani della colonia di Avigail sono entrati nel terreno e nella casa di Mohammed Jabarin, un coltivatore palestinese di cinquant’anni e di cinque figli. La casa è in cima a una delle colline spoglie a sud di Hebron. Il posto è Umm Darit, la zona è quella di Masafer Yatta, la comunità di dodici villaggi palestinesi circondata da colonie israeliane del film No Other Land che quest’anno ha vinto il premio Oscar. La colonia di Avigail è a meno di un chilometro di distanza.
I quattro coloni – che abitano in insediamenti illegali costruiti nei Territori palestinesi occupati – erano due adulti con due fucili d’assalto nuovi a tracolla e due adolescenti. Entrare in casa di altri fa parte di un modo d’agire dei coloni che i palestinesi conoscono bene e ha lo scopo di intimidire e cercare di far partire un’escalation. Se uno degli abitanti della casa avesse toccato un colono lui avrebbe potuto rispondere con la violenza e chiamare la polizia, che nella maggioranza dei casi crede al colono e non al palestinese. Così i quattro coloni hanno continuato per un’ora a marciare dentro e fuori dalla casa. Uno dei due coloni adulti ha filmato tutto con il suo telefono mentre teneva una mano sul fucile, ma anche l’agricoltore palestinese filmava la scena perché attorno alla casa ha montato dieci telecamere collegate allo schermo del suo telefono con una app.

Uno dei coloni (Gabriele Micalizzi, CESURA, per il Post)

Mohammed Jabarin fuma davanti a casa sua (Gabriele Micalizzi, CESURA, per il Post)
Le dieci telecamere sono un dettaglio poco congruente con l’ambiente: la casa del palestinese è in cemento grezzo, il pavimento è pure in cemento, ci si arriva scendendo una scala sconnessa di gradini di pietra, vicino c’è una stalla tirata su con materiali di fortuna, davanti i panni stesi su un filo che attraversa l’aia e un divano sfondato. Ospita Mohammed e gli altri sedici membri della sua famiglia. Ma il confronto permanente tra palestinesi e coloni è anche una sfida fatta con i video di sorveglianza, che servono per provare a incastrare l’altra parte davanti a un tribunale, e Mohammed si è adattato.

L’interno della casa di Mohammed Jabarin (Gabriele Micalizzi, CESURA, per il Post)
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Un gruppo di attivisti israeliani, che è organizzato in turni di guardia in un paese vicino per difendere i palestinesi, è arrivato quasi subito, ha marcato a uomo i quattro coloni e ha fatto ostruzionismo per impedire loro di muoversi dentro e attorno alla casa. Anche gli attivisti hanno filmato tutto con telefoni e videocamere, perché sanno che il materiale girato può diventare una prova decisiva.

Gli attivisti che filmano e provano a fermare uno dei coloni e a impedirgli di muoversi intorno all’abitazione (Gabriele Micalizzi, CESURA, per il Post)

(Gabriele Micalizzi, CESURA, per il Post)

(Gabriele Micalizzi, CESURA, per il Post)

(Gabriele Micalizzi, CESURA, per il Post)
In questi contenziosi legali i coloni hanno il vantaggio di essere i favoriti assoluti delle autorità israeliane. Il New York Times in una lunga inchiesta intitolata “Gli impuniti” pubblicata nel maggio 2024 sostiene che le autorità israeliane ignorino in modo sistematico le violenze dei coloni. È come se le loro operazioni contro i palestinesi non esistessero, tranne rari casi che sembrano più eccezioni che la normale applicazione della legge. Nei Territori occupati è in vigore la legge militare, i procedimenti avvengono davanti a giudici militari e questo è un altro svantaggio per i palestinesi.
L’altro colono adulto con un fucile, che se ne è stato in disparte con una maglietta viola e un telefono in mano, era Benyamin Bodenheimer, si fa chiamare Budi ed è il capo della sicurezza nella colonia di Avigail. Il 17 aprile di quest’anno Bodenheimer aveva scortato due coloni a piantare una recinzione nell’uliveto di un palestinese e aveva dichiarato che il terreno era della colonia. Il palestinese, Saeed Rabaa di sessant’anni, era uscito con suo figlio Elias di sedici per protestare.

Benyamin Bodenheimer (Gabriele Micalizzi, CESURA, per il Post)
Elias aveva cominciato a filmare la scena con il telefono, uno dei coloni gli aveva strappato il telefono e lo aveva buttato a terra, Saeed Rabaa era corso in suo aiuto, era stato spinto a terra anche lui. Budi aveva prima sparato due colpi in aria e poi mentre il padre era a terra gli aveva sparato un colpo in una gamba. Erano arrivati i soldati, come spesso succede alla fine di queste incursioni dei coloni. Avevano arrestato il figlio Elias con l’accusa di avere attaccato i coloni. I dottori avevano amputato la gamba di Saeed, anche lui in stato di arresto. Per tornare a casa padre e figlio avevano dovuto pagare una multa equivalente a duemilacinquecento euro.
Da settimane i coloni adolescenti scherniscono Saeed, dal confine dei suoi campi gli dicono «Dov’è la tua gamba? È andata via!». Bodenheimer è libero e incarna l’impunità dei coloni. Era nell’aia di Mohammed Jabarin con il fucile d’assalto a tracolla, si muoveva pochissimo, controllava i messaggi sul telefono (ma non filmava) e continuava a partecipare alle operazioni.
I coloni che sono entrati a Umm Darit hanno detto che una ragazza palestinese era entrata nella fascia di sicurezza del loro avamposto e che la loro intrusione in casa dei palestinesi era la risposta legittima all’azione della ragazza. Hanno chiesto alla polizia di arrestare la ragazza. I palestinesi hanno detto che la ragazza stava raccogliendo fichi sul suo terreno e che i coloni l’hanno ferita con una pietrata. La polizia ha guardato i filmati, ha parlato con tutti, anche con la ragazza, e alla fine è andata via senza fare arresti.

Una poliziotta israeliana mentre guarda un filmato (Gabriele Micalizzi, CESURA, per il Post)
Breve lista di alcuni dei modi usati dai coloni israeliani per tormentare gli agricoltori palestinesi e convincerli ad abbandonare le loro case, descritti al Post da cinque palestinesi che hanno terreni nella valle del Giordano, intervistati a nord nella zona di al Auja e a sud nella zona di Masafer Yatta. Rubare le pecore. Lanciare sassi. Danneggiare macchine, trattori e case. Entrare di notte nelle proprietà, per spaventare. Entrare di giorno, anche dentro le case. Far pascolare le loro pecore sul terreno dei palestinesi. Tagliare i tubi dell’acqua. Uccidere i cani con teste di pollo avvelenate. Spruzzare bombolette di gas urticante in casa dal buco della serratura. Rompere i vetri delle finestre. Sparare colpi in aria. Sparare ai cani. Installare reticolati e cancelli che chiudono il passaggio e costringono a lunghi giri. Bloccare le strade con grossi sassi. Dare fuoco alle macchine. Lanciare bottiglie incendiarie. Provocare. Picchiare con mazze, piedi di porco e bastoni.
La somma di queste azioni è poco visibile al di fuori dei Territori palestinesi occupati, perché i media internazionali non si occupano di un vetro rotto, di uno sconfinamento con le pecore o di altri casi di cattivo vicinato estremo, sebbene accadano in massa e con un tratto ossessivo. E c’è da considerare che nella Striscia di Gaza ogni giorno da due anni ci sono bombardamenti che uccidono civili e si prendono l’attenzione internazionale. Solo ogni tanto qualche raid più grande degli altri finisce nelle notizie. Ma le operazioni dei coloni producono un effetto storico. Costringono i palestinesi ad abbandonare le loro case e rendono impossibile l’esistenza di uno stato per i palestinesi, proprio mentre alcuni governi occidentali annunciano il riconoscimento dello stato di Palestina.

Uno dei coloni su una poltrona all’esterno della casa di Mohammed Jabarin, filmato da un’attivista (Gabriele Micalizzi, CESURA, per il Post)
I testimoni, palestinesi e israeliani e ascoltati in aree diverse, sono d’accordo: dopo il 7 ottobre 2023, il giorno delle stragi compiute da Hamas, c’è stata un’accelerazione delle operazioni dei coloni per prendere terreni e case dei palestinesi nei Territori occupati. Il ritmo degli attacchi e di tutte le altre azioni ostili è molto più intenso rispetto agli anni precedenti.
C’è accordo anche su un’altra cosa: i coloni e i militari dell’esercito che dovrebbero mantenere l’ordine attorno alle colonie sono spesso le stesse persone. Un giorno hanno l’uniforme addosso e pattugliano il terreno come forze militari di difesa, il giorno dopo partecipano alle operazioni dei coloni. Se la violenza non fosse così diffusa, sarebbe una farsa.

La polizia israeliana mentre parla con coloni e attivisti (Gabriele Micalizzi, CESURA, per il Post)
Le incursioni dei coloni sono organizzate in modo da creare dei vantaggi sul terreno duraturi, o ancora meglio – dal punto di vista di chi le commette – irreversibili. I coloni prendono le cime delle colline per controllare chi passa nelle strade sotto. Tendono a circondare con i loro avamposti le aree dei palestinesi che vogliono cacciare. Non creano colonie a caso ma scelgono le posizioni in modo da isolare le cittadine palestinesi con poche mosse e rompere la continuità territoriale dei palestinesi. Il principio è quello del minimo sforzo per ottenere la maggiore estensione di terreno possibile.



