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  • Martedì 23 settembre 2025

Non era solo un caso, per l’atletica leggera italiana

I Mondiali appena conclusi hanno mostrato che, pur nella loro eccezionalità, gli ori alle Olimpiadi di Tokyo del 2021 furono solo l'inizio

Nadia Battocletti il 20 settembre a Tokyo (AP Photo/David J. Phillip)
Nadia Battocletti il 20 settembre a Tokyo (AP Photo/David J. Phillip)
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Alle Olimpiadi di Tokyo del 2021 nell’atletica leggera l’Italia vinse cinque ori, due in pochi minuti. Un risultato eccezionale e impronosticabile, arrivato dopo anni in cui era già tanto ottenere una medaglia. Quattro anni più tardi, sempre a Tokyo, l’Italia ha concluso i Mondiali di atletica leggera con 7 medaglie, di cui una d’oro: non ne aveva mai vinte così tante in un’edizione. Ha mostrato – non solo in termini di medaglie – di essere ancora molto competitiva nell’atletica, e di esserlo stata con atlete e atleti in gran parte diversi rispetto a quattro anni fa. In un’efficace sintesi della Nazionale che si è vista ai Mondiali di atletica, il direttore tecnico della federazione italiana Antonio La Torre ha detto: «Consistenza, profondità e futuro».

I risultati italiani sono l’effetto di un lavoro iniziato da qualche anno, che ha saputo unire programmazione e forza ispiratrice di Tokyo 2021. Fatto da una federazione (la FIDAL) i cui tesserati sono in crescita e il cui presidente, l’ex atleta Stefano Mei, è in genere molto apprezzato. Una federazione i cui risultati arrivano anche a livello giovanile, e la distribuzione del talento sembra vasta e profonda: l’Italia ottiene risultati nella velocità e nella maratona, nei salti e nella marcia, in pedana e nel mezzofondo.

I cinque ori di Tokyo 2021 erano arrivati nei 100 metri, nella staffetta 4×100, nel salto in alto e nella marcia. Tra chi vinse quelle medaglie, solo Antonella Palmisano ha vinto anche ai Mondiali appena finiti. Gli altri erano assenti per infortunio (come Massimo Stano) o presenti ma in condizione ben diversa (come Marcell Jacobs e Gianmarco Tamberi). E tra chi è andato peggio del previsto ci sono i saltatori Larissa Iapichino e Andy Diaz: due da cui ci si aspettava almeno una medaglia. Il fatto che l’Italia abbia saputo fare a meno di loro, anzi fare benissimo pur senza di loro, è un notevole segno di forza.

Larissa Iapichino il 13 settembre a Tokyo (AP Photo/Matthias Schrader)

Ai Mondiali di Tokyo appena conclusi per l’Italia sono arrivati l’oro di Mattia Furlani nel salto in lungo; gli argenti di Nadia Battocletti nei 10mila metri, di Antonella Palmisano nella marcia e di Andrea Dallavalle nel salto triplo; il bronzo di Leonardo Fabbri nel getto del peso e quelli di Iliass Aouani nella maratona e di Battocletti – di nuovo lei – nei 5mila metri.

L’Italia è andata ai Mondiali con più atleti e atlete che mai (89, dopo che ai precedenti erano 72) e il bilancio è ottimo anche se si guarda il numero di finali raggiunte, che ancor più delle medaglie mostra quanto è diffusa e profonda la qualità della Nazionale. Oltre a essere arrivata quarta per numero di medaglie (dietro a Stati Uniti, Kenya e Giamaica: tre superpotenze dell’atletica) l’Italia è arrivata in 15 finali. Ci se ne accorgeva pure empiricamente: c’erano spesso un italiano o un’italiana in semifinale o finale.

Francesco Pernici, arrivato in semifinale negli 800 metri, il 18 settembre a Tokyo (Daniela Porcelli/Getty Images)

Tra le Olimpiadi e i Mondiali di Tokyo i risultati non sono mai mancati. Ai Mondiali del 2022 l’Italia si fermò a due medaglie ma arrivò in 10 finali, dopo diverse edizioni con pochi finalisti e pochissime medaglie (nessuna d’oro). Ai Mondiali del 2023 l’Italia finì con 4 medaglie e 13 finali. Dopodiché ci sono stati gli Europei di Roma del 2024 (terminati al primo posto del medagliere) e le Olimpiadi di Parigi del 2024, meno eccezionali e appariscenti rispetto a Tokyo 2021, ma per nulla deludenti. Anzi: a Parigi l’atletica italiana si fermò a tre medaglie (di Battocletti, Diaz e Furlani) ma arrivò in 17 finali, contro le 10 delle Olimpiadi del 2021.

Già prima dei Mondiali appena terminati Mei aveva definito questo periodo «i quattro anni più prolifici della storia dell’atletica italiana» e aveva aggiunto che «fanno ancora più impressione se si pensa agli otto anni precedenti» in cui «si vinceva abbastanza nelle gare giovanili ma poi mancavamo nelle grandi manifestazioni».

Mattia Furlani il 17 settembre a Tokyo (EPA/ALEX PLAVEVSKI)

Mei ha 62 anni ed è un ex mezzofondista: ha partecipato a due Olimpiadi e nel 1986 fu campione europeo nei 10mila metri. Dai primi Duemila ha fatto varie attività come dirigente sportivo. Fu eletto presidente della FIDAL nel gennaio del 2021 (con il 53 per cento delle preferenze), e poi rieletto nel 2024 (con il 72 per cento). Divenne presidente prima di Tokyo 2021, quando l’Italia dell’atletica arrivava da un’edizione olimpica senza medaglie (Rio 2016) e da un’edizione dei Mondiali (Doha 2019) con un solo bronzo. Mei ha definito gli anni prima-di-Tokyo come «il nulla da cui venivamo».

Il successo delle Olimpiadi di Tokyo, arrivate pochi mesi dopo la sua nomina, fu in gran parte frutto degli anni e delle gestioni precedenti. La FIDAL di cui lui era presidente ebbe però il merito di capitalizzare quel successo, agendo affinché non fosse un caso isolato ma generasse un effetto traino, una voglia generale di seguire e fare atletica.

Mei ha parlato spesso di come fin da subito ristrutturò le spese della federazione, cercando di risparmiare un po’ e di aumentare gli investimenti «sull’attività tecnica e sugli atleti di vertice». Nel 2001 i tesserati FIDAL erano poco più di 125mila. Erano 228mila nel 2021 e sono stati 243mila nel 2024 (che diventano quasi 300mila se si considera anche chi – pur non praticando atletica leggera – partecipa a eventi di corsa tramite RunCard, senza essere affiliato a una società sportiva). I giovani tesserati sono aumentati del 39 per cento tra il 2020 e il 2024, e nell’ultimo decennio sono quasi raddoppiati i tecnici della federazione.

Kelly Doualla l’8 agosto a Tampere, Finlandia (Maja Hitij/Getty Images for European Athletics)

In questi anni la FIDAL ha anche aumentato il budget a sua disposizione: per quest’anno è poco più di 29 milioni di euro. Metà circa arriva dall’azienda pubblica Sport e Salute, che distribuisce i suoi fondi in base a vari parametri (la FIDAL è quarta per soldi ricevuti dietro alle federazioni di calcio, pallavolo e nuoto; poco avanti rispetto a tennis e sport invernali); l’altra metà arriva grazie all’autofinanziamento: per esempio quote associative, diritti televisivi e accordi di sponsorizzazione – come quello firmato di recente con il marchio di abbigliamento On.

– Leggi anche: Da dove viene il successo delle scarpe On

Qualche mese fa si era discusso di Mei per la sua decisione – approvata dal Consiglio federale – di aumentarsi lo stipendio: da 36mila a 150mila euro lordi annui. In generale però Mei viene presentato come un presidente che ha saputo dare organizzazione alla FIDAL e che si fa notare per essere spesso presente agli eventi e vicino agli atleti, che in genere lo apprezzano per essere stato a sua volta atleta (cosa che non succede in tutte le federazioni sportive).

Non c’è però solo Mei, e non inizia tutto dal 2021. La Torre – quello che ha apprezzato «consistenza, profondità e futuro» dell’atletica italiana – è direttore tecnico dal 2018: arrivò prima di Mei ed è previsto che resti nel suo ruolo fino al 2028. E a livello giovanile qualcosa si stava muovendo, in positivo, già dagli anni Dieci del Duemila.

I soldi o i tesserati, Mei e La Torre, l’uomo più veloce del mondo e quello che salta più in alto di tutti (e ora quello che salta più in lungo): c’è un po’ di tutto questo nel successo dell’atletica italiana. È cresciuto il numero di praticanti da cui far emergere i talenti migliori, ed è migliorato il modo in cui questi talenti sono allenati e gestiti, dal livello giovanile fino ai più importanti eventi mondiali. La scelta di investire su discipline diverse permette anche di non rimanere troppo scottati quando una va male: come successo con la velocità (in particolare i 100 e i 200 metri) a questi Mondiali.

Marcell Jacobs e Gianmarco Tamberi dopo le loro vittorie alle Olimpiadi di Tokyo del 2021 (Richard Heathcote/Getty Images)

In vista dei prossimi eventi (i Mondiali indoor del 2026 in Polonia, quelli outdoor del 2027 in Cina, e le Olimpiadi del 2028 di Los Angeles), l’Italia ha una squadra di giovani già vincenti (e di ancora più giovani che già promettono molto bene a livello “under”). Mei ha parlato più volte di atleti e atlete che considera “figli di Tokyo”, cresciuti sportivamente guardando gli ori delle Olimpiadi di Tokyo del 2021. Ma oltre a Los Angeles, già gli è capitato di parlare di una squadra in parte pronta per Brisbane, la città australiana che ospiterà le Olimpiadi nel 2032: una generazione sportiva dopo Tokyo 2021.

L’atletica italiana sta già discutendo, inoltre, della possibilità di candidarsi per ospitare i Mondiali di atletica del 2029 o del 2031 (gli ultimi in Italia furono nel 1987) e della possibilità di aggiungere almeno un altro evento annuale di alto livello al Golden Gala di Roma. In entrambi questi casi, resterebbe quello che ancora sembra essere il principale problema dell’atletica italiana, comune peraltro a molti altri sport: la qualità e la quantità degli impianti pensati per l’atletica leggera. Dalle piste alle pedane per l’atletica leggera a livello scolastico fino alle strutture più grandi e moderne in cui organizzare importanti eventi internazionali.

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