Ibiza vuole andare oltre la sua immagine festaiola
Il turismo legato alle discoteche è una delle principali entrate dell'isola, ma genera anche molti problemi: il governo di destra sta provando a trasformarlo

Una delle prime cose che si notano atterrando a Ibiza sono le locandine delle serate in discoteca: si trovano un po’ dappertutto, dai muri dell’aeroporto ai cartelloni ai bordi delle strade. I nomi dei dj più disparati vengono disegnati sullo sfondo delle colline ibizenche: da quelli di Carl Cox e Marco Carola, nomi storici e rispettati della musica techno, ad Anyma, 37enne italiano emerso più di recente.
Le serate di Ibiza sono famose in tutto il mondo e ogni anno attirano sull’isola milioni di turisti, soprattutto britannici, spagnoli e italiani: secondo i dati più recenti generano più del 30 per cento delle entrate legate al turismo, cioè l’attività economica principale dell’isola, che fattura 770 milioni di euro l’anno impiegando 4.700 persone. Le quattro discoteche più grandi – l’Ushuaia, l’Amnesia, l’HI e l’UNVRS, aperta a maggio di quest’anno – sono in grado di ospitare complessivamente 30mila persone per notte.
Nel 2024 a Ibiza sono arrivati più di 3 milioni di turisti, più di 20 per ciascun abitante: è una quantità che metterebbe sotto pressione qualsiasi sistema, soprattutto se chiuso come quello di un’isola. E quello legato all’intrattenimento notturno genera qualche ulteriore problema, di cui sull’isola si sta cominciando a discutere sempre più apertamente.

L’aeroporto di Ibiza (Il Post)
Il turismo legato alle serate, per esempio, si concentra in pochi mesi l’anno, tra maggio e ottobre, durante i mesi di apertura delle discoteche: è un picco che nel resto dell’anno genera scompensi. Le persone che arrivano sull’isola per la festa continua, per esempio, spendono in media il doppio di una famiglia locale contribuendo ad aumentare il costo della vita per i residenti, tutto l’anno. Gli arrivi generano inoltre una domanda di alloggi che va ben oltre l’offerta legale, alimentando il mercato degli affitti abusivi e limitando l’offerta di case per i residenti. Le serate contribuiscono anche al frequente sovraccarico del sistema sanitario locale, chiamato a gestire numerosi interventi di emergenza legati al consumo di sostanze nei locali notturni.
Al momento il governo – espressione del Partito Popolare, di centrodestra – non può fare molto, se non imporre dei paletti: ha avviato un piano di contrasto degli alloggi e dei taxi abusivi, e ha introdotto un limite al numero di veicoli di non residenti che possono circolare sull’isola.
Parallelamente però ha avviato un progetto a lungo termine per rinnovare l’immagine dell’isola, investendo nella promozione di tutto quello che ha da offrire al di là della vita notturna, per diventarne sempre più indipendente.
Juan Miguel Costa, direttore del dipartimento che si occupa di turismo del governo di Ibiza, spiega che il piano è ancora in una fase molto embrionale ma ha un obiettivo ambizioso: cambiare e ridistribuire il turismo sull’isola. «Siamo coscienti che Ibiza è conosciuta in tutto il mondo per la sua festa, che attira un turismo di massa che continuerà ad arrivare perché le discoteche hanno molto più potere mediatico di quanto potremmo mai avere come amministrazione pubblica. Quello che vogliamo è attirare anche un altro tipo di turisti, che arrivino fuori dai mesi di alta stagione». Costa pensa ai turisti interessati al cibo, al vino, alle famiglie che cercano un posto di mare con molti servizi, alle aziende che hanno bisogno di spazi grandi per convention ed eventi.

Un cartellone pubblicitario di un locale dell’isola (il Post)
Per ora il governo di Ibiza ha aperto un bando da mezzo milione di euro per raccogliere idee su come concretizzare questo obiettivo. Il bando è stato vinto dalla società di consulenza THR, che dovrà realizzare un progetto per cambiare l’immagine turistica di Ibiza. A settembre si è tenuto il primo incontro tra THR, le principali associazioni di categoria e quelle del terzo settore, per raccogliere idee, spunti e informazioni. Questa fase durerà quasi due anni, dopo la quale si passerà alle prime misure concrete.
Per un’amministrazione pubblica intervenire sul settore turistico, quasi prevalentemente in mano privata, non è facile: in diversi posti nel mondo sono in corso esperimenti di vario tipo. Per capire come potrebbe concretizzarsi il piano di Ibiza si può guardare cosa è già stato fatto.
Il comune di Sant Antoni, nella zona ovest dell’isola, è forse tra i luoghi più votati alla festa di Ibiza: a ridosso del mare ci sono praticamente quasi solo hotel e locali, al largo della sua lunga spiaggia si vedono decine di barche e piccoli yacht costantemente parcheggiati. Di sera le sue strade si riempiono di turisti inglesi che escono a bere o aspettano le navette e i taxi per raggiungere le discoteche.
Nel 2025 il comune di Sant Antoni ha usato i fondi del NextGenerationEU, che in Italia chiamiamo Recovery Fund, per riqualificare la via pedonale principale, calle Santa Agnès, e provare ad attirare un tipo di turismo più diurno. Ha chiamato l’artista spagnolo Okuda San Miguel, molto noto per le sue opere colorate e geometriche, e lo ha incaricato di decorare l’asfalto, trasformando la via in un piccolo museo di street art. Alcuni dei negozianti che si affacciano su calle Santa Agnès e nelle viuzze parallele dicono di aver già visto un piccolo miglioramento, e di aver persino registrato un aumento delle vendite; altri sono più scettici e pensano che il turismo di Sant Antoni possa riguardare solo «borracheros», ubriaconi, persone disinteressate a qualsiasi iniziativa culturale.
L’altro esempio è la costruzione di un nuovo grosso centro congressi in corso a Santa Eulària, sulla costa est dell’isola. Quello legato agli eventi aziendali «è un mercato molto importante per Ibiza», spiega Costa, perché «non è concentrato soltanto su luglio o agosto, ma è attivo anche fuori stagione, e attira molte persone che magari poi decidono di tornare con le famiglie».
Costa dice inoltre che parte del piano del governo si concentrerà sul promuovere il patrimonio storico e naturalistico di Ibiza. Sull’isola ci sono infatti quattro siti protetti dall’UNESCO: la città vecchia di Ibiza, un dedalo di stradine protetto da fortificazioni rinascimentali; il parco naturale di Ses Salines, l’insediamento fenicio di Sa Caleta (Ibiza fu la prima colonia fenicia nel Mediterraneo occidentale) e la necropoli di Puig des Molins, utilizzata per più di un millennio. Luoghi ancora poco conosciuti da chi arriva sull’isola solo per le serate.

Una via nella città vecchia di Ibiza (Sean Gallup/Getty Images)
Per alcuni gruppi di attivisti progressisti però il problema è più ampio e non riguarda solo il tipo di turismo che attrae l’isola, ma il turismo in sé, che a loro dire è semplicemente troppo. «Stiamo andando dritti verso il precipizio, perseguendo un modello turistico suicida» ha detto a giugno Juanjo Torres, portavoce del comitato di cittadini Canviem El Rumb (“cambiamo rotta”, in catalano). «Viviamo in un territorio limitato e, in quanto tale, abbiamo bisogno di limiti. Non vengono stabiliti e, di conseguenza, i nostri diritti fondamentali sono in pericolo».
Secondo Costa, però, fare a meno del turismo non è pensabile, oggi. «Se contiamo anche le entrate indirette, si arriva quasi al 99,9 per cento» dell’economia dell’isola, calcola Costa. «Non abbiamo un piano B».



