Seppellire le centrali nucleari
È quello che vuole provare a fare un'azienda statunitense per ridurre i costi e semplificare la gestione dei reattori, a oltre un chilometro e mezzo di profondità

Poche cose sono complicate come scegliere il posto giusto per costruire una centrale nucleare. Oltre a dover tenere in considerazione il suo impatto sul territorio ci si deve confrontare spesso con l’ostilità della popolazione locale, non entusiasta all’idea di vivere a qualche chilometro di distanza da un reattore. Se la centrale nucleare venisse costruita nelle profondità della Terra probabilmente le opinioni contrarie sarebbero meno forti e si potrebbe anche risparmiare qualcosa, o almeno così la pensano il fisico statunitense Richard A. Muller e sua figlia Elizabeth che da qualche anno propongono proprio di costruire impianti nucleari nel sottosuolo, a più di un chilometro di profondità.
A prima vista l’idea non sembra molto diversa dal nascondere la polvere sotto al tappeto, ma secondo i Muller potrebbe cambiare il settore, renderlo ancora più sicuro e soprattutto rendere meno complesso lo smaltimento dei rifiuti radioattivi. Richard A. Muller ha 81 anni, è stato per lungo tempo professore di fisica alla University of California, Berkeley, e si è fatto notare soprattutto per le iniziative legate alla comunicazione dei pericoli legati al cambiamento climatico. Una decina di anni fa fondò insieme alla figlia Elizabeth una società con l’obiettivo di sviluppare sistemi per smaltire i rifiuti nucleari a grande profondità nel sottosuolo.
Come racconta spesso agli eventi pubblici, fu in quel periodo che Elizabeth Muller pensò non solo ai rifiuti, ma allo stesso processo di produzione dell’energia elettrica con il nucleare: se progettiamo di smaltire i rifiuti delle centrali atomiche scavando buchi molto profondi, perché non costruire le centrali direttamente là sotto? Muller ne parlò a suo padre e insieme fondarono Deep Fission, una società con l’obiettivo di esplorare quell’idea e produrre un prototipo di reattore in miniatura da installare sottoterra a circa 1,6 chilometri di profondità (cioè un miglio).
I reattori di piccole dimensioni sono una delle nuove frontiere del settore atomico e, secondo gli sviluppatori di queste tecnologie, potrebbero rendere più pratica ed economica la produzione di energia elettrica con basse emissioni di gas serra, in modo da affiancarla a quella prodotta con il solare e con l’eolico. Reattori con dimensioni più contenute, rispetto a quelli che si trovano nelle normali centrali, sono impiegati da decenni nei sottomarini nucleari, per esempio, ma l’obiettivo della ricerca è provare a produrne di ancora più piccoli, che nel caso di Deep Fission dovrebbero occupare un buco con un diametro intorno ai 75 centimetri.
Il sistema teorizzato dai Muller riprende quello dei reattori nucleari ad acqua pressurizzata (PWR), tra i più comuni e impiegati in decine di centrali in giro per il mondo. Utilizzano due circuiti isolati l’uno dall’altro, nei quali circola dell’acqua che permette gli scambi di calore per produrre l’energia elettrica. Il circuito primario è formato da un recipiente in pressione, una sorta di grande pentola a pressione, nel quale è contenuto il nocciolo formato dal combustibile nucleare, che durante i processi di fissione produce molto calore. L’acqua che ha intorno si scalda e viene fatta circolare verso il circuito secondario (che essendo completamente isolato dal primo non è radioattivo), dove fa scaldare altra acqua fino a farla diventare vapore, che aziona poi delle turbine per la produzione dell’energia elettrica tramite un alternatore.
L’acqua all’interno del circuito primario raggiunge una temperatura massima di poco inferiore ai 330 °C e per questo deve essere tenuta sotto forte pressione (circa 160 volte quella atmosferica al livello del mare), per evitare che si metta a bollire e che passi dallo stato liquido a quello gassoso. La pressione che deve essere esercitata è enorme e per questo il circuito primario viene realizzato in un contenitore (vasca di pressione o vessel) spesso e resistente, schermato poi da un ulteriore scudo di sicurezza realizzato in cemento. Più grande è il reattore più è complicato far resistere alla forte pressione il vessel, e anche per questo da tempo si esplora la possibilità di produrre reattori più piccoli e relativamente semplici da gestire, in modo da poterli installare in aree remote e con minori costi di manutenzione.
Nella pratica Deep Fission propone di scavare pozzi larghi circa 75 centimetri e profondi poco più di un chilometro e mezzo, con tecnologie già disponibili e impiegate soprattutto nel settore dell’estrazione dei combustibili fossili (dove si scavano pozzi di diametro inferiore). Il reattore con il suo circuito primario viene inserito e calato quasi fino alla fine del pozzo, lasciando qualche decina di metri prima del fondo, dove saranno conservati i reattori esausti.
In un lungo tubo che arriva quasi alla superficie viene inserita l’acqua, la cui massa nell’alta colonna è tale da produrre la pressione necessaria nel reattore per evitare che l’acqua stessa diventi vapore. In questo modo, dice la società, si può ottenere un circuito primario più semplice. Altra acqua, non radioattiva e isolata nel circuito secondario, viene scaldata e il vapore ottenuto, una volta in superficie, aziona le turbine per poi produrre energia elettrica. Un po’ come avviene in alcuni tipi di centrali che sfruttano l’energia geotermica, ma sfruttando il calore prodotto da un reattore.

Rappresentazione schematica del reattore, con la colonna d’acqua per produrre la pressione necessaria e la condotta per consentire al vapore di raggiungere la superficie (Deep Fission)
Deep Fission stima che ogni reattore sepolto potrebbe produrre 15 megawatt a un costo di circa 5 centesimi di euro per chilowattora, un prezzo competitivo rispetto ad altri sistemi di produzione di energia elettrica e con basse emissioni. A regime, la costruzione di ogni reattore potrebbe costare intorno ai 30 milioni di euro e l’idea è di costruire batterie di pozzi con decine di reattori, in modo da raggiungere una potenza paragonabile a quella che si ottiene con le centrali nucleari di grandi dimensioni.
Almeno in linea teorica, la costruzione così in profondità potrebbe non solo facilitare la gestione della pressurizzazione, ma anche aumentare la sicurezza degli impianti, visto che a quella quota nel sottosuolo si ridurrebbero i rischi di eventuali complicazioni (per quanto queste siano improbabili anche nelle centrali classiche, come dimostrato ormai in decenni di loro attività). Ogni reattore sarebbe caricato con materiale per sostenere la fissione per un paio di anni, dopo i quali il reattore verrebbe calato a una maggiore profondità, per fare spazio a un nuovo reattore. Ogni pozzo potrebbe sostenere l’avvicendamento di decine di reattori, rimanendo utilizzabile per 50-60 anni.
Con questo sistema i rifiuti prodotti rimarrebbero da subito a grande profondità, semplificando le attività di smaltimento, con tutti i problemi che ne conseguono soprattutto per quanto riguarda la scelta dei luoghi dove conservarli. Una volta saturo, il pozzo verrebbe vuotato dall’acqua non radioattiva, sigillato e riempito di cemento. La zona scelta dovrebbe comunque essere geologicamente stabile, e priva di falde acquifere nelle vicinanze. I costi sarebbero sensibilmente inferiori rispetto alla costruzione di una classica centrale nucleare, ma restano molti dubbi sulla fattibilità dell’iniziativa.
Per quanto ci siano state alcune esperienze positive, i reattori di piccole dimensioni di questo tipo sono ancora in fase sperimentale e di sviluppo, con alcuni dubbi sulla loro durata e sulla possibilità di ridurre sensibilmente i costi per produrli. Parte della ricerca si sta orientando su soluzioni modulari, che renderebbero possibile la costruzione di reattori di medie e piccole dimensioni attraverso l’assemblaggio di parti prefabbricate, anche in questo caso con l’obiettivo di ridurre i costi. L’interesse è alto non solo per le opportunità economiche, ma anche per le necessità legate alla transizione energetica verso fonti meno inquinanti.
Le stime variano molto, ma in linea di massima oggi le fonti fossili sono predominanti con più del 60 per cento della produzione di energia elettrica, seguita da quella ottenuta con solare e idroelettrico intorno al 30 per cento e da una quota del 10 per cento di energia nucleare. L’Agenzia internazionale dell’energia prevede un ribaltamento della situazione, con l’abbattimento pressoché totale delle fonti fossili e il raggiungimento nel 2050 del 90 per cento di fonti rinnovabili, mantenendo il nucleare sempre intorno al 10 per cento. E anche per questo l’interesse del settore intorno a nuove soluzioni tecnologiche rimane alto, anche nel caso di proposte poco ortodosse come seppellire i reattori a grande profondità.
Deep Fission ha di recente ottenuto un finanziamento da 30 milioni di dollari, nell’ambito di un’operazione per quotarsi in borsa negli Stati Uniti. La raccolta dei fondi è stata facilitata dalla decisione del governo statunitense di inserire la società nel “Reactor Pilot Program”, un’iniziativa per avviare percorsi accelerati di sperimentazione di reattori di nuova generazione, riducendo i tempi di attesa per le licenze da parte degli organismi regolatori. Le regole sono state decise dall’amministrazione di Donald Trump e hanno suscitato qualche perplessità tra gli esperti, soprattutto per alcuni conflitti d’interessi tra le aziende coinvolte. Deep Fission inizierà a lavorare a un prototipo dimostrativo il prossimo anno, scegliendo un sito dove farlo sparire a grandissima profondità.




