Robert Redford fece molto per il cinema anche fuori dagli schermi
Con il Sundance Film Festival e l'istituto collegato finanziò e promosse per decenni i film indipendenti americani, contribuendo a renderli mainstream

Nel 1969 Robert Redford, il grande attore morto martedì a 89 anni, acquistò un terreno molto grande tra le montagne Wasatch nello Utah, e ci fece costruire il suo Sundance Resort. Scelse di chiamare la sua tenuta come il cowboy che interpretava in Butch Cassidy, il film uscito quello stesso anno che insieme a A piedi nudi nel parco aveva lanciato la sua carriera a Hollywood. Nella versione italiana fu tenuto solo il nome dell’altro protagonista, interpretato da Paul Newman, ma in originale quel film si chiamava Butch Cassidy and the Sundance Kid.
L’idea iniziale su cosa costruire in quell’angolo dello Utah era vaga: prima doveva essere proprio un resort sciistico, ma non andò bene. Poi maturò l’idea di farne un luogo legato all’arte e alla sperimentazione creativa. Soltanto nove anni dopo, nel 1978, Redford si associò a un festival locale chiamato U.S. Film Festival, fatto più che altro di retrospettive, un evento che dalla sua seconda edizione si teneva nel piccolo centro sciistico di Park City.
Lo nominarono presidente del consiglio di amministrazione, ma in realtà all’inizio Redford non aveva molto a che fare con la manifestazione. La ragione principale del suo coinvolgimento era che sua moglie era la cugina del direttore, e fece un po’ di pressione. Redford si limitò a presenziare alle prime edizioni e a dare una mano ogni anno attirando qualche grande nome del cinema americano suo amico. Il posizionamento del festival nella stagione invernale era pensato per attirare almeno chi era lì per sciare.
In quel momento la cosa più importante per Redford non era tanto il festival quanto il Sundance Institute, che fondò nella sua forma attuale nel 1981 dopo il successo di Gente comune, il suo primo film da regista, per cui vinse l’Oscar. Il Sundance Institute fin dall’inizio si concentrò sull’obiettivo di finanziare e aiutare lo sviluppo del cinema indipendente, in particolare attraverso il Sundance Lab, una delle creazioni meno note ma più influenti dell’istituto. È un laboratorio per registi, sceneggiatori e produttori che associandoli a tutor provenienti dal mondo del cinema professionale li aiuta ancora oggi a sviluppare, migliorare e avviare la produzione dei loro film.

Robert Redford in una foto d’archivio del Sundance Film Festival (Randall Michelson/WireImage)
Oggi di “lab” simili ne esistono diversi, e uno dei più importanti è l’italiano TorinoFilmLab. Sono tutti luoghi in cui si viene scelti in base al curriculum e al progetto su cui si sta lavorando: si entra con una sceneggiatura, una sinossi o un piano di produzione e dopo poche settimane o al massimo qualche mese se ne esce con una versione migliorata, grazie al confronto con i maggiori professionisti possibili. È la cosa più vicina che esista nel cinema agli acceleratori del settore tecnologico.
Quentin Tarantino sviluppò il suo primo film, Le iene, proprio al Sundance Lab aiutato da Terry Gilliam. Più di recente Whiplash, il film di Damien Chazelle, fu sviluppato come cortometraggio al Sundance Lab per capire se Chazelle sarebbe poi stato in grado di farne un intero film. Anche i fratelli D’Innocenzo furono selezionati per un Sundance Lab dopo il loro primo film e lavorarono a una sceneggiatura non ancora diventata film con Paul Thomas Anderson come tutor.
Per il festival invece ci vollero molti anni per ingranare, anche perché negli anni Ottanta il cinema indipendente non se la passava benissimo negli Stati Uniti. Si arrivava infatti da una fase in cui una generazione di registi partiti proprio dal cinema indipendente, come Martin Scorsese, George Lucas e Francis Ford Coppola, era diventata famosa e ormai lavorava stabilmente con le grandi case di produzione. I film che funzionavano erano quelli come i loro, e non c’erano grandi opportunità per finanziare e distribuire i film indipendenti.
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Con la sua fondazione Redford voleva aumentare quelle opportunità aiutando a produrre i film, e pensò di usare il festival per mostrare i risultati. Dal 1984 infatti, sempre su spinta di Redford, fu istituita una sezione competitiva dedicata solo ai film indipendenti americani. Era così piccolo il Sundance e così scarsa la scena indipendente dell’epoca che una persona sola, Laurie Smith, era incaricata di vedere tutti i film durante l’anno e scegliere i circa 24 che sarebbero stati proiettati.
Quando nel 1985 la manifestazione rischiò la chiusura per guai finanziari, Redford decise di salvarla rilevandola. Lo U.S. Film Festival diventò quindi un evento prodotto dal Sundance Institute: avrebbe abbandonato il nome precedente, rinominandosi Sundance Film Festival, soltanto nel 1991.
Redford, oltre che finanziatore, diventò presidente del festival, con la responsabilità di prendere le decisioni amministrative, gestionali e di indirizzo generale. Tutto questo nonostante non avesse un grande interesse per i festival di cinema, come disse lui stesso: «Non mi interessano i festival cinematografici. Quando ci hanno chiesto di prendere in mano questo festival non avevo alcun interesse, a meno che non avesse preso una direzione unica. Abbiamo detto di sì, ma solo se avessimo potuto concentrarci sui film indipendenti».
Il suo coinvolgimento crebbe insieme alla notorietà del festival, che nei primi anni era rimasto una manifestazione di nicchia, che ospitava film perlopiù sconosciuti al grande pubblico senza garantire loro molta fama. Il momento in cui cambiò tutto fu l’edizione del 1989, dopo la quale la storia del Sundance Film Festival e il destino del cinema indipendente americano rimasero legati per diversi decenni.
In quell’anno fu presentato in concorso Sesso, bugie e videotape, l’esordio di Steven Soderbergh. Quel film vinse il premio del pubblico, l’unico previsto al Sundance, e fu acquistato da un distributore americano, cosa rara che gli fece fare il salto dal circuito piccolo a quello mainstream. Andò anche bene. Tre mesi dopo fu preso in concorso al festival di Cannes e vinse il primo premio, la Palma d’Oro, aprendosi al mercato europeo e mondiale. Questo dimostrò che il Sundance poteva creare grandi successi e che il cinema indipendente americano poteva essere mainstream, cioè che valeva la pena investirci.
Da lì in poi molti cominciarono a frequentare quello che a quel punto prese ufficialmente il nome di Sundance Film Festival alla ricerca del prossimo successo. Spesso trovandolo. Dopo Sesso, bugie e videotape furono presentati lì Clerks di Kevin Smith, poi Le iene di Quentin Tarantino, ma anche il film inglese Quattro matrimoni e un funerale. Tutti grandi successi o primi film di registi e sceneggiatori poi diventati molto affermati. E, come sempre, accanto ai festival importanti si crearono mercati, cioè occasioni per produttori e distributori di incontrarsi, vendere film, sceneggiature o diritti di adattamento. Redford col tempo assunse un ruolo sempre più defilato, usando il suo coinvolgimento per produrre i film che più gli interessavano.
Anche grazie al Sundance Film Festival, gli anni Novanta furono il periodo in cui più di tutti il cinema indipendente americano si rivelò importante e per la prima volta arrivò con regolarità agli Oscar. L’influenza del Sundance proseguì negli anni Duemila grazie a Little Miss Sunshine, un altro successo partito dal Sundance che contribuì a normalizzare la presenza di grandi attori nei film indipendenti. Il Sundance era diventato così importante da poter creare carriere: anche quella americana di Gabriele Muccino fu molto aiutata dall’aver vinto il premio del pubblico al festival con L’ultimo bacio.
La gestione di Redford dell’istituto e del festival non fu esente da critiche. Nel libro Down and Dirty Pictures il giornalista Peter Biskind, tra i più rispettati dell’ambiente cinematografico americano, racconta come Redford spinse fin dagli anni Ottanta verso progetti sempre più mainstream e meno di nicchia, privilegiando quelli più innocui, motivo per cui grandi registi indipendenti degli anni Ottanta come Spike Lee o i fratelli Coen non ebbero a che fare con il Sundance. Fu accusato anche di conflitto di interessi, e di una gestione poco trasparente dei rapporti economici tra l’istituto, una società non profit, e il suo resort.
Oggi il Sundance è un bacino da cui spesso pesca anche il festival di Cannes, ed è così grande che non potendo più stare nella piccola cittadina di Park City ha deciso di spostarsi. C’è stata una gara tra città americane per ospitarlo e alla fine ha vinto Boulder, nel Colorado, dove si pensa che potrà espandersi ancora di più. La prossima edizione, quella del 2026, sarà l’ultima a Park City.



