Il nuovo capo dell’FBI non ne sta azzeccando una
Kash Patel era stato scelto da Trump tra vari dubbi, ora confermati dalla sua carente gestione delle indagini sull'assassinio di Charlie Kirk

L’assassinio di Charlie Kirk è stato il caso più importante che Kash Patel si è trovato a gestire da quando Donald Trump l’ha nominato capo dell’FBI, lo scorso gennaio: per ora ne sta uscendo parecchio male. Patel ha comunicato in modo imprudente e discutibile, facendo fare all’agenzia investigativa federale una figuraccia e finendo ai margini delle indagini. Questo ha rimesso in discussione le sue capacità come direttore dell’FBI, un incarico che ha ricevuto grazie alla sua fedeltà politica verso Trump e nonostante avesse relativamente poca esperienza nel mondo dell’intelligence.
Il principale errore di Patel è stato creare ulteriore confusione in un momento di per sé già molto caotico. Mercoledì, poche ore dopo l’omicidio di Kirk, Patel aveva scritto su X che era stato arrestato il presunto attentatore. Non era vero, e poco dopo aveva dovuto rettificare (l’arresto del presunto assassino è stato comunicato venerdì).
L’annuncio di Patel non era soltanto irrituale (storicamente l’FBI è sempre stata cauta, soprattutto all’inizio delle indagini, quando non tutte le informazioni sono affidabili), ma non era neppure stato concordato con i suoi collaboratori. Secondo due fonti rimaste anonime, citate dal New York Times, Patel avrebbe deciso di scrivere sui social di sua iniziativa, dopo aver parlato con alcuni agenti, senza avvisare i suoi collaboratori.

Un agente di polizia di un’unità cinofila durante le ricerche dell’attentatore, il 10 settembre (EPA/MARIELLE SCOTT)
Anche le tempistiche del post sono state problematiche, perché era stato pubblicato pochi minuti prima che in Utah (lo stato dove è stato ucciso Kirk) iniziasse la conferenza stampa del governatore Spencer Cox e di vari funzionari dell’FBI, che in pratica lo hanno smentito in diretta dicendo che il presunto attentatore era ancora «in fuga». Mercoledì sera erano poi state arrestate due persone, entrambe rilasciate.
Alcune foto del sospettato diffuse sui social dall’FBI
Giovedì Patel è andato in Utah da New York, per dimostrare che si stava facendo carico delle indagini in prima persona. Nell’immediato non c’erano stati progressi. La richiesta di aiuto pubblica dell’FBI per identificare il sospettato, di cui erano state diffuse dapprima alcune immagini e poi un video con la promessa di ricompense fino a 100mila dollari in cambio di informazioni utili, è stata considerata un fallimento dei sistemi di riconoscimento facciale.
Nella conferenza stampa serale di giovedì, Patel si era addirittura limitato a restare in silenzio alle spalle di Cox mentre parlava, senza intervenire. In quella di venerdì, in cui è stato confermato l’arresto del sospettato, ha cominciato difendendo le tempistiche del suo operato ed elogiando esplicitamente l’FBI e la polizia dello Utah, come a dire: non abbiamo sbagliato niente.

Il direttore dell’FBI Kash Patel, a destra, in silenzio durante la conferenza stampa del governatore dello Utah, Spencer Cox, l’11 settembre
In questi giorni Patel è stato criticato anche da noti attivisti di destra, tra cui Laura Loomer, e una fonte di Reuters nell’amministrazione Trump ha definito il suo comportamento «non accettabile».
Anche prima dell’assassinio di Kirk, l’operato di Patel alla guida dell’FBI era già stato messo in dubbio. Sotto la sua direzione sono stati licenziati o costretti alle dimissioni funzionari dell’agenzia importanti ed esperti, che non sempre sono stati adeguatamente sostituiti. Tre gli hanno fatto causa mercoledì, sostenendo di essere stati cacciati secondo criteri politici e che Patel avesse chiesto loro per chi votavano. Tra loro c’è Brian Driscoll, che era stato il capo ad interim dell’FBI finché la nomina di Patel non era stata confermata dal Senato (con un margine molto risicato).

Kash Patel sul luogo dove è stato ucciso Kirk, nella Utah Valley University ad Orem, l’11 settembre (Rio Giancarlo/The Deseret News via AP)
Inoltre Patel un mese fa aveva demansionato Mehtab Syed, un’esperta agente dell’antiterrorismo che era stata scelta per dirigere la sezione dell’FBI di Salt Lake City, la capitale dello Utah, cioè quella coinvolta nelle indagini.
Oltre ai licenziamenti, Patel ha impiegato le risorse dell’agenzia per operazioni che poi sono state ritenute di parte o comunque discutibili, come perquisire la casa e l’ufficio di John Bolton, che negli ultimi anni è diventato un netto oppositore di Trump, o partecipare senza troppe cautele alle operazioni di pattugliamento a Washington sbandierate dall’amministrazione.
Alcune delle decisioni di Patel, per certi versi punitive verso l’agenzia che dirige, non sono state così sorprendenti, dato che era noto per essere ideologicamente critico dell’FBI. In passato aveva proposto di chiuderne la sede di Washington, di licenziarne i dirigenti e di metterla «in ginocchio». In un suo libro intitolato Government Gangsters aveva fatto i nomi di diverse persone che accusava di essere esponenti del cosiddetto “deep state“, espressione che le ali più radicali del partito Repubblicano e i teorici del complotto utilizzano per riferirsi a un coordinamento nascosto di influenti funzionari e burocrati vicini al Partito Democratico.
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