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  • Venerdì 12 settembre 2025

Lo sfruttamento nella logistica continua, nonostante le inchieste

A Torino è stata aperta un’inchiesta su un sistema di cooperative fittizie identico a quelli già scoperti da altre procure

Un magazzino
(Wang He/Getty Images)
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L’inchiesta aperta dalla procura di Torino che ha portato al sequestro di 26 milioni di euro a due aziende della logistica, Postalcoop e Cargo Broker, sembra la fotocopia di molte altre avviate negli ultimi anni da altre procure italiane. Le accuse sono sempre le stesse – evasione delle tasse e dei contributi – e anche il metodo individuato dai magistrati non è nuovo: le due aziende che gestivano e consegnavano pacchi per conto di grandi gruppi dell’e-commerce sono accusate di aver organizzato un articolato sistema di false cooperative. Questo ennesimo sequestro, insieme agli altri avvenuti negli ultimi mesi, dimostra che finora la giustizia italiana ha potuto far poco contro questo diffuso sistema di evasione e sfruttamento.

Ormai lo schema scoperto dalle inchieste è noto. È formato da tre o più livelli: nel primo livello ci sono le grandi aziende che vogliono esternalizzare i servizi per ridurre i costi. I veri problemi iniziano nel secondo livello, in cui operano società come Postalcoop e Cargo Broker. Solitamente è da queste società che si sviluppa un terzo o un quarto livello di subappalti, costruito appositamente per non pagare le tasse.

Nel terzo livello ci sono quasi sempre cooperative che gestiscono direttamente le consegne ed emettono fatture trovando il modo di chiudere e sparire per non pagare principalmente l’IVA, oltre ai contributi previdenziali dei lavoratori. Questo sistema assicura un guadagno anche alle aziende del secondo livello, che ottengono detrazioni fiscali sull’IVA sulla base delle fatture emesse dalle cooperative.

Più livelli vengono creati e più è complesso risalire a chi deve pagare quei soldi. Quasi sempre accade che le cooperative vengano aperte e chiuse nel giro di poco tempo, grazie alla collaborazione di prestanome. Cambia il nome dell’azienda, ma i magazzini e i mezzi restano sempre gli stessi. In queste aziende formate da poche persone, e in cui raramente si vedono i responsabili, gli stipendi vengono pagati con indennità di trasferta, esente da tasse, senza che il lavoratore si sia mai spostato dal magazzino e ovviamente senza applicare il contratto nazionale. Oppure si ricorre al metodo del falso part time: su dieci o dodici ore al giorno lavorate, in busta paga ne vengono riconosciute quattro o cinque.

Questo complesso sistema assicura vantaggi anche alle imprese committenti, quelle del primo livello, che esternalizzano le consegne a prezzi molto bassi, fuori mercato. Il costo irrisorio del lavoro e il mancato pagamento delle tasse consentono alle cooperative del terzo livello e alle aziende del secondo di offrire tariffe insostenibili per chi invece lavora nella legalità. Nel caso di Torino, secondo gli investigatori Postalcoop e Cargo Broker offrivano servizi di consegna a grandi aziende come Amazon e GLS.

La procura ha sentito molti lavoratori coinvolti, che hanno aiutato gli investigatori a ricostruire lo schema delle cooperative aperte e chiuse negli anni. Come già successo in passato, anche stavolta i lavoratori hanno detto di essere stati costretti a firmare nuovi contratti senza preavviso e senza la possibilità di discutere i dettagli. In totale sono state indagate 38 persone, tra cui avvocati e commercialisti accusati di avere messo in piedi il meccanismo per evadere le tasse.

In questo caso la procura di Torino non ha chiamato in causa i gruppi committenti, che è invece il metodo usato dalla procura di Milano, che ha indagato tra le altre Amazon, DHL, GLS, FedEx, Esselunga.

Le inchieste aperte a Milano si basano sull’idea che le grandi aziende committenti debbano avere la responsabilità di controllare tutta la propria filiera: non solo le società a cui affidano direttamente la produzione, ma anche quelle a cui la produzione o logistica viene ulteriormente subappaltata. Dal 2021 la sola procura milanese ha recuperato 438 milioni di euro di tasse non pagate e ha ordinato la regolarizzazione di circa 10mila lavoratori.

– Leggi anche: Lo sfruttamento nella filiera delle grandi aziende si può evitare

Negli ultimi anni, al di là delle inchieste, i tentativi per contrastare l’illegalità nella filiera della logistica sono stati limitati e poco concreti. Uno dei più promettenti è stato proposto nel 2022 a Bologna, quando è stata scritta la carta della logistica etica, con una serie di regole pensate per garantire più sicurezza sul lavoro, contratti migliori e modalità di comunicazione più rispettose dei lavoratori.

La carta impone l’applicazione e il rispetto del contratto nazionale di settore e del contratto a tempo indeterminato «come forma comune di rapporto di lavoro nell’ottica del lavoro stabile e della continuità occupazionale», contrastando l’abuso del lavoro a termine. Le aziende che la firmano devono impegnarsi a costruire una filiera corta negli appalti e nei subappalti, con pochi passaggi e intermediari, a sostenere le pari opportunità rivolgendo attenzione all’età e al genere all’interno delle imprese, e a garantire parità salariale e la conciliazione dei tempi di vita e lavoro.

Finora la carta della logistica etica è stata firmata da 22 imprese, con circa 4.500 lavoratori. In tutta l’Emilia-Romagna il settore conta più di 10mila imprese con circa 90mila lavoratori e lavoratrici.