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  • Lunedì 1 settembre 2025

Narendra Modi non vuole farsi mettere all’angolo da Trump

E per questo il primo ministro indiano si sta mostrando molto vicino a Xi Jinping e a Vladimir Putin, con abbracci e strette di mano un po' inusuali

Vladimir Putin, Narendra Modi e Xi Jinping (Suo Takekuma/Pool Photo via AP)
Vladimir Putin, Narendra Modi e Xi Jinping (Suo Takekuma/Pool Photo via AP)
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Domenica e lunedì il primo ministro indiano Narendra Modi ha incontrato a Tientsin, in Cina, il presidente cinese Xi Jinping e quello russo Vladimir Putin. Sono stati incontri molto cordiali, in cui Modi ha ostentato, come fa spesso, strette relazioni personali: ha preso per mano e abbracciato Putin, ha scherzato, riso e preso per mano anche Xi. Modi non andava in Cina da sette anni, e soprattutto dal 2020 i rapporti tra i due paesi sono stati molto tesi, se non conflittuali. La ritrovata cordialità mostrata in questi giorni va intesa come una risposta di Modi alle recenti dispute diplomatiche e commerciali con gli Stati Uniti del presidente Donald Trump.

In oltre dieci anni di governo, Modi ha sempre cercato di presentarsi in India come un leader forte e capace di farsi rispettare anche all’estero. La parte del paese che lo sostiene è animata da forti sentimenti nazionalistici. Quando a inizio agosto Trump ha imposto all’India dazi del 50 per cento (altissimi), Modi non ha cercato di blandirlo né ha mostrato di voler necessariamente negoziare, anzi: ha appunto ribadito i legami con la Russia e mostrato un avvicinamento alla Cina.

Un momento dell’incontro (EPA/ALEXANDER KAZAKOV/SPUTNIK/KREMLIN)

Può essere una manovra negoziale o un’evoluzione importante del confronto fra Trump e Modi, entrambi leader populisti, con un grande ego e la tendenza a prendere decisioni radicali quando si sentono attaccati, senza preoccuparsi molto delle conseguenze.

Sin dalla sua indipendenza, nel 1947, l’India ha mantenuto rapporti di alleanza piuttosto ambivalenti, inserendosi fra i paesi “non allineati” e non legandosi a nessuna delle due cosiddette “superpotenze” della Guerra Fredda, ossia gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica. Negli ultimi decenni era sembrata però avvicinarsi progressivamente ai paesi occidentali e agli Stati Uniti, che la consideravano un alleato strategico in Asia e un possibile argine all’influenza cinese. Durante il suo primo mandato (2017-2021), Trump aveva avuto rapporti piuttosto stretti con Modi, e lo scorso novembre la sua rielezione era stata accolta con favore in India: Modi aveva promosso la loro amicizia come un fattore che avrebbe favorito il paese.

A maggio, nel periodo degli scontri e dei bombardamenti in Kashmir fra India e Pakistan, le retoriche di Trump e Modi hanno finito per scontrarsi. Trump si era preso il merito di aver mediato un cessate il fuoco tra i due paesi, ma l’India aveva parecchio ridimensionato il ruolo degli Stati Uniti, perché Modi aveva costruito intorno a quegli scontri una forte retorica nazionalista: accettare di interromperli per rispondere a pressioni statunitensi sarebbe stato un segnale di debolezza. Il governo indiano aveva quindi detto più volte che il cessate il fuoco era stato deciso per volontà dell’India, in autonomia.

Da questa prima contraddizione sono nate le tensioni fra India e Stati Uniti, poi cresciute con i dazi imposti da Trump. A fine luglio erano stati fissati al 25 per cento, poi sono stati alzati al 50 per cento, ufficialmente per punire gli acquisti di petrolio russo da parte dell’India. Sono entrati in vigore la settimana scorsa e possono avere effetti pesanti sull’economia dell’India, che nel 2024 ha esportato negli Stati Uniti merci per oltre 60 miliardi di dollari. Finora però Modi non ha mostrato fretta di negoziare per ottenere condizioni migliori, anche perché una parte dell’opinione pubblica indiana ora è piuttosto ostile agli Stati Uniti. Trump ha definito l’economia indiana «morta», ha mostrato vicinanza con il governo pakistano e ha anche detto che un giorno il Pakistan «potrebbe vendere petrolio all’India».

Una protesta con cartelloni dipinti da studenti di arte a Mumbai (AP Photo/Rajanish Kakade)

Molti dei commentatori più nazionalisti in India hanno preso queste affermazioni come veri oltraggi: i media hanno contribuito a rafforzare le ostilità, complicando le mediazioni diplomatiche nel breve periodo. Modi a metà agosto ha quindi invitato il paese a una maggiore autosufficienza e ha detto di voler proteggere i piccoli imprenditori indiani «a qualunque costo».

Secondo fonti diplomatiche anonime citate dal New York Times Trump ha cercato di organizzare un colloquio telefonico con Modi varie volte, senza ottenere risposta dal governo indiano (portavoce del governo statunitense hanno negato questi tentativi). I due leader non si sentono dallo scorso 17 giugno, e un incontro previsto per la fine di settembre sembra ancora tutt’altro che sicuro.

L’abbraccio fra Trump e Modi nell’incontro del febbraio del 2025, a Washington (AP Photo/Ben Curtis)

Come detto invece Modi ha scelto di incontrare Xi e Putin, anche con colloqui bilaterali, durante la riunione dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai, un organo guidato da Cina e Russia che promuove l’alleanza economica e militare fra paesi non occidentali. Gli incontri non hanno portato a decisioni sostanziali, ma hanno confermato i segnali di distensione tra India e Cina.

Nel 2020, dopo alcuni scontri di confine nella valle di Galwan, nello stato indiano del Ladakh, i due paesi avevano ridotto i rapporti. Tra le altre cose erano stati sospesi i voli diretti (dovrebbero però riprendere nelle prossime settimane), e il governo indiano aveva lanciato un complesso progetto per limitare gli acquisti di manufatti cinesi a basso costo e aumentare la produzione interna. Tuttora le app cinesi non funzionano in India per ragioni di sicurezza.

Agli incontri di questi giorni la situazione è sembrata molto più distesa: sia Modi sia Xi hanno indicato di voler ampliare la loro collaborazione in futuro e hanno ricordato i recenti progressi per risolvere le dispute territoriali. L’incontro ha anche chiarito che l’India non intende rinunciare a petrolio e gas russi, che compra – così come la Cina – in grandi quantità e a prezzi convenienti dopo l’invasione russa dell’Ucraina e il conseguente isolamento del regime di Putin.

Non è chiaro quanto i due giorni in Cina vadano intesi come un reale riposizionamento dell’India, e quanto invece siano uno strumento utile a Modi per cercare di rilanciare la sua immagine di leader forte e rispettato. I problemi con la Cina vanno avanti da tempo e sono di difficile soluzione: c’entrano per esempio il sostegno cinese al Pakistan e il progetto di una grande diga in Tibet che secondo l’India potrebbe condizionare il normale flusso del fiume Brahmaputra, fondamentale per l’agricoltura degli stati del nord-est. Modi inoltre sta cercando di proporre l’India come alternativa alla Cina per la produzione a basso costo di vari prodotti, a partire da quelli tecnologici.

Allo stesso tempo, i legami economici tra India e Stati Uniti sono consolidati e le esportazioni sono una componente fondamentale di interi settori dell’economia indiana, come quello tessile, che ora dovrà competere con paesi come il Vietnam o il Bangladesh, sottoposti a dazi statunitensi più bassi.