Si può trasportare l’arazzo di Bayeux?
Macron ci tiene a prestarlo al Regno Unito per ragioni diplomatiche, anche se restauratori ed esperti lo sconsigliano visto il suo stato di conservazione

Negli ultimi giorni in Francia è diventata un caso l’ostinazione del presidente francese Emmanuel Macron sul prestare al British Museum di Londra l’antico arazzo di Bayeux, che si trova in Francia ma è molto significativo per il Regno Unito. Il prestito dovrebbe durare da settembre del 2026 a luglio del 2027, e già quando a luglio del 2025 era stato annunciato restauratori e storici dell’arte avevano espresso dubbi sulla fattibilità dell’operazione per via delle condizioni dell’opera, considerata troppo fragile per essere trasportata. Era anche stata aperta una petizione che chiedeva l’annullamento del prestito: oggi ha superato le 60mila firme.
Il presidente Macron ha raccontato il prestito come un simbolo della rinnovata alleanza fra Francia e Regno Unito, che negli scorsi anni a causa di Brexit arrancava. I rapporti sono migliorati dopo l’elezione del primo ministro laburista Keir Starmer, con cui a luglio, proprio nei giorni in cui è stato annunciato il prestito dell’arazzo, Macron ha firmato un accordo sull’immigrazione e uno sul coordinamento degli armamenti nucleari tra i due paesi.
I critici di Macron sostengono quindi che per ragioni diplomatiche il presidente francese stia consapevolmente mettendo a rischio la conservazione di un’opera importantissima.
L’arazzo – che in realtà è un tessuto ricamato – venne realizzato nell’Undicesimo secolo, è lungo 70 metri e rappresenta la conquista dell’Inghilterra da parte di Guglielmo di Normandia, che per l’impresa venne poi chiamato il Conquistatore. È conservato in un museo appositamente costruito per esporlo nella cittadina del nord della Francia da cui prende il nome, dove sta da più di 900 anni. L’opera ha una rilevanza storica e simbolica per il Regno Unito, sia perché rappresenta un momento fondativo del paese sia perché è una fonte importantissima per la storia di quell’epoca. Per tutti questi motivi il Regno Unito aveva già chiesto due volte alla Francia di averla in prestito, senza riuscirci: nel 1953 per l’incoronazione di Elisabetta II e nel 1966 per il 900esimo anniversario della battaglia di Hastings, ritratta sull’arazzo.
Da lunedì 1° settembre il museo dell’arazzo di Bayeux chiuderà per due anni per degli importanti lavori che permetteranno di esporre l’arazzo su un piano inclinato per migliorarne la conservazione, rispetto alla disposizione attuale, in verticale. Prima dell’annuncio del prestito al Regno Unito, l’opera sarebbe quindi dovuta rimanere in deposito per i prossimi due anni.
La scorsa settimana Philippe Bélaval, il responsabile dell’operazione di trasporto dell’arazzo nominato direttamente da Macron, è stato criticato per aver detto ad Agence France-Presse che l’opera «non è intrasportabile», ma anche che lui e il suo team non avevano ancora ben chiaro come portarlo nel Regno Unito: probabilmente sarà trasportato su strada con un camion e poi su una nave, perché il trasporto aereo è giudicato troppo rischioso per gli sbalzi di temperatura, specialmente nel momento in cui l’opera dovrebbe essere trasferita dalla pista all’aereo. Il trasporto verrà interamente pagato dal Regno Unito e si stima che sarà molto costoso, nell’ordine dei milioni di euro.
Per dare sostanza alle sue dichiarazioni Bélaval ha detto che il governo francese si basa su uno studio del 2025 «estremamente accurato», che non vieta espressamente di muoverlo e fornisce «raccomandazioni da seguire a livello di manipolazione e trasporto».

Un’esperta ispeziona l’arazzo di Bayeux nel 2020 (Ville de Bayeux via AP)
Mercoledì però Le Monde, il giornale francese più importante, ha scritto di aver avuto accesso ad alcuni studi che contraddicono quando ha detto Bélaval, dando ragione a chi in queste settimane si era espresso contro il trasporto dell’opera. Il contenuto di due fra questi studi, pubblicati nel 2021 e nel 2022, era finora rimasto riservato su richiesta della Direzione regionale degli affari culturali della Normandia (DRAC), che possiede l’opera.
Secondo uno studio del 2020 commissionato proprio dalla DRAC l’opera è estremamente fragile e presenta più di 24mila macchie, 16.445 pieghe, quasi 10mila difetti e 30 strappi «non stabilizzabili», cioè che non potrebbero essere messi in sicurezza in fase di restauro. Un altro studio del 2021 consultato da Le Monde conferma questa analisi, sconsigliando «fortemente» qualsiasi tipo di trasporto a lunga distanza superiore a un’ora, che potrebbe causare dei danni irreversibili: «Non esiste alcun sistema di smorzamento delle vibrazioni in grado di eliminare ogni rischio durante la manipolazione e il trasporto dell’arazzo», si legge nello studio. Un terzo documento riservato scritto nel 2022 da un altro consorzio di restauratori e consultato da Le Monde giunge alla stessa conclusione, dicendo che se proprio il trasporto fosse necessario quello via terra sarebbe il più consigliato.
Anche Isabelle Attard, direttrice del museo dell’arazzo di Bayeux dal 2005 al 2010 ed ex deputata del partito dei Verdi all’Assemblea Nazionale, la camera bassa del parlamento francese, ha detto a The Art Newspaper che l’arazzo non dovrebbe essere spostato: «È estremamente fragile a causa della sua età, dei trasferimenti subiti nel corso dei secoli, del fatto che è stato esposto a un’illuminazione quasi continua dal suo ritorno a Bayeux dopo la Seconda guerra mondiale e del modo in cui è attualmente esposto, cucito su un supporto tessile» che crea tensioni su tutta la superficie.

Un dettaglio dell’arazzo, fotografato nel 2019 (AP Photo/Kamil Zihnioglu)
Per il momento Macron ha commentato queste preoccupazioni scherzandoci su: a luglio ha detto che la Francia aveva «trovato i migliori esperti del mondo per spiegare in modo dettagliato» perché il prestito fosse «impossibile», ma che lui e il suo governo avevano deciso diversamente.
Non sarebbe comunque la prima volta che la Francia presta una delle sue opere d’arte più importanti come segno di rispetto, o per migliorare le relazioni con altri paesi, causando grandi dibattiti: nel 1963 il presidente Charles de Gaulle inviò la Gioconda negli Stati Uniti, in un momento di tensione causata da disaccordi sulla questione delle armi nucleari. Al tempo i conservatori del Louvre si erano fermamente opposti all’idea, sostenendo che il dipinto fosse troppo fragile, ma l’opera fu poi nuovamente prestata nel 1974 al Giappone e all’Unione Sovietica.
«In tutti i casi, si trattava di migliorare la qualità delle relazioni diplomatiche e commerciali con questi paesi», ha detto a Le Monde la storica dell’arte Laurence Bertrand Dorléac. «Le opere d’arte sono agenti politici attivi».



