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  • Mercoledì 27 agosto 2025

La prima Serie A con i nomi dei calciatori sulle maglie, trent’anni fa

Fu possibile metterli perché i numeri diventarono fissi per tutta la stagione, perdendo il loro tradizionale legame coi ruoli in campo

Giocatori del Milan durante la prima partita della Serie A 1995-96, il 27 agosto 1995 a Padova (Credit: Allsport UK /Allsport)
Giocatori del Milan durante la prima partita della Serie A 1995-96, il 27 agosto 1995 a Padova (Credit: Allsport UK /Allsport)
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Il 27 agosto 1995, trent’anni fa, si giocò la prima giornata della Serie A di quella stagione, con due nuove regole. Una riguardò le sostituzioni, che diventarono tre per ogni squadra. Un’altra – meno rilevante in termini sportivi, eppure di grande impatto mediatico – riguardò l’introduzione della numerazione libera per le maglie dei calciatori. Dal 27 agosto 1995 ogni calciatore di Serie A avrebbe avuto un numero di maglia fisso per tutta la stagione (prima poteva cambiare di partita in partita) con la conseguenza che sopra a quel numero fisso sulle maglie si iniziarono a scrivere anche i cognomi dei calciatori, che prima invece non c’erano.

Fino alla fine della stagione 1994-95 gli 11 giocatori che iniziavano una partita di Serie A lo facevano indossando le maglie dall’1 all’11. Roberto Baggio, che giocava nella Juventus, lo faceva con il 10. Nella stagione 1995-96 Baggio, che nell’estate del 1995 era passato al Milan, giocò invece con il 18, perché il 10 era di Dejan Savićević. E con quel numero, accompagnato dal suo cognome, giocò per tutto il campionato.

La Serie A 1994-95 era stata la prima in cui le vittorie valevano tre punti anziché due: l’aveva vinta la Juventus e il calciatore ad aver segnato più gol era stato Gabriel Batistuta, allora alla Fiorentina. Per la stagione 1995-96 molte squadre avevano fatto cambiamenti importanti: per l’Inter era il primo campionato con Massimo Moratti presidente; il Milan si era rinforzato con Baggio e George Weah, arrivato in estate dal Paris Saint-Germain; la Juventus aveva puntato sul rinforzare difesa e centrocampo e il Parma aveva comprato il bulgaro Hristo Stoičkov, vincitore nel 1994 del Pallone d’oro, il più importante premio per un calciatore. Era arrivato primo davanti a Baggio (vincitore nel 1993) e Paolo Maldini, difensore del Milan.

La novità delle tre sostituzioni fu interessante ma non rivoluzionaria, dato che già dal 1994 se ne potevano fare due, più un’eventuale terza in caso di infortunio del portiere.

Ben più attenzioni furono dedicate alla questione dei numeri di maglia. Numeri che nel calcio sono utili – soprattutto all’arbitro, per capire chi fa cosa – ma non strettamente indispensabili.

Al netto di qualche tentativo isolato, nel calcio internazionale i numeri di maglia si affermarono intorno agli anni Trenta. Anche a causa di moduli di gioco in genere piuttosto fissi e diffusi, vigeva un principio per il quale a un certo numero corrispondeva una determinata posizione in campo: l’1 per il portiere, il 3 per chi giocava in difesa nel ruolo di terzino sinistro, il 7 e l’11 per chi giocava a destra e a sinistra dal centrocampo in su. E fu per conseguenza di queste premesse che certi numeri finirono per essere associati a specifici tipi di calciatori: il 10 per i giocatori più estrosi e tecnicamente dotati, il 9 per i centravanti.

Diego Maradona, con il 10 ma senza cognome sulla maglia, ai Mondiali di Italia ’90 (Franco Origlia/Getty Images)

Fuori dall’Italia le maglie con i numeri fissi per tutta la stagione (e quindi i cognomi sopra ai numeri) arrivarono un po’ prima. Già ai Mondiali statunitensi del 1994, per esempio, si giocò con i nomi sulle maglie: quando sbagliò il famoso rigore nella finale contro il Brasile, sulla schiena Baggio aveva scritto “R. Baggio” (in squadra c’era anche Dino Baggio). E già nella stagione 1994-95 i giocatori di Premier League, il principale campionato inglese, avevano usato nomi e numeri fissi per l’intera stagione.

Roberto Baggio il 17 luglio 1994 a Pasadena, negli Stati Uniti (Shaun Botterill/Allsport/Getty Images)

Nel giugno 1995 un articolo del Corriere della Sera raccontò che fu proprio in Premier League che le vide Moratti, che aveva comprato l’Inter a febbraio, e che le propose al resto della Serie A. L’articolo parlò di «maglie d’identità» con «nomi sulle spalle e numerazione fissa come ai Mondiali».

Prima di allora c’erano stati rari tentativi di fare qualcosa di simile, compreso uno in un Milan-Napoli del 1979, peraltro sospeso per nebbia.

Il 6 luglio, quando la decisione divenne ufficiale, il Corriere parlò delle «maglie personali, con cognome del giocatore e numero fisso» come di «un’altra piccola rivoluzione, un’altra tappa verso la spettacolarizzazione del calcio e nella direzione di maggiori ricavi». L’articolo aggiunse: «Grazie alle casacche personalizzate sarà possibile mutuare un’usanza tipica del basket, ritirando per sempre le maglie dei grandi giocatori».

C’erano comunque regole precise: ogni squadra doveva assegnare numeri in ordine progressivo, dall’1 in avanti. Se aveva per esempio 24 giocatori in squadra, i numeri dovevano essere dall’1 al 24, con i successivi numeri lasciati a nuovi arrivi o a giocatori che dalle giovanili finivano per giocare con la prima squadra.

Le squadre adottarono metodi diversi per assegnare le maglie. Si parlò di aste tra i giocatori per contendersi i numeri più ambiti. L’Atalanta li assegnò in ordine alfabetico: il difensore Paolo Montero prese il 9 e l’attaccante Christian Vieri il 20.

Paolo Montero in una partita della Serie A 1995-96 (ANSA)

Alcuni giocatori scelsero per esempio il 23, il numero in NBA di Michael Jordan, e pare che Diego Fuser scelse il 14 come omaggio a Johan Cruijff, che in una delle rare eccezioni alla tradizione dell’1-11 giocò per anni con il 14. Baggio si prese il 18.

Da lì in poi, in Italia e all’estero la “liberalizzazione” dei numeri proseguì, fino a permettere di scegliere liberamente tra l’1 e il 99. Il portiere Cristiano Lupatelli giocò con il 10 e ci sono stati giocatori di movimento (quindi non portieri) che hanno giocato con l’1 o con il 12 (storicamente riservati ai portieri). Molti calciatori hanno scelto il 99, qualcuno ha scelto cifre che, sommate, facessero il numero desiderato ma già preso da un altro: non potendo avere il 9 assegnato dall’Inter a Ronaldo, il cileno Iván Zamorano esplicitò la cosa con un “+” tra le due cifre del suo numero 18.

Ci sono stati casi di scelte volutamente buffe (Fabio Gatti giocò per anni con il 44) e molti numeri in effetti ritirati come ipotizzato dal Corriere: il Milan lo ha fatto con il 6 che fu di Franco Baresi e l’Inter con il 4 di Javier Zanetti. C’è poi il caso del numero 88, vietato per via del significato neonazista a cui può alludere: ciascun otto può indicare l’ottava lettera dell’alfabeto, la “H”, e due “H” messe insieme sono spesso usate dai gruppi di estrema destra per indicare il saluto nazista «Heil Hitler».