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  • Martedì 26 agosto 2025

Un altro incontro alla Casa Bianca prevedibilmente imprevedibile

È stato quello fra Trump e il presidente sudcoreano Lee Jae-myung, che ha fatto di tutto per evitare un nuovo «momento Zelensky»

Donald Trump e Lee Jae Myung si stringono la mano dello Studio Ovale, il 25 agosto 2025 (AP Photo/Alex Brandon)
Donald Trump e Lee Jae Myung si stringono la mano dello Studio Ovale, il 25 agosto 2025 (AP Photo/Alex Brandon)
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Lunedì sera Donald Trump ha incontrato alla Casa Bianca Lee Jae-myung, il neoeletto presidente della Corea del Sud, per discutere di rapporti commerciali e militari fra i due paesi. È stato un incontro cordiale, anche se da parte sudcoreana c’era molta preoccupazione di subire un’aggressione verbale da parte di Trump: cioè di subire quello che Lee stesso ha definito un «momento Zelensky», in riferimento all’agguato preparato da Trump e dal vicepresidente statunitense JD Vance al presidente ucraino Volodymyr Zelensky durante l’incontro di febbraio alla Casa Bianca.

Da quel disastroso incontro, diversi leader mondiali che hanno incontrato Trump hanno avuto le stessa preoccupazione: ad alcuni leader è andata bene, come ai capi di stato e di governo europei, ma non si può dire altrettanto per il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa, che a maggio era stato attaccato da Trump sulla base di teorie false sul genocidio dei bianchi. Lee si è difeso dall’imprevedibilità di Trump come ha potuto e come avevano fatto prima di lui tanti altri: facendo molti complimenti al presidente statunitense ed evitando di contraddirlo di fronte ai giornalisti.

L’atteggiamento di Lee è stato molto condizionato anche dal fatto che l’incontro era cominciato in una situazione tutt’altro che ottimale. Poche ore prima del suo arrivo alla Casa Bianca, infatti, Trump aveva pubblicato sul suo social Truth un post in cui chiedeva: «COSA STA SUCCEDENDO IN COREA DEL SUD? Sembra una purga o una rivoluzione», senza specificare di cosa stesse parlando. I collaboratori di Lee temevano che Trump si stesse riferendo al tentato colpo di stato dell’ex presidente sudcoreano Yoon Suk-yeol e al processo che ne è derivato, al centro di molte teorie cospirazioniste della destra sudcoreana ispirate a quelle statunitensi sulle elezioni presidenziali del 2020.

Trump aveva poi spiegato che si stava riferendo invece alle recenti perquisizioni avvenute in una base militare gestita congiuntamente dagli Stati Uniti e dalla Corea del Sud e in alcuni luoghi collegati alla Chiesa dell’unificazione: un gruppo religioso sudcoreano considerato da molti una setta, che sostiene diverse cause conservatrici anche negli Stati Uniti e che al momento è sotto indagine per corruzione di pubblici ufficiali.

Durante l’incontro Trump ha notevolmente ammorbidito i toni e ha descritto i suoi precedenti commenti come un potenziale «malinteso», dopo che Lee gli aveva spiegato la questione.

Anche senza l’ansia dell’ultimo minuto causata dal post su Truth, Lee aveva previsto che si sarebbe trattato di un incontro complicato e per questo ha detto di essersi preparato leggendo il libro di Trump, The Art of the Deal. Fra i conservatori statunitensi infatti Lee è considerato un presidente «anti-americano» dato che in passato si è mostrato scettico nei confronti dell’alleanza militare fra Corea del Sud e Stati Uniti e ora intende sviluppare legami più forti con la Cina.

Per ingraziarsi Trump, Lee è stato il primo a citare la questione della Corea del Nord, chiedendo al presidente statunitense un aiuto per migliorare i rapporti fra i due paesi e facendo leva sull’ambizione di Trump di essere un grande pacificatore: «L’unica persona che può fare progressi è lei, signor Presidente».

A quel punto Trump ha iniziato un lungo discorso sulle buonissime relazioni fra lui e il dittatore nordcoreano Kim Jong Un. Lee si è complimentato con Trump per le sue capacità diplomatiche e ha scherzato dicendo che avrebbe voluto vedere presto il presidente statunitense giocare a golf in Corea del Nord. Allo stesso tempo si è astenuto dal fare commenti che avrebbero potuto compromettere il clima disteso che si era creato.

Rispetto ai suoi predecessori, Lee è più aperto alla possibilità di dialogare con la Corea del Nord, ma è stato comunque notevole che un presidente sudcoreano non si intromettesse in un discorso di elogio del suo principale rivale.

Ufficialmente i due dovevano vedersi per discutere di rapporti commerciali e del ruolo degli oltre 28mila soldati statunitensi stanziati in Corea del Sud per proteggere il paese da eventuali attacchi della Corea del Nord: sono due temi complessi e in passato Trump aveva accusato la Corea del Sud di approfittarsi della generosità statunitense.

La preoccupazione maggiore per il governo sudcoreano era che Trump volesse concretizzare la sua volontà già annunciata di impiegare i soldati statunitensi in Corea del Sud non solo in funzione difensiva verso eventuali attacchi nordcoreani, ma anche e soprattutto come strumento per contenere l’espansione cinese. Il governo sudcoreano però teme che entrare direttamente in un qualche tipo di disputa militare con la Cina potrebbe aumentare le possibilità che la Corea del Sud possa essere coinvolta in una guerra tra Cina e Taiwan, se mai dovesse iniziare.

Lunedì però Trump si è limitato a ribadire che la Corea del Sud dovrebbe contribuire di più alla sua difesa, pagando di più per l’aiuto statunitense. Lee non ha contraddetto Trump nemmeno quando ha detto che in futuro gli Stati Uniti potrebbero possedere i pezzi di terra sudcoreani dove oggi si trovano le basi militari statunitensi.