Da dove viene il dominio del centrosinistra a Milano
Da 15 anni vince tutte le elezioni, nonostante la percezione diffusa di una città sempre più esclusiva e respingente: com'è possibile?

A Milano governa da 15 anni il centrosinistra, da quando nel 2011 diventò sindaco Giuliano Pisapia. Da allora ha vinto tutte le elezioni: non solo quelle amministrative, ma anche le regionali e le europee. Vinse perfino alle politiche del 2022, mentre nel resto d’Italia la destra otteneva l’ampia maggioranza che ancora oggi sostiene il governo di Giorgia Meloni.
A Milano il centrosinistra ha la maggioranza anche in molti quartieri più periferici, in controtendenza rispetto a quasi tutte le altre grandi città italiane, dove ormai da tempo le periferie votano prevalentemente a destra. Succede a causa di alcune peculiarità nella storia di Milano, in passato polo operaio, ma anche per via del modo in cui si è sviluppata la città negli ultimi decenni, di come ha cambiato forma e di come è cambiata la sua popolazione.
Tutto questo è avvenuto proprio mentre tra le persone si diffondeva la percezione che Milano fosse sempre più esclusiva e per pochi, spesso per ricchi. Le recenti inchieste sull’urbanistica, poi, stanno contribuendo ad alimentare ampie discussioni sul fatto che Milano sia una città troppo elitaria, dove il guadagno di pochi può prevalere sull’interesse pubblico. Ma il dibattito esiste anche perché tanti, in realtà, vedono Milano come una città ambivalente, il luogo delle opportunità ma anche dei sacrifici. La modernità ha migliorato la città e i suoi servizi, ma per alcuni l’ha resa respingente, portando un aumento dei costi insostenibile.

Parte dello skyline di Milano visto dal Duomo, a dicembre del 2024 (Stefano Porta / LaPresse)
Resta il fatto che la maggior parte dei milanesi ha continuato a preferire le stesse giunte di centrosinistra sotto le quali questa sensazione si è diffusa. È un’apparente contraddizione che si può provare a spiegare in vari modi. Il primo è che nonostante la narrazione di una città escludente, nel complesso Milano soddisfa chi ci vive. Paolo Natale, professore del dipartimento di scienze sociali e politiche all’università Statale di Milano, realizza periodicamente una rilevazione sulla percezione della qualità della vita dei residenti a Milano: «Tendenzialmente – dice – tre quarti degli intervistati sostiene di avere un livello di qualità della vita almeno sufficiente e che non cambierebbe il posto in cui abita».
Per esempio: a Milano il 70 per cento dei residenti è proprietario di casa. Per queste persone l’aumento dei prezzi delle abitazioni – per cui Milano in questi anni è stata molto criticata – si traduce in aumento del valore dei loro immobili, che possono rivendere a prezzi molto più alti di quelli di acquisto (questo non esclude che ci siano comunque grossi problemi per un’ampia fascia di popolazione).
Più del 60 per cento degli attuali residenti non viveva in città 15 anni fa. Sono spesso persone che si sono trasferite perché attratte dall’offerta di Milano: università di buon livello e poi soprattutto lavoro, ma non solo. Negli ultimi anni sono aumentati o diventati più rilevanti e frequentati gli eventi che si tengono a Milano, soprattutto dopo l’Expo del 2015, l’esposizione universale per la cui organizzazione fu commissario unico l’attuale sindaco Giuseppe Sala, che l’anno dopo fu eletto anche forte della notorietà e credibilità ottenuta.
Ci sono eventi annuali come la settimana della moda o il Salone del mobile, diventati punti di riferimento internazionali, e tra pochi mesi ci saranno le Olimpiadi invernali ospitate insieme a Cortina. Sono tutti eventi che attirano a Milano molti investitori, soprattutto stranieri. Se da un lato i loro fondi fanno aumentare il valore (e i prezzi) di beni e servizi, dall’altro aumentano il turismo e le persone dall’estero, con ricadute positive dal punto di vista economico e culturale. Si diffonde così la percezione positiva di una città internazionale di cui i cittadini sono mediamente contenti.

Il quartiere centrale di Brera durante il Fuorisalone, l’evento legato al Salone del mobile con eventi e installazioni in giro per la città (Claudio Furlan/LaPresse)
Le persone che vanno a vivere a Milano per studio, lavoro o vita culturale e mondana sono generalmente giovani e istruite, e sono fasce di popolazione che un po’ ovunque votano tendenzialmente più a sinistra che a destra. Molti quartieri hanno subìto processi di gentrificazione, quello che succede quando una zona viene rinnovata con opere urbanistiche e di rigenerazione urbana, che fanno crescere il valore degli immobili e di conseguenza anche il costo della vita, a partire dagli affitti: chi non può sostenere i rincari è costretto a spostarsi nei quartieri più esterni della città o nei comuni dell’hinterland. Anche in questo caso i cambiamenti di Milano sono stati escludenti per una parte della popolazione (per qualcuno anche discriminatori, perché non sufficientemente accompagnati da politiche sulla casa), ma allo stesso tempo è possibile che abbiano fatto aumentare la popolazione residente disposta a votare per il centrosinistra.
Questi elementi spiegano in parte cos’è successo a Milano (perlomeno in politica) negli ultimi 15 anni, ma mettono anche in dubbio quello che succederà nel prossimo futuro: nel 2027 ci saranno nuove elezioni amministrative e molti pensano che la conferma del centrosinistra questa volta non sarà scontata. I motivi hanno a che fare proprio con le discussioni sulla città sempre più esclusiva, sull’immagine negativa data dalle inchieste sull’urbanistica, ma anche sull’incertezza di chi sarà il prossimo candidato sindaco. Sala, in passato apprezzato da una buona maggioranza di persone, ha già raggiunto il limite dei due mandati consecutivi e non potrà ricandidarsi (e in ogni caso in tempi recenti ha perso popolarità).
Quando nel 2011 cominciò il governo del centrosinistra, Milano arrivava da 19 anni di amministrazione di centrodestra. In questo periodo, cominciato nel 1993, si susseguirono tre sindaci: Marco Formentini, Gabriele Albertini e Letizia Moratti. Nel 2011 il centrosinistra vinse sostenendo il candidato Giuliano Pisapia, all’epoca noto avvocato e attivista per i diritti umani.
Fu una vittoria inaspettata e per certi versi clamorosa: le previsioni avevano dato come favorita Letizia Moratti, candidata di destra e sindaca uscente, che per la campagna elettorale spese ben 10 milioni di euro contro gli 1,7 del suo avversario. Pisapia inoltre aveva fatto parte di partiti di sinistra radicale come Democrazia Proletaria e Rifondazione Comunista, ed era considerato un candidato troppo poco moderato per vincere a Milano (dove invece un certo “centrismo” aveva sempre pagato, sia a destra che a sinistra). Eppure vinse al ballottaggio con il 55 per cento e dieci punti di distacco da Moratti. Tra i suoi sostenitori si parlò di “rivoluzione arancione”, dal colore che Pisapia scelse per la sua campagna elettorale.

Pisapia festeggia a Milano dopo la vittoria delle elezioni nel 2011, con dietro striscioni arancioni (ANSA/DANIEL DAL ZENNARO)
Ma dietro a quella vittoria c’erano anche ragioni storiche, e per qualcuno non fu un successo inaspettato. Tra questi Gabriele Albertini, ex sindaco di Milano, politico moderato di centrodestra con un orientamento liberale e un retaggio imprenditoriale. Secondo Albertini la vittoria di Pisapia fu prima di tutto un ritorno alle vecchie abitudini elettorali di Milano, che dal 1945 al 1993 fu sempre governata da sindaci socialisti. «Milano – dice al Post – ha una forte sensibilità sociale: è la città dell’invenzione della Croce Rossa negli anni del primo dopoguerra e delle grandi associazioni sindacali. Una città operaia, perché culla dell’industrializzazione del nostro paese».
In quest’ottica, i governi di centrodestra che si susseguirono a Milano tra il 1993 e il 2011 possono essere visti come una sorta di parentesi storica rispetto alla lunga tradizione di governo della sinistra. Secondo Riccardo De Corato, oggi deputato di Fratelli d’Italia e vicesindaco di destra a Milano tra il 1997 e il 2011, questo intervallo fu in parte reso possibile dall’effetto dell’inchiesta Mani Pulite del 1992. L’indagine rivelò un sistema diffuso di corruzione: in diverse città e in particolare a Milano, centro dell’inchiesta, gli imprenditori pagavano tangenti a dirigenti pubblici, anche dell’amministrazione comunale, per ottenere appalti.
Anche se Mani Pulite coinvolse esponenti di quasi tutti i partiti, a livello locale ne risentì soprattutto chi governava in quel momento, cioè, a Milano, i socialisti e il centrosinistra. Il risultato fu che alle elezioni comunali del 1993 elettori ed elettrici premiarono forze politiche percepite come più estranee al sistema corrotto, aprendo la strada al governo di centrodestra. Secondo la tesi di De Corato, che pure è stato uno dei maggiori esponenti della destra milanese, una volta finita quella stagione i voti tornarono al centrosinistra.
La vittoria del 2011 fu, secondo Albertini, anche la risposta ad alcune scelte politiche impopolari di Moratti, ultima sindaca di centrodestra. Tra queste ci fu la decisione di ricomprare società pubbliche che le giunte precedenti avevano venduto e privatizzato. «Questo ha comportato – spiega Albertini – la spesa di diversi milioni di euro che sarebbero serviti per realizzare, per esempio, la metropolitana 4, che doveva essere pronta nel 2009 e invece è stata inaugurata solo qualche mese fa».

Albertini nel 2023 (Alessandro Bremec/LaPresse)
Dopo il 2011 i milanesi confermarono il loro orientamento anche alle amministrative del 2016 votando in maggioranza il candidato del centrosinistra Giuseppe Sala, all’epoca conosciuto come manager di spicco (in quel momento era generalmente percepito come un candidato molto moderato, cosa che cambiò un po’ negli anni successivi). La sua carriera da dirigente gli permise di amministrare la città con un approccio moderato e pragmatico e nel 2021 fu rieletto per un secondo mandato, quello ancora in corso.
Nel frattempo, attraverso questi 15 anni, il centrosinistra a Milano ha mantenuto la maggioranza anche nelle altre elezioni, in controtendenza rispetto al resto del territorio. Uno degli esempi più evidenti è quello delle regionali del 2023: in tutta la Lombardia la coalizione di centrodestra che candidò come presidente Attilio Fontana vinse con il 54,65 per cento, ben 20 punti in più del centrosinistra con candidato Pierfrancesco Majorino. A Milano, invece, la coalizione di Majorino vinse con il 45 per cento, mentre Fontana si fermò al 39.
Anche l’anno prima, alle elezioni politiche del 2022 per eleggere il parlamento, successe una cosa simile. A livello nazionale la coalizione di destra prese intorno al 44 per cento sia alla Camera che al Senato. La coalizione di centrosinistra prese circa il 26 per cento. Eppure vinse a Milano con voti intorno al 38 per cento sia alla Camera che al Senato, contro il 34 della destra.
È in realtà un comportamento elettorale coerente con quello dei grossi centri urbani di tutto il mondo. Ovunque, dalla prima metà degli anni Dieci del 2000, le forze progressiste tendono ad andare bene nelle grandi città, mentre nei piccoli centri e nelle province prevalgono forze conservatrici e populiste. Funziona così anche a Milano, la città italiana più allineata alle tendenze internazionali.
Dipende da evoluzioni culturali ed economiche che hanno cambiato il profilo dell’elettore medio di centrosinistra. Dice Natale, che studia da tempo questi fenomeni: «Fino a 30 o 40 anni fa la sinistra era votata soprattutto dagli operai, elettori non particolarmente ricchi. Da inizio secolo, invece, è votata dalla fetta di popolazione che sta meglio».
In anni recenti le persone con redditi bassi tendono a preferire il centrodestra. Secondo Natale accade perché la popolazione più povera e con un livello di istruzione inferiore ha meno mezzi culturali ed economici per guardare al futuro con tranquillità. Tende quindi a fidarsi di chi promette soluzioni semplici a problemi complessi, come fanno alcuni partiti di destra rispetto a temi come la globalizzazione o l’immigrazione.
Il risultato di questi cambiamenti non si vede solo nelle differenze di voto tra città e provincia, ma anche all’interno della città stessa. Milano ne è un esempio. Come mostrano le mappe di Youtrend, fino al 2011 il centro tendeva a votare più verso destra e la periferia più verso sinistra. Oggi invece il centrosinistra prevale nettamente nelle zone centrali (è la critica che viene spesso mossa da destra al PD quando viene definito “partito delle ZTL”). Mantiene la maggioranza anche nei municipi più esterni della città, dove però la differenza di voti con il centrodestra si riduce.

Una mappa di Youtrend che mostra bene le zone di Milano in cui Sala vinse in modo più netto nel 2021 (Youtrend)
Va considerato, dice Natale, che le periferie milanesi tendono a votare più a sinistra di altre periferie italiane, «perché il livello di istruzione, di lavoro e di capacità produttiva di Milano è molto più elevato del resto d’Italia, anche nelle periferie». Le periferie milanesi però, non sono tutte uguali, e come detto molte sono cambiate in pochi anni anche per effetto della gentrificazione (per esempio con l’arrivo di giovani e studenti).
Simone Zambelli è un assistente sociale ed è stato, tra il 2011 e il 2021, presidente del municipio 8 a Milano, una zona a nord ovest della città che include quartieri come Fiera e CityLife, esempi di modernità e rigenerazione urbana, accanto a zone periferiche come il Gallaratese e Quarto Oggiaro. «Ci sono periferie di Milano – dice Zambelli – stabilmente orientate verso il centrosinistra, come il Gallaratese. Altre hanno delle fasi».
Secondo Zambelli nei quartieri periferici di nuova costruzione, come Cascina Merlata, nell’estremo nord ovest, il centrosinistra è predominante. Nelle periferie storiche, invece, dove i problemi sono stratificati e dove le case popolari sono di più, si vota di più a destra.



