La città siriana divisa in due: i curdi da una parte, gli arabi dall’altra
Deir Ezzor è un po' come Berlino durante la Guerra fredda: qui il governo siriano di Ahmad al Sharaa e i curdi stanno cercando di evitare una nuova guerra
di Daniele Raineri, foto di Gabriele Micalizzi

Deir Ezzor è una città distrutta dalla guerra nell’est della Siria. Oggi è un po’ come Berlino durante la Guerra fredda, che era divisa in due, metà sotto il controllo dell’Unione Sovietica e metà sotto il controllo degli Stati Uniti. La parte ovest di Deir Ezzor è in mano al governo centrale, quello del presidente autoproclamato Ahmad al Sharaa e quindi, in generale, degli arabi siriani. La parte est è in mano ai curdi e alla loro milizia armata. In mezzo scorre il fiume Eufrate e c’è un solo ponte di attraversamento, il jisr al turabi, che in arabo vuol dire “ponte di polvere”.
A un capo del ponte ci sono i soldati del neo governo e dall’altra un posto di blocco dei curdi. È l’unico ponte che funziona nel raggio di centinaia di chilometri ed è una scelta deliberata, per creare una strettoia unica e controllare chi passa dall’una all’altra parte. È una scelta aiutata anche dal fatto che tutti gli altri ponti sull’Eufrate a Deir Ezzor sono stati distrutti dalle bombe. Se ne vedono soltanto i moncherini sospesi sull’acqua.
Di giorno sul jisr al turabi c’è traffico, di notte si sentono colpi di fucile sporadici dalle due parti del fiume. Le postazioni curde e arabe si ricordano a vicenda della propria esistenza. Sono spari per intimidire, in attesa di una nuova fase della guerra civile tra curdi e governo che potrebbe arrivare oppure no. Per ora, sparacchiamenti a parte, tutti i segnali dicono che la guerra non ci sarà, ma la Siria va sempre pensata con un cauto pessimismo.

Una postazione di controllo del ponte di jisr al turabi sul fiume Eufrate, Deir Ezzor, 14 luglio 2025 (Gabriele Micalizzi, CESURA, per il Post)

Il ponte di jisr al turabi sul fiume Eufrate, l’unico collegamento della Siria orientale tra il territorio controllato dalle milizie curde e il resto del paese, Deir Ezzor, 14 luglio 2025 (Gabriele Micalizzi, CESURA, per il Post)
A marzo c’è stata un’insurrezione armata degli alawiti, una minoranza religiosa della Siria, ma è stata repressa con brutalità dai soldati del nuovo governo siriano e centinaia di civili sono stati uccisi. A luglio sono cominciati gli scontri tra i drusi, un’altra minoranza religiosa della Siria, e i soldati del nuovo governo e di nuovo ci sono stati centinaia di morti. Queste due crisi rischiano di sembrare fatti minori se scoppiasse la guerra tra la minoranza curda, che controlla l’est della Siria, e il nuovo governo di al Sharaa.
Tra gli sfaccendati che fanno il bagno sulla sponda araba del fiume – e indicano le posizioni dei cecchini curdi fra gli alberi dall’altra parte – i più giovani fanno dichiarazioni bellicose come «da un momento all’altro marceremo su di loro».

Ragazzi fanno il bagno nel fiume Eufrate, sotto il ponte distrutto che univa i due lati del fiume oggi in mano a SDF e ai curdi, Deir Ezzor, 14 luglio 2025 (Gabriele Micalizzi, CESURA, per il Post)

Ragazzi fanno il bagno nel fiume Eufrate, sotto il ponte distrutto che univa i due lati del fiume oggi in mano a SDF e ai curdi, Deir Ezzor, 14 luglio 2025 (Gabriele Micalizzi, CESURA, per il Post)
Mohammed Salah, un ex combattente quarantenne che è rispettato perché fu tra i primi a prendere le armi contro il regime di Assad, dice invece al Post che i negoziati tra curdi e governo alla fine avranno successo e si troverà una soluzione. Ripete questo slogan: «Uno uno uno, il popolo siriano è uno», che viene citato spesso nei momenti di difficoltà. Era cantato all’inizio della rivolta contro Assad e adesso che pezzi della Siria sembrano volersi staccare dal resto del paese come per una forza centrifuga, vedi gli alawiti sulla costa, i drusi nel sud e i curdi nell’est, è tornato in auge. È un’implorazione: non facciamo un’altra guerra, facciamo prevalere le cose che abbiamo in comune su quelle che ci dividono.

Deir Ezzor, 14 luglio 2025 (Gabriele Micalizzi, CESURA, per il Post)

Deir Ezzor, 14 luglio 2025 (Gabriele Micalizzi, CESURA, per il Post)
Per ora il picco dei negoziati tra curdi e arabi c’è stato il 10 marzo, con un patto firmato dal presidente autoproclamato Ahmad al Sharaa e Mazloum Abdi, capo delle forze militari curde. Un po’ incoraggiante, perché è una cosa senza precedenti, e un po’ no. È un accordo vago, che riconosce i curdi come parte essenziale della Siria ma non ha risolto le questioni che contano.
Le forze curde accetterebbero pure di essere assorbite nell’esercito governativo siriano, ma in cambio non vogliono essere diluite, vogliono che ci siano reparti a prevalenza curda. I curdi vogliono che la loro identità sia rispettata e possano, tra le altre cose, usare la loro lingua e insegnarla a scuola nelle loro aree. Inoltre vogliono il 40 per cento dei profitti che arrivano dai pozzi di petrolio, che sono pochi e tutti a est, sotto il loro controllo.
I curdi sono molti di più degli alawiti e dei drusi messi assieme e inoltre sono una forza combattente migliore. Hanno armi americane, ricevute quando combattevano contro lo Stato islamico, e una struttura disciplinata. Possono dare problemi al governo centrale di al Sharaa. Ma al confine nord c’è la Turchia che potrebbe invadere la Siria per fare la guerra ai curdi, come ha già fatto nel 2019.
Il presidente siriano in passato ha fatto parte di gruppi terroristici che consideravano i combattenti curdi siriani una banda di comunisti atei, perché sono una derivazione del PKK, il Partito dei lavoratori curdi, con l’aggravante di essere diventati anche alleati degli statunitensi. Ma al Sharaa non ragiona più secondo quelle categorie e vuole impressionare favorevolmente i diplomatici occidentali e arabi che possono concedere aiuti finanziari alla Siria.
– Leggi anche: La base americana in mezzo al deserto siriano
Accanto al vialone d’ingresso di Deir Ezzor c’è uno stadio in rovina che un tempo poteva ospitare decine di migliaia di persone e dall’altro lato c’è un cimitero di mezzi militari, camion e blindati con i cingoli accatastati in disordine e lasciati al sole. Tre quarti di Deir Ezzor sono stati ridotti in macerie dai bombardamenti del regime di Bashar al Assad e il livello di devastazione è simile a quello della periferia di Damasco, ma qui ci sono anche quasi trecentomila abitanti. Sono assuefatti al panorama di rovine e vivono e trafficano nei quartieri meno colpiti.

Il cartello dice: “Deir Ezzor vi dà il benvenuto”, Deir Ezzor, 14 luglio 2025 (Gabriele Micalizzi, CESURA, per il Post)

I carri armati distrutti all’entrata della città, Deir Ezzor, 14 luglio 2025 (Gabriele Micalizzi, CESURA, per il Post)
Uno dei posti migliori della città per prendere un caffè o un frullato di frutta ha un dehors, siepi finte e un sistema di nebulizzazione dell’acqua contro la calura ed è all’imbocco della discesa che porta al quartiere al Rashidiya, uno dei più colpiti dalle bombe. In primo piano i tavolini puliti e i camerieri che prendono ordinazioni e subito dietro sembra la Striscia di Gaza, ci sono un ponte e decine di palazzi distrutti.
A dicembre, quando i gruppi ribelli siriani hanno cacciato il dittatore Bashar al Assad, l’attenzione dei media si è concentrata sulla Siria occidentale, quella della costa, delle autostrade e delle città importanti che vanno da Aleppo a Damasco. Deir Ezzor è rimasta lontana. Arretrata, distante, poco accessibile, trascurata in guerra ma anche nei periodi di pace.
Dentro al quartiere distrutto di al Rashidiya c’è la chiesa dei martiri armeni, costruita in modo che al mattino e al pomeriggio tardi le tre navate siano inondate dalla luce del sole. È stata saccheggiata dallo Stato islamico, svuotata di tutto e poi danneggiata con cariche esplosive. Su un lato della navata di destra c’è ancora la bandiera del gruppo terrorista, dipinta con vernice nera.

Le rovine della chiesa dei martiri armeni, Deir Ezzor, 14 luglio 2025 (Gabriele Micalizzi, CESURA, per il Post)

Le rovine della chiesa dei martiri armeni, Deir Ezzor, 14 luglio 2025 (Gabriele Micalizzi, CESURA, per il Post)

Le rovine della chiesa dei martiri armeni, Deir Ezzor, 14 luglio 2025 (Gabriele Micalizzi, CESURA, per il Post)
La regione di Deir Ezzor è dove lo Stato islamico è più attivo, in Siria. Giovedì 31 luglio i terroristi hanno ucciso cinque militari curdi a un posto di blocco, e poi hanno ucciso anche un soldato arabo nella zona controllata dal governo. I quattro attacchi che lo Stato islamico fa ogni settimana in Siria avvengono per la maggior parte in questa zona. Ma per adesso sono soltanto un elemento irritante, che non condiziona i negoziati per la pace.
Sarebbe un disastro, invece, se nel caos di una guerra locale i miliziani curdi non potessero più sorvegliare le prigioni e i campi di detenzione dove sono rinchiuse decine di migliaia di ex combattenti dello Stato islamico e le loro famiglie, ancora convinti di dover creare un califfato globale a costo della vita. Se tornassero liberi, sarebbe la cosa migliore per il gruppo terrorista da quando nel marzo 2019 cessò di esistere come entità territoriale.



