Martina Oppelli è morta in Svizzera ricorrendo al suicidio assistito, a cui non aveva potuto accedere in Italia

Martina Oppelli nell'appello diffuso a maggio del 2024 (
Martina Oppelli nell'appello diffuso a maggio del 2024 (ANSA/ASSOCIAZIONE LUCA COSCIONI)

Giovedì Martina Oppelli, da più di 25 anni affetta da una patologia neurodegenerativa progressiva, è morta dopo essere ricorsa in Svizzera al suicidio medicalmente assistito, la pratica con cui a determinate condizioni ci si autosomministra un farmaco letale. In Italia non aveva potuto accedervi. Il caso di Oppelli era stato molto raccontato a maggio dell’anno scorso, quando attraverso l’Associazione Luca Coscioni aveva diffuso un appello in cui chiedeva che venisse promulgata una legge per regolamentare il fine vita. In Italia la morte assistita è legale grazie a una sentenza della Corte Costituzionale del 2019, che l’ha depenalizzata ad alcune specifiche condizioni, ma una proposta di legge che ne definisca chiaramente i tempi e le modalità è da tempo ferma in Senato.

Appellandosi alla sentenza, Oppelli aveva chiesto di poter accedere al suicidio assistito tre volte, ma la sua richiesta era stata sempre respinta: nonostante fosse quasi completamente paralizzata e necessitasse di assistenza continua, l’azienda sanitaria del Friuli Venezia Giulia (dove Oppelli viveva) aveva stabilito che il suo caso non rientrava fra quelli previsti dalla sentenza poiché non era tenuta in vita da «trattamenti di sostegno vitale», come per esempio un ventilatore o un respiratore meccanico. A maggio dell’anno scorso, come nel suo ultimo videomessaggio diffuso giovedì dall’Associazione Luca Coscioni, Oppelli aveva espresso la volontà di poter morire nel suo paese, invece di essere costretta ad affrontare un viaggio molto faticoso lontano da casa.

A giugno Oppelli aveva fatto ricorso contro il terzo diniego, ed era stata aperta una nuova procedura di valutazione, ma aveva «deciso di andare in Svizzera per accedere alla morte volontaria perché era impossibile per lei attendere altro tempo per una risposta: le sofferenze non erano in alcun modo tollerabili», ha comunicato l’Associazione Luca Coscioni.

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