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  • Mercoledì 30 luglio 2025

Qualcosa si muove anche in Israele

Le critiche sull'immoralità della guerra nella Striscia di Gaza sono sempre più frequenti, e c'entra molto quello che fanno vedere i media

Attivisti israeliani a Tel Aviv protestano contro il blocco del cibo a Gaza, 24 luglio 2025
Attivisti israeliani a Tel Aviv protestano contro il blocco del cibo a Gaza, 24 luglio 2025 (AP Photo/Maya Alleruzzo)
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Una parte dei media e dell’opinione pubblica israeliana sta cominciando a criticare la guerra nella Striscia di Gaza, a definirla un atto immorale e a sostenere che i crimini commessi dall’esercito israeliano sulla popolazione palestinese siano inaccettabili. È un grosso cambiamento: da quando la guerra è cominciata quasi due anni fa il governo e l’esercito israeliani hanno subìto molte critiche da parte dell’opinione pubblica, ma quasi tutte su altro. Molte persone criticavano il primo ministro Benjamin Netanyahu perché non si concentrava abbastanza sulla liberazione degli ostaggi, per esempio, ma quasi nessuno metteva in dubbio che la guerra di Israele fosse una guerra giusta. Ora questa convinzione si sta gradualmente indebolendo.

Negli ultimi mesi i media israeliani hanno parzialmente cambiato il modo in cui mostrano quello che succede nella Striscia di Gaza. Per più di un anno e mezzo le persone israeliane hanno avuto una visione molto diversa della guerra rispetto al resto del mondo: i media generalisti – con poche eccezioni – hanno mostrato la Striscia di Gaza soltanto dal punto di vista dell’esercito, raccontando le operazioni militari contro i «terroristi» e ignorando quasi completamente gli orrori contro la popolazione civile, le devastazioni e i massacri.

I video trasmessi dalle televisioni erano quelli distribuiti dall’esercito israeliano, o ripresi dai giornalisti a seguito dell’esercito, che mostravano sì gli edifici distrutti, ma mai le persone uccise.

Anche in conseguenza di un generale cambio di atteggiamento contro Israele da parte dell’opinione pubblica dell’Occidente e di molte altre aree del mondo, negli ultimi mesi le televisioni israeliane hanno cominciato a mostrare con più frequenza la sofferenza della popolazione palestinese, le famiglie uccise e gli ospedali attaccati. La copertura mediatica si è poi concentrata sul blocco di cibo e generi di prima necessità imposto da Israele sulla Striscia, che ha provocato una crisi alimentare devastante e la morte di decine di persone per fame. Sono seguiti i primi riconoscimenti dell’immoralità della guerra.

Uno dei momenti più notevoli è avvenuto pochi giorni fa, quando Yonit Levi, una delle più importanti presentatrici televisive israeliane, che lavora per Channel 12, al termine di un servizio sulla fame a Gaza ha detto: «Forse è ora di riconoscere che questo non è un fallimento di immagine, è un fallimento morale». Questo perché il governo israeliano continua a sostenere che non ci sia un problema di fame a Gaza, e che le critiche contro il suo operato sarebbero mosse da odio anti israeliano o da antisemitismo. Levi ha detto invece che il problema c’è, e che le azioni dell’esercito sono immorali.

Questo cambio di atteggiamento è arrivato da molte altre personalità di rilievo sui media mainstream.

Sul giornale centrista Yedioth Ahronoth, Avi Issacharoff, giornalista e uno dei creatori della nota serie tv Fauda, ha scritto che «mese dopo mese i disastri umanitari non hanno fatto che crescere» e che ora «il mondo si è unito contro di noi». Yaakov Katz, ex direttore del Jerusalem Post, ha scritto sui social media: «Il mondo sostiene che (nella Striscia di Gaza) le persone stiano morendo di fame. Israele sostiene che non è così. Ma il fatto che ora Israele stia paracadutando cibo e sospendendo parte delle operazioni militari sembra proprio un’ammissione che la crisi è reale».

Cibo e generi di prima necessità paracadutati sulla Striscia di Gaza dall'esercito israeliano, 27 luglio 2025

Cibo e generi di prima necessità paracadutati sulla Striscia di Gaza dall’esercito israeliano, 27 luglio 2025 (AP Photo/Abdel Kareem Hana)

A livello politico l’opposizione al governo di estrema destra di Netanyahu, che finora era schierata compattamente a favore della guerra, ha cominciato a criticare aspramente il conflitto. Il mese scorso l’ex primo ministro Ehud Olmert ha detto che Israele sta «commettendo crimini di guerra» e che quella a Gaza è «una guerra di sterminio», mentre uno dei leader dell’opposizione di sinistra, l’ex generale Yair Golan, ha detto a maggio che ormai Israele «uccide bambini per hobby». Anche un leader centrista come Yair Lapid di recente ha definito la guerra un disastro e ha chiesto di porvi fine.

Questa settimana, per la prima volta, due importanti organizzazioni umanitarie hanno riconosciuto che Israele sta compiendo un genocidio contro la popolazione della Striscia di Gaza, e anche a livello della società negli ultimi mesi ci sono state iniziative contro la guerra da parte di ong, artisti e intellettuali. Negli scorsi giorni gruppi di attivisti in varie città israeliane hanno manifestato con delle pentole in mano, per protestare contro l’affamamento della popolazione palestinese.

Attivisti israeliani a Tel Aviv protestano contro il blocco del cibo a Gaza, 24 luglio 2025

Attivisti israeliani a Tel Aviv protestano contro il blocco del cibo a Gaza, 24 luglio 2025 (AP Photo/Maya Alleruzzo)

È però difficile capire fino a che punto ci sia stato un cambiamento generalizzato nell’opinione pubblica. Da mesi il 70-75 per cento della popolazione israeliana chiede con costanza la fine della guerra e la restituzione degli ostaggi, ma questo è indice più di un sentimento di stanchezza che di ripulsa nei confronti delle azioni dell’esercito. Un sondaggio condotto a maggio tra gli ebrei israeliani sosteneva che ancora il 76 per cento di loro riteneva che la sofferenza dei palestinesi non dovesse essere un fattore rilevante nella pianificazione delle operazioni militari. Non è chiaro se le cose siano cambiate in maniera rilevante nelle ultime settimane.

Il primo ministro Netanyahu, lunedì, ha fatto capire che non ha intenzione di cambiare le sue politiche: «Stiamo combattendo una guerra giusta, una guerra morale, una guerra per la sopravvivenza», ha detto.