Per il diritto internazionale gli Stati sono tenuti a contrastare il cambiamento climatico
Lo ha detto la Corte internazionale di giustizia in un parere importante che farà giurisprudenza per molti casi nel mondo

Mercoledì la Corte internazionale di giustizia (ICJ) ha stabilito che gli Stati possono violare il diritto internazionale se non rispettano gli impegni che hanno preso per contrastare il cambiamento climatico. Ha anche stabilito che, in caso di violazioni, gli Stati possono essere condannati a risarcire altri Stati che a causa delle loro inadempienze siano stati danneggiati dalle conseguenze del riscaldamento globale.
L’ICJ è il più importante tribunale delle Nazioni Unite e queste conclusioni sono considerate fondamentali da chi si occupa di clima, perché potranno essere usate da altri tribunali per obbligare dei paesi a ridurre le proprie emissioni di gas serra, che sono la causa del cambiamento climatico. Per questo Italian Climate Network, un’associazione che si occupa di sensibilizzazione e divulgazione su questo tema, aveva definito il processo che ha portato alla conclusione dell’ICJ «la causa del secolo».
La Corte internazionale di giustizia si occupa di due cose: può dirimere le controversie tra diversi Stati membri delle Nazioni Unite, e può dare pareri su difficili questioni legali, se l’Assemblea generale o il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite glielo chiedono. Le sue conclusioni riguardo agli obblighi degli Stati rispetto al cambiamento climatico, che sono state raggiunte all’unanimità dai 15 giudici che compongono la Corte e sono spiegate in un documento di 130 pagine, sono arrivate proprio dopo una richiesta di un parere consultivo.
A presentarla era stata l’Assemblea generale dell’ONU il 23 marzo 2023, dopo che 132 paesi (Italia compresa) si erano uniti a un’iniziativa di Vanuatu, un piccolo paese insulare dell’oceano Pacifico molto minacciato dall’innalzamento del livello del mare. A sua volta Vanuatu aveva deciso di portare avanti un’idea di 27 studenti di giurisprudenza dell’Università del Pacifico del Sud e sostenuta dal movimento di giovani World’s Youth for Climate Justice.

Una manifestazione di attivisti per il clima fuori dal palazzo della Pace all’Aia, sede della Corte internazionale di giustizia, il 23 luglio 2025 (AP Photo/Peter Dejong)
I 27 studenti e poi l’Assemblea generale avevano chiesto alla Corte internazionale di giustizia due cose. La prima era: gli Stati cosa sono tenuti a fare, sulla base del diritto internazionale, per contrastare il cambiamento climatico? La seconda domanda invece era: se gli Stati violano i propri obblighi in questo ambito e così facendo danneggiano altri paesi (in particolare quelli in via di sviluppo o particolarmente vulnerabili) o individui (comprese le generazioni future), a quali conseguenze legali vanno incontro?
Per quanto riguarda la prima domanda, la Corte ha risposto che sia i trattati internazionali sul clima, come l’Accordo di Parigi del 2015, che altri trattati dedicati all’ambiente e ai diritti umani obbligano gli Stati firmatari a proteggere la Terra dalle emissioni di gas serra causate dalle attività umane. Questo comporta che siano obbligati a ridurre le proprie emissioni e ad adottare soluzioni per rimediare ai problemi causati dai cambiamenti climatici in corso.
Inoltre secondo la Corte i paesi con le economie più sviluppate devono guidare il contrasto al cambiamento climatico riducendo le proprie emissioni in modo prioritario, dato che hanno maggiori mezzi per farlo: questo aspetto in particolare deriva dall’Accordo sul clima di Parigi.
Relativamente alla seconda domanda, la Corte ha stabilito che uno Stato che viola gli impegni sul clima presi con i trattati internazionali può essere condannato a cambiare la propria condotta e a risarcire i paesi che ne sono stati danneggiati, se viene provato un rapporto di causa ed effetto tra la violazione e il danno.
Yuji Iwasawa, il giudice che ha presieduto l’udienza in cui è stato presentato il parere consultivo, ha spiegato: «La mancata adozione da parte di uno Stato di azioni appropriate per proteggere il sistema climatico dalle emissioni di gas serra, anche attraverso la produzione di combustibili fossili, il consumo di combustibili fossili, la concessione di licenze di esplorazione di combustibili fossili o l’erogazione di sussidi per i combustibili fossili, può costituire un atto illecito a livello internazionale».

Il giudice Yuji Iwasawa, secondo da destra, spiega il parere consultivo della Corte internazionale di giustizia durante l’udienza del 23 luglio 2025 (AP Photo/Peter Dejong)
Nell’immediato i pareri consultivi come quello appena reso pubblico non hanno conseguenze, perché non riguardano casi specifici. Tuttavia fanno giurisprudenza, rappresentano un’interpretazione molto autorevole delle norme internazionali, perciò possono influenzare moltissimi contenziosi legali nel mondo: al parere dell’ICJ potranno appoggiarsi tribunali di grado inferiore, anche nazionali, per prendere decisioni su singoli casi quando le norme nazionali non chiariscono una questione, e serve quindi far riferimento al diritto internazionale.
È un discorso che per i tribunali vale sempre, ma ancora di più nel caso del cambiamento climatico, visto che è un problema globale.
La Corte di Cassazione italiana per esempio ha da poco preso in considerazione una sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) nello stabilire che in Italia si può fare causa a un’azienda come Eni, la più grande società italiana nel settore dell’energia e nella produzione di petrolio, per i danni causati dal cambiamento climatico. Nell’ordinanza della Cassazione su questo tema è infatti menzionata la sentenza con cui nel 2024 la CEDU si espresse su una causa intentata da un’associazione di donne svizzere anziane contro il loro paese, stabilendo che uno Stato può violare i diritti umani dei propri cittadini se non fa abbastanza per contrastare il cambiamento climatico.
Il parere della Corte internazionale di giustizia riguarda tuttavia una casistica un po’ diversa rispetto a questa, ovvero soprattutto i rapporti tra Stati diversi. Per questo potrebbe aiutare i paesi più danneggiati dalle conseguenze del cambiamento climatico, come Vanuatu e gli altri Stati insulari del Pacifico, a chiedere ai paesi sviluppati di intervenire maggiormente contro il cambiamento climatico e di risarcirli per i danni.
Le cause che riguardano il clima in ogni caso non sono mai solo una questione di risarcimenti, ma anche una forma di attivismo politico per stimolare i paesi ad agire, e ottenere misure concrete ed efficaci contro il riscaldamento globale.

Un gruppo di giornalisti si passa il testo del parere consultivo durante il discorso del giudice Yuji Iwasawa, 23 luglio 2025 (AP Photo/Peter Dejong)



