Il governo di Netanyahu è diventato di minoranza
È uscito anche il secondo dei due partiti che rappresentano gli ebrei ultraortodossi e c'entra sempre lei: l'esenzione dal servizio militare

Il governo israeliano di Benjamin Netanyahu è da mercoledì un governo di minoranza, cioè non è più appoggiato da una maggioranza in parlamento. Ha perso l’appoggio di Shas, il secondo partito che rappresenta la comunità ebraica ultraortodossa a lasciare la coalizione nel giro di pochi giorni. Il governo comunque non cadrà, almeno per ora, perché i parlamentari di Shas hanno detto che continueranno a sostenerlo su alcune questioni specifiche.
Shas è un partito conservatore degli ebrei ultraortodossi, cioè le persone che seguono l’interpretazione più rigida e conservatrice della religione ebraica. È stretto alleato del partito Ebraismo della Torah Unito, altra formazione ultraortodossa e a sua volta uscita dal governo martedì. Entrambe hanno criticato Netanyahu per non avere approvato una legge che confermasse l’esenzione dal servizio militare per la comunità ultraortodossa (questione centrale e assai dibattuta).
Nella Knesset, il parlamento israeliano, Ebraismo della Torah Unito aveva sette seggi, Shas undici. Ora la coalizione che sostiene il governo di Netanyahu è rimasta con solo 50 seggi su 120, 11 in meno della maggioranza. L’uscita di Shas diventerà ufficiale due giorni dopo l’annuncio, quindi venerdì 18 luglio.
Le conseguenze potrebbero vedersi però tra un po’ di tempo, visto che il parlamento israeliano è vicino alla chiusura estiva, prevista per la fine di luglio, e non ci sarà attività legislativa (o quasi) per tre mesi, fino a fine ottobre. Netanyahu avrà tempo fino all’autunno per trovare una nuova maggioranza o una qualche forma di accordo con i partiti ultraortodossi. Se non ci riuscirà lo scioglimento della Knesset potrebbe essere anticipato: le elezioni sono attualmente previste per ottobre 2026.
La questione dell’esenzione degli ebrei ultraortodossi dal servizio militare obbligatorio è discussa da tempo ed è diventata ancora più centrale dopo l’inizio della guerra nella Striscia di Gaza.
In Israele i cittadini che hanno compiuto i 18 anni sono obbligati a fare il servizio militare. La leva dura circa tre anni per gli uomini e due per le donne, e una volta terminata, a meno di ricevere esenzioni speciali (per ragioni di lavoro, di salute, o per le donne con figli, per esempio), le persone vengono iscritte nelle liste dei riservisti, e possono essere richiamate per esercitazioni periodiche o per affiancare i militari di carriera in caso di guerre.

Una protesta di giovani ebrei ultraortodossi contro l’obbligo di servizio militare a marzo (AP Photo/Ohad Zwigenberg)
L’obbligo di leva però non vale per la stragrande maggioranza degli ebrei ultraortodossi. Alcuni di loro fanno parte dell’esercito, ma soltanto perché si sono arruolati volontari: tutti gli altri sono esentati. Nel 1948 David Ben Gurion, il primo primo ministro di Israele, accordò a un piccolo gruppo di uomini ultraortodossi che studiavano la Bibbia nelle yeshiva, cioè le scuole religiose ebraiche, la possibilità di evitare il servizio militare finché continuavano il loro studio dei testi sacri. Le yeshiva e i loro studenti, peraltro, iniziarono a ricevere fondi statali per sostenersi economicamente.
Allora le comunità erano composte da poche centinaia di persone, oggi gli ultraortodossi sono circa 1,4 milioni, il 14 per cento della popolazione totale israeliana, e gli uomini in età di leva (fra i 18 e i 24 anni) sono circa 80mila. L’esenzione è sempre meno tollerata dal resto della popolazione israeliana e una sentenza della Corte Suprema del giugno del 2024 obbliga di fatto i maschi ultraortodossi a prestare servizio nell’esercito. L’attuazione della sentenza è stata sospesa per quasi un anno dal governo di Netanyahu, ma poi la sospensione è scaduta.
I partiti ultraortodossi vorrebbero che il governo approvasse una nuova legge che li esenti in modo definitivo: sarebbe però una legge impopolare, ed è per questo che il governo finora non l’ha approvata.
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