Il nuoto in acque libere è in cattive acque
Alle gare di fondo dei Mondiali di nuoto a Singapore ci sono stati problemi per l’acqua troppo calda e troppo sporca, e non è la prima volta

Ai Mondiali di nuoto di Singapore le prime gare ad assegnare medaglie sono state la 10 km maschile e la 10 km femminile, in cui gli italiani Gregorio Paltrinieri e Ginevra Taddeucci hanno vinto le medaglie d’argento. Le 10 km sono gare del nuoto di fondo, che si svolgono in acque libere: e quindi nei laghi, nei fiumi o – come in questo caso – in mare, nelle acque dell’isola di Sentosa, di fronte a Palawan Beach.
La gara femminile era stata prima rimandata di un giorno e poi ritardata di alcune ore, mentre la gara maschile era stata a sua volta spostata di alcune ore dal mattino al pomeriggio. Il motivo era l’acqua: i test prima della gara avevano mostrato livelli non accettabili secondo gli standard previsti dalla World Aquatics (la federazione internazionale di nuoto). In particolare erano stati rilevati livelli sopra la soglia consentita del batterio Escherichia coli, che può essere causa di infezioni di vario tipo, soprattutto al tratto digerente e alle vie urinarie. Ci sono state poi difficoltà, in particolare durante la gara femminile, dovute all’alta temperatura dell’acqua.
Per il nuoto in acque libere non è una buona notizia. Soprattutto perché non è una novità: già un anno fa, durante le Olimpiadi e le Paralimpiadi di Parigi, c’erano stati problemi simili con le gare nella Senna.
Mentre onde e correnti, vento e clima, pesci e talvolta persino meduse sono parte di ciò che rende intrigante e imprevedibile il nuoto in acque libere, la scarsa qualità e le temperature estreme dell’acqua – troppo calda o troppo fredda – sono invece un costante problema con cui fare i conti. «Succede spesso e continuerà a succedere», dice Giusy Cisale, caporedattrice per l’Italia del sito di settore SwimSwam. «Anche perché, per evitarsi grane prima, si va a valutare la qualità dell’acqua appena prima delle gare. Solo che è praticamente impossibile, in un Mondiale organizzato a fine luglio, con alte temperature e altissima umidità, sperare di trovare all’improvviso l’acqua di Capri».

La partenza della 10 km femminile, il 16 luglio a Singapore (AP Photo/Vincent Thian)
Tutto questo accade in uno sport abbastanza giovane, che sta cercando di affermarsi come valida alternativa al nuoto in vasca (le cui gare ai Mondiali inizieranno il 27 luglio).
Sebbene sia evidente che in acque libere si nuotasse da ben prima che esistessero le piscine, questa specialità del nuoto arrivò ai Mondiali nel 1991 e alle Olimpiadi nel 2008. Fino a pochi anni fa ai Mondiali c’era anche la più lunga tra le gare di nuoto, la 25 km, che durava anche più di cinque ore: cosa che la rendeva difficile da organizzare e gestire, oltre che particolarmente sfinente e per nulla televisiva. Ora, sia alle Olimpiadi che ai Mondiali, la distanza maggiore sono i 10 km, le cui gare durano un paio d’ore.
Oltre a Mondiali e Olimpiadi ci sono una Coppa del Mondo (una delle cinque tappe sarà a ottobre in Sardegna, a Golfo Aranci) e altri circuiti di gare, come per esempio il “Dominate The Water” ideato da Paltrinieri. Da quest’anno ai Mondiali ci sarà inoltre un nuovo formato: la 3 km knockout sprint, una gara su tre turni (1.500 metri, 1.000 metri e 500 metri) con progressiva eliminazione di un certo numero di atleti e atlete. Un formato, spiega Cisale, «pensato per avvicinare il pubblico che non si metterebbe lì a guardare due ore di gara, per accontentare chi vuole sia il mare che le gare veloci».
Il nuoto in acque libere è insomma uno sport ancora alla ricerca dei suoi spazi nel contesto delle gare di nuoto. Per i nuotatori e le nuotatrici che arrivano dalle piscine a volte è troppo diverso e difficile (per le distanze e le differenti condizioni), ma può anche essere vissuto come una sorta di liberazione, una nuova dimensione (che permette tra l’altro di allungare le carriere, visto che in genere più è una questione di resistenza e più è facile trovare atleti oltre i trent’anni).
«A me è sempre piaciuta molto la vasca, e ci ho raggiunto dei grandi risultati» aveva detto nel 2023 Gregorio Paltrinieri, intervistato da Ultimo Uomo: «Però quando fai una cosa così ripetutamente e così tante volte, a un certo punto non è più abbastanza. Il fondo è davvero uno sport diverso: si tratta sempre di nuotare, ma rispetto alla vasca cambia il mondo».
Il nuoto in acque libere è più caotico e complesso di quello in corsia, non solo per le distanze notevolmente più lunghe. Succede spesso che due atleti si colpiscano nuotando, e può capitare che – come successo a Singapore – per via di scarsa visibilità, corrente o onde, nuotatori e nuotatrici fatichino a capire la traiettoria migliore per andare da una boa all’altra. Se le gare in vasca sono analitiche, basate su tempi e ritmi, quelle in acque libere richiedono maggiori doti di improvvisazione e maggiori capacità di lettura. Un po’ come succede in una maratona, la strategia è fondamentale.
Il bello del nuoto di fondo, che comunque prevede lunghi allenamenti in vasca, sta quindi in tutto ciò che riguarda le condizioni ambientali e la gestione della gara, durante la quale si è tutti insieme, senza corsie a separare nuotatori e nuotatrici.
C’è però quasi sempre quel problema della qualità delle acque, che in più occasioni ha fatto spostare o perfino annullare gare. È successo in questi giorni a Singapore. Era successo a Parigi e ancora prima c’erano stati problemi, o quantomeno dubbi, con le acque delle Olimpiadi di Tokyo 2020 (paragonate da alcuni atleti a quelle di un water) e di Rio 2016. Andò un po’ meglio soltanto a Londra 2012 e Pechino 2008, le cui gare in acque libere furono in un fiume artificiale realizzato per l’occasione.

Un momento della 10 km femminile, il 16 luglio a Singapore (Maddie Meyer/Getty Images)
Per chi pratica nuoto di fondo è una situazione complicata. Da un lato c’è l’esigenza di preservare la propria salute (sia Paltrinieri che Taddeucci hanno criticato molto l’organizzazione e la gestione generale delle rispettive 10 km), dall’altro la voglia di gareggiare. Ed è peculiare come e quanto, nonostante questi problemi, il nuoto fuori dalle piscine continui a essere una disciplina vivace, che si inventa nuovi formati di gara e che, oltre al nuoto di fondo, è parte di uno sport di successo come il triathlon (dove è la prima disciplina, seguita da ciclismo e corsa).
Parlando del futuro del nuoto in acque libere Paltrinieri aveva detto: «Si conosce ancora relativamente poco, ha una storia meno importante e a livello televisivo è più complicato rispetto alla piscina. […] Con il pubblico comunque siamo ancora agli inizi, magari tra una ventina d’anni tutti nuoteranno in mare e sarà la disciplina più seguita».
Cisale dice che proprio Paltrinieri è stato, a livello internazionale, «un vero pioniere delle acque libere, uno che si metterebbe a ripulire tutte le coste italiane pur di far nuotare le persone». A proposito del problema delle acque dice che tra atleti e allenatori c’è un grande fastidio verso i continui rinvii, soprattutto quando si tratta di «scoprire a mezzanotte se l’indomani alle sette ci sarà la gara oppure no». Siccome nessuno può fare granché per cambiare le sedi degli eventi e la qualità dell’acqua, Cisale spera che accadano soprattutto due cose: «Che a stabilire dove e se gareggiare siano addetti ai lavori anziché funzionari in giacca e cravatta che non hanno mai nuotato al mare»; e che, più in generale, «oltre alle misurazioni e ai test si cerchi di ascoltare di più gli atleti».



