L’evasione assurda di un criminale cinese dalla questura di Prato

Bobo Jiang si è semplicemente tolto le manette ed è uscito: da più di un anno la procura cercava di metterlo in carcere

Agenti di polizia in un'operazione contro la mafia cinese a Prato, il 18 gennaio 2018 (ANSA/CLAUDIO GIOVANNINI)
Agenti di polizia in un'operazione contro la mafia cinese a Prato, il 18 gennaio 2018 (ANSA/CLAUDIO GIOVANNINI)
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Giovedì un uomo cinese di 38 anni, Bobo Jiang, è stato portato alla questura di Prato. Jiang è ritenuto dalla procura di Prato un punto di riferimento per lo spaccio di sostanze stupefacenti in Toscana e a Milano, e aveva già avuto diverse condanne definitive per reati connessi a questa attività. Quel giorno era stato trovato in possesso di mezzo chilo di metanfetamine e ketamina, un passaporto di Taiwan e diverse migliaia di euro in contanti, ed era stato arrestato per applicare un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei suoi confronti. Jiang è quindi entrato in questura accompagnato dalle forze dell’ordine, ma poi, non si sa bene come, si è tolto le manette ed è uscito.

La notizia è stata data da un comunicato del procuratore di Prato, Luca Tescaroli, secondo cui l’evasione di Jiang «è stata possibile anche in considerazione dell’inadeguatezza degli organici della pur efficiente squadra mobile pratese, impegnata in numerose investigazioni coordinate» dalla procura stessa.

Il 2 febbraio del 2024 Jiang era stato perquisito e in suo possesso erano stati trovati una pistola semiautomatica con cinque proiettili d’argento, diverse armi da taglio tra cui un machete, e una fiamma ossidrica artigianale. Furono svolte altre indagini sui suoi cellulari e venne scoperto un vasto sistema di spaccio, di produzione di documenti falsi e rivendita di prodotti contraffatti. Venne quindi sottoposto all’obbligo di presentarsi alla polizia giudiziaria, e la procura chiese una misura cautelare più severa, il carcere appunto. Il giudice per le indagini preliminari (gip) stabilì invece che Jiang non potesse risiedere nelle province di Prato, Firenze e Pistoia (la misura cautelare nota come “divieto di dimora”).

La procura impugnò la decisione del gip e ottenne dal Tribunale del Riesame di Firenze di applicare il carcere. La misura è diventata definitiva il 3 luglio del 2025: per questo la polizia stava cercando Jiang, e lo ha arrestato giovedì. Non è ancora chiaro come abbia fatto poi a togliersi le manette e ad andarsene dalla questura.

Sono settimane che Prato è nelle cronache non solo locali, ma anche nazionali, per vicende giudiziarie. Il 20 giugno la sindaca Ilaria Bugetti ha annunciato le dimissioni: una settimana prima si era saputo che è indagata per corruzione. Poi nel carcere della città ne sono successe diverse: un uomo che aveva confessato il femminicidio di Denisa Maria Paun (meglio nota col cognome dell’ex marito, Adas) e di un’altra donna, Ana Maria Andrei, è stato aggredito da un altro detenuto con un pentolino di olio bollente; una grossa perquisizione delle forze dell’ordine ha fatto emergere un contrabbando di telefoni e sostanze stupefacenti; e a inizio luglio è evaso un detenuto, il quinto nel giro di un anno.

Su tutti questi casi, e anche su due stupri che sarebbero avvenuti sempre in carcere, sta indagando la procura di Prato (da qui il riferimento di Tescaroli alle «numerose investigazioni», nel comunicato con cui è stata raccontata l’evasione di Jiang).

Il problema maggiore del carcere di Prato è più o meno lo stesso della squadra mobile della polizia: l’inadeguatezza dell’organico. In particolare non ci sono abbastanza funzionari e dirigenti, cosa che genera una mancanza di coordinamento del personale. Manca persino un direttore pienamente operativo, e da mesi, e quelli che ne fanno le veci (i reggenti) ogni tanto cambiano, rendendo difficile la collaborazione con la procura.