Com’è che la missione della delegazione europea in Libia è finita così male
In sintesi, la Commissione e la diplomazia italiana si sono fatte prendere alla sprovvista dal generale Khalifa Haftar
di Valerio Valentini

C’è una ragione fondamentale per cui la visita della delegazione europea nella Libia orientale si è risolta in un grave sgarbo diplomatico per l’Unione Europea e per l’Italia: è il tentativo del generale Khalifa Haftar di sfruttare questa occasione per legittimare il proprio governo sul piano internazionale, a discapito di quello insediato a Tripoli, che è il solo riconosciuto dall’ONU e dall’Unione. Ma il fallimento della missione – e la conseguente figuraccia del commissario europeo per la Migrazione Magnus Brunner e dei ministri dell’Interno e delle Migrazioni italiano, greco e maltese – è dovuto anche all’approssimazione con cui la visita è stata preparata da chi l’ha promossa, cioè l’Italia e la Commissione Europea.
Da settimane il governo italiano sollecitava un intervento europeo in Libia, con l’obiettivo di facilitare una qualche mediazione tra i due governi: quello di Unità nazionale di Tripoli, a ovest, presieduto da Abdul Hamid Dbeibah, e quello di Tobruk, guidato dal primo ministro Osama Hammad ma controllato dal generale Haftar. E quando la presidente della Commissione Ursula von der Leyen aveva annunciato di aver dato mandato al commissario Brunner di parlare con entrambi i governi, lo staff della presidente del Consiglio l’aveva rivendicata come una vittoria diplomatica.
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Meloni si era detta molto preoccupata della penetrazione militare della Russia nel sud e nell’est della Libia. Ma aveva anche un’altra preoccupazione: il grosso aumento delle partenze di migranti. Delle oltre 31mila persone arrivate in Italia nei primi sei mesi del 2025, circa 27mila sono partite dalla Libia (nonostante quelle di nazionalità libica fossero meno di 300), e quasi tutte dalla parte orientale del paese. Questo compromette l’obiettivo di ridurre gli sbarchi dichiarato dal governo: l’anno scorso, nel primo semestre, erano arrivati oltre 4mila migranti in meno. Peraltro l’Italia e l’Unione Europea finanziano la cosiddetta Guardia costiera libica, che usa spesso la forza per fermare le partenze e riportare i migranti nei centri di detenzione, dove stupri e violenze sono all’ordine del giorno.
All’iniziativa italiana si è subito detto favorevole il governo greco, che è preoccupato da tempo per l’eventuale ratifica da parte del governo di Tobruk del Memorandum of understanding con la Turchia, un accordo politico e commerciale che rafforza la collaborazione nel controllo delle acque tra i due paesi, e che secondo la Grecia viola il diritto internazionale e costituisce una minaccia per i propri interessi su quell’area del Mediterraneo. Non a caso, domenica il ministro degli Esteri Giorgos Gerapetritis era andato a Bengasi per incontrare Haftar e preparare la visita di martedì. Dopo si è aggiunta anche Malta. Ad accompagnare Brunner, dunque, si è deciso che sarebbero stati il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e i suoi colleghi greci e maltesi, Thanos Plevris e Byron Camilleri.
We just concluded our mission to Libya together with the Ministers responsible for migration from Greece, Italy and Malta.
In Tripoli, we held in-depth discussions with Prime Minister Dbeibeh, Foreign Minister Al-Baour, Interior Minister Trabelsi, and Labour Minister Al-Abed. We… pic.twitter.com/NxYowK6tLt
— Magnus Brunner (@magnusbrunner) July 8, 2025
La missione della delegazione europea era piuttosto delicata, proprio perché prevedeva nello stesso giorno incontri bilaterali con entrambi i governi, tra loro in forte competizione da anni. Al mattino c’è stato l’incontro a Tripoli col primo ministro Dbeibah, il suo ministro degli Esteri e quello dell’Interno. È andato tutto bene, per quel che se ne sa.
Nel pomeriggio, invece, ci sarebbe dovuto essere il colloquio col solo Haftar, in qualità di “Comandante Generale delle forze armate arabe della Libia”. Questo prevedeva il protocollo definito dalla Commissione Europea, e non si trattava solo di una formalità. Incontrare Haftar in qualità di generale è un modo per non riconoscere le sue ambizioni di governo del territorio della Cirenaica, e dunque il modo per non entrare in conflitto con Dbeibah: è l’espediente che da tempo l’ONU e l’Unione adottano per gestire una situazione diplomaticamente e militarmente molto caotica come quella libica.

L’agenda del commissario europeo agli Affari interni e alle Migrazioni, Magnus Brunner
Il problema, però, è stato che quando l’aereo della delegazione europea ripartito da Tripoli è atterrato a Benina, nella periferia orientale di Bengasi, a ricevere il commissario Brunner e i ministri Piantedosi, Camilleri e Plevris non c’era soltanto Haftar, ma vari ministri del governo da lui controllato. Nella stanza dell’aeroporto dove si sarebbe dovuto svolgere il colloquio, lo stesso Haftar era in compagnia del primo ministro Hammad. E a quel punto la visita, oltre a violare il protocollo definito dalla Commissione, assumeva tutto un altro significato: avrebbe legittimato il governo di Bengasi. Insomma, la richiesta di Haftar era chiara: se voi mi chiedete di trattenere i migranti e di non farli partire, io in cambio pretendo un riconoscimento politico.
A quel punto è iniziata una trattativa condotta dai collaboratori di Haftar e dall’ambasciatore dell’Unione Europea in Libia, Nicola Orlando, un diplomatico che ha lavorato per molti anni in Libia. Orlando ha chiesto che non venissero scattate foto dei rappresentanti europei se non accanto al solo Haftar.
Ha ottenuto questa rassicurazione e a quel punto i ministri e il commissario sono scesi dall’aereo: ma subito sono comparse fotocamere e videocamere per riprendere il momento. La cosa ha generato ulteriore fastidio, Piantedosi, Plevris e Camilleri sono stati accompagnati in una saletta dell’aeroporto, nell’attesa che il disguido si risolvesse. Il ministro italiano e quello greco erano quelli più disposti a svolgere comunque l’incontro, ma il commissario Brunner ha invece fatto un’imbarazzata resistenza, perché il suo mandato da parte della Commissione era categorico: incontrare soltanto Haftar in qualità di generale.
La situazione è precipitata quando Haftar ha fatto sapere di essere disponibile a incontrare i suoi interlocutori solo in presenza dei ministri del governo di Bengasi e del loro capo Hammad, e che il tutto venisse fotografato e filmato. La delegazione europea si è rifiutata. A quel punto Hammad ha deciso di espellere tutti con la formula persona non grata, cioè persone non gradite, e con un comunicato durissimo che conteneva gravi accuse nei confronti di Brunner, Piantedosi, Plevris e Camilleri. I quattro sono quindi stati costretti a ripartire immediatamente.

Il comunicato con cui il governo di Bengasi ha espulso i componenti della delegazione europea (Il Post)
L’atteggiamento di Hammad e di Haftar riflette un’arroganza giustificata dal fatto che in questo momento il governo di Bengasi si sente più solido e forte che in passato, in confronto con quello di Tripoli. I motivi sono principalmente due: il sostegno militare sempre più esplicito della Russia (la scorsa settimana Hammad è stato ricevuto dal governo bielorusso a Minsk, alleato di Putin), e le buone entrate economiche garantite dal controllo di fatto della Banca centrale e dei molti pozzi petroliferi del Sud del paese.
Il 25 giugno scorso, per esempio, Hammad aveva diffuso un comunicato durissimo contro Hanna Tetteh, l’inviata speciale dell’ONU per la Libia, accusandola di essersi schierata in modo illegittimo a favore del governo di Tripoli e dichiarando anche lei persona non grata. Un precedente che, col senno del poi, è rivelatore della volontà del governo di Bengasi di aumentare le pressioni nei confronti della comunità internazionale: più o meno la stessa traiettoria che ha portato all’incidente diplomatico di martedì.
Quanto all’Italia, il fallimento della missione è particolarmente imbarazzante, e lo dimostra il fatto che martedì all’aeroporto di Benina sono intervenuti anche i servizi segreti (l’AISE), per provare a sbloccare le trattative e ad evitare l’incidente: un po’ perché la visita era nata su sollecitazione del governo di Meloni, e un po’ per il ruolo di primo piano che il governo vorrebbe esercitare in Libia e sul resto del Nord Africa, principalmente per motivi legati all’immigrazione.

La presidente del Consiglio Giorgia Meloni incontra il generale Khalifa Haftar a Bengasi, il 7 maggio 2024 (Filippo Attili/LaPresse)
E del resto l’Italia continua a tenere un atteggiamento ambiguo per gestire la complicatissima situazione in Libia. È significativo che all’aeroporto di Benina fossero presenti sia l’ambasciatore a Tripoli, Gianluca Alberini, partito da Roma insieme a Piantedosi, sia il console a Bengasi, Francesco Saverio De Luigi: i due rappresentanti diplomatici nelle due aree contrapposte del paese. L’esigenza di parlare con entrambe le parti in causa genera inevitabilmente contraddizioni.
Negli ultimi tempi il governo italiano ci ha tenuto a mantenere buoni rapporti con Haftar, consapevole di quanto si sia rafforzato e di quanto sia concreta l’influenza russa: l’11 giugno scorso Piantedosi ha incontrato al Viminale il figlio di Haftar, Saddam. E nell’agosto del 2024 lo stesso Saddam aveva goduto della protezione del governo italiano: era stato arrestato a Napoli, all’aeroporto di Capodichino, in virtù di un mandato di cattura del governo spagnolo, ma subito dopo rilasciato. D’altronde, con le loro milizie, gli Haftar controllano in modo spesso spietato zone della Libia dove opera l’Eni, la grande società petrolifera pubblica italiana.
In tutto questo il ministero degli Esteri è stato piuttosto irrilevante. Lo staff del ministro Antonio Tajani ha fatto sapere di essersi occupato solo in modo marginale dell’organizzazione della missione. Martedì, mentre Piantedosi veniva espulso, Tajani era occupato con gli “Stati generali del turismo” di Forza Italia a Palazzo Wedekind, vicino alla Camera. Entrando, ha detto che avrebbe parlato con Piantedosi «appena possibile». Poi, al termine dell’evento, non ha fatto alcuna dichiarazione. Nelle ore successive i due ministri si sono sentiti, per quello che al ministero degli Esteri descrivono come «un breve saluto di amicizia».
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