Nel disegno di legge del governo sul “fine vita” ci sono almeno due problemi
Sui quali persino Forza Italia ha qualche dubbio: ma l'incognita del voto segreto potrebbe portare qualche cambiamento

Mercoledì scadranno i termini per presentare emendamenti al disegno di legge sul cosiddetto “fine vita”, come viene definito l’insieme delle scelte che riguardano la morte e il periodo che la precede: è in discussione dalla scorsa settimana nelle commissioni Giustizia e Sanità del Senato. C’è una certa attesa per conoscere le proposte di modifica che arriveranno dalle opposizioni e soprattutto dalla maggioranza, ma è abbastanza diffusa, proprio tra gli esponenti della destra, la convinzione che alla fine il governo non sarà disponibile ad accettare modifiche profonde, nonostante soprattutto dentro Forza Italia stiano emergendo vari dubbi sul disegno di legge.
Il testo in discussione è già del resto una sorta di riformulazione del governo di cinque diversi testi presentati da esponenti di maggioranza e di opposizione: anche se in misura molto parziale, la proposta ha già accolto alcune delle obiezioni mosse dal centrosinistra e da varie associazioni su altri disegni di legge sul tema promossi in passato da esponenti di maggioranza.
Restano comunque almeno due aspetti particolarmente controversi, e su cui si stanno concentrando le polemiche in parlamento. Da un lato, l’esistenza di un comitato di esperti chiamati a decidere sull’ammissibilità delle richieste al suicidio assistito, nominato integralmente dal presidente del Consiglio; dall’altro lato, soprattutto, il divieto di usufruire di personale, strutture e medicinali in dotazione al servizio sanitario nazionale per le procedure relative al fine vita.
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La questione si trascina da anni, in particolare dal 2019, quando una sentenza della Corte costituzionale dichiarò legittimo il ricorso al suicidio assistito, sollecitando poi più volte il parlamento a legiferare e a farlo tenendo conto di alcuni princìpi. Uno è appunto il fatto che le aziende sanitarie locali valutino la possibilità di fornire i trattamenti necessari al suicidio assistito, avvalendosi di specifici comitati clinici territoriali. Nell’idea iniziale suggerita dalla Corte costituzionale, recepita per esempio da un disegno di legge del senatore del PD Alfredo Bazoli, questi comitati dovevano essere organismi terzi e indipendenti, composti da esperti di varie materie scientifiche legate al fine vita. In questo modo avrebbero saputo valutare i casi più complicati e, soprattutto, fornire un parere attendibile e legalmente valido ai medici chiamati a prendere decisioni delicate.
A partire da questa idea, ma distorcendola profondamente, Fratelli d’Italia aveva proposto la creazione di un unico «Comitato etico» nazionale, competente su tutti i casi nelle diverse regioni: e una volta espresso un giudizio su una singola richiesta, e averla bocciata, sarebbero dovuti passare almeno 4 anni prima di sottoporre nuovamente al comitato quello stesso caso. Il testo attuale ha attenuato, almeno formalmente, alcune di queste forzature: il «Comitato etico» è stato ridefinito «Comitato nazionale di valutazione» e il tempo minimo tra un giudizio e l’altro su uno stesso caso è sceso da 4 anni a 6 mesi.
Resta però quella che in tanti parlamentari di opposizione e alcuni di Forza Italia considerano un’anomalia: il fatto che i 7 esperti di questo comitato verrebbero nominati interamente dal presidente dei Consiglio tramite decreti (i DPCM di cui sentimmo parlare spessissimo durante la pandemia). Questo inevitabilmente esporrebbe il comitato ad accuse di parzialità, o comunque di vicinanza politica a questo o a quel governo. Il centrosinistra proporrà di affidare al parlamento la nomina di almeno una parte di questi esperti, in una logica di maggiore condivisione delle scelte tra i partiti. Ma non è detto che il governo accolga questa richiesta.
C’è poi l’altra questione: il fatto che l’articolo 4 del testo promosso dal governo stabilisce che «il personale in servizio, le strumentazioni e i farmaci di cui dispone a qualsiasi titolo il Servizio sanitario nazionale non possono essere impiegati al fine dell’agevolazione» della morte assistita. Alla base di questa scelta apparentemente inspiegabile c’è una ferma convinzione da parte di Fratelli d’Italia, che il senatore Francesco Zaffini, presidente della commissione Sanità, argomenta così: «Il denaro pubblico non può essere usato per pagare una prestazione che si concretizza nel diritto a morire». C’è dunque una questione economica ed etica insieme: la sentenza della Corte costituzionale, secondo Zaffini, esclude che la pratica della morte assistita sia considerata un reato al pari dell’omicidio, ma non introduce il diritto dei cittadini a ricevere quel trattamento.

Il senatore di Fratelli d’Italia Francesco Zaffini il 17 gennaio 2020 (Fabio Cimaglia/LaPresse)
Le opposizioni contestano che il testo non si limita solo a escludere il dovere di ogni struttura pubblica di fornire quelle procedure, ma vieta in modo categorico che il Servizio sanitario nazionale venga coinvolto. È un’obiezione in parte condivisa da Forza Italia, almeno a giudicare dalle dichiarazioni fatte dai suoi dirigenti in queste ore. Il capogruppo al Senato Maurizio Gasparri, per esempio, propone un compromesso: escludere le pratiche del fine vita dai Livelli essenziali di assistenza (LEA), cioè quelle prestazioni che gli ospedali devono garantire al cittadino (e tra le quali rientrano, peraltro, le cure palliative), ma consentire che, se ci sono le condizioni previste dalla legge e dalla Corte costituzionale, e se il singolo medico è disponibile, anche nelle strutture del Servizio sanitario nazionale possa essere fornito il trattamento.
Insomma, i dubbi sono molti e diffusi, e a differenza di altre situazioni potranno avere un peso rilevante. Sulle questioni etiche come quella del fine vita, infatti, è prevista la votazione a scrutinio segreto, una procedura che non consente di conoscere come abbia votato il singolo eletto. E dunque, nonostante le indicazioni di partito, c’è una certa libertà per i senatori: al momento decisivo del voto in aula potrebbero esserci sorprese. Il governo deve tenere conto di questa incognita, e quindi è probabile che, al di là delle intenzioni manifestate finora, possa accogliere almeno in parte qualche proposta di emendamento.



