Il Tour de France ha bisogno di suspense
Quest’anno prova a ottenerla posticipando le tappe con le grandi salite, per evitare che diventi da subito una cosa tra Pogačar e Vingegaard

Sabato parte da Lille, nel nord della Francia, l’edizione 112 del Tour de France maschile, la corsa ciclistica più importante al mondo, che si concluderà il 27 luglio a Parigi. Tra Lille e Parigi ci sono poco più di 200 chilometri, eppure per collegare partenza e arrivo il Tour farà un giro parecchio più largo che in 21 tappe coprirà un percorso di oltre 3.300 chilometri, con più di 52mila metri di dislivello positivo, la maggior parte dei quali accumulati nella seconda metà del percorso, prima sui Pirenei e poi sulle Alpi. Il grande favorito per la vittoria finale è il 26enne sloveno Tadej Pogačar, che ha già vinto il Tour de France nel 2020, nel 2021 e nel 2024. Ed è molto probabile che il suo principale rivale sarà il 28enne danese Jonas Vingegaard, vincitore del Tour nel 2022 e nel 2023.
È quindi da cinque anni che il Tour viene vinto da uno tra Pogačar e Vingegaard, ed è da quattro anni che quello tra loro che non vince arriva comunque secondo, con ampio vantaggio sul terzo. Questa grande rivalità – una delle più grandi mai viste al Tour de France – è un’ottima cosa per il ciclismo ma comporta anche due problemi. Il primo è che nelle ultime quattro edizioni del Tour de France sia Pogačar che Vingegaard sono stati molto più forti di chiunque altro. Il secondo è che – in particolare dal Tour del 2024 in poi – Pogačar è spesso sembrato, a sua volta, troppo più forte di Vingegaard.
Nel miglior scenario possibile dal punto di vista della competizione e del racconto sportivo Pogačar e Vingegaard si confronteranno in una sfida equilibrata e indecisa fino all’ultimo. Ma è anche possibile che durante il Tour si possa capire ben presto che la sfida sarà tutt’altro che equilibrata, magari a causa di una netta superiorità di Pogačar. È difficile, invece, che qualcun altro competa con loro per la vittoria finale: in tal caso il più accreditato sarebbe probabilmente il belga Remco Evenepoel.

Vingegaard e Pogacar al Tour del 2024 (Dario Belingheri/Getty Images)
Una peculiarità del ciclismo è che la società che organizza il Tour de France – ASO (Amaury Sport Organisation) – ha un potente strumento per provare a indirizzare le vicende della corsa. È la possibilità, anno dopo anno, di disegnare un percorso con determinate caratteristiche, soprattutto altimetriche, che possano incentivare o al contrario inibire determinati attacchi da parte di Pogačar o Vingegaard.
Chi organizza Wimbledon non può fare granché per far sì che si arrivi a una finale anziché un’altra. Il Tour, invece, può dosare e distribuire in vario modo le tappe, scegliendo per esempio se e quando mettere più o meno salite o discese.
Quest’anno sembra che da un punto di vista altimetrico il Tour de France sia diviso in due parti: una prima metà perlopiù pianeggiante, nel nord-ovest della Francia, lontano dalle grandi catene montuose del sud; e una seconda parte che sarà invece piena di salite, prima nei Pirenei e poi nelle Alpi, con arrivi messi al termine di alcune tra le più celebri e difficili salite del Tour de France, come il Mont Ventoux o il Col de la Loze.
Tra commentatori e appassionati c’è chi ha ipotizzato che gli organizzatori del Tour de France lo abbiano disegnato così per tenere alto nella parte iniziale l’interesse per il confronto tra Pogačar e Vingegaard, o comunque evitare che già dalle prime tappe uno dei due possa avvantaggiarsi troppo (cosa che in genere, soprattutto tra loro due, succede nelle tappe di montagna), e nel frattempo lasciare spazio ad altri ciclisti con caratteristiche diverse, come Mathieu van der Poel, Wout van Aert o velocisti come l’italiano Jonathan Milan.
In parte è probabilmente così, ma è un’interpretazione che semplifica un po’ troppo la questione, perché il Tour de France è corso da 23 squadre di otto corridori ciascuna, per un totale di 184 corridori. Oltre Pogačar e Vingegaard ci sono altri 182 ciclisti professionisti con peculiarità e obiettivi tra loro molto vari: c’è chi punta a vincere una tappa, chi ad arrivare il più in alto possibile in classifica generale, chi a indossare e se possibile tenere fino alla fine la maglia gialla (che è indossata da chi, tappa dopo tappa, è primo in classifica) o una delle maglie dedicate ad altre classifiche, come per esempio quella a pois riservata a chi ottiene più punti sulle salite del Tour de France.
C’è poi da considerare che la componente sportiva è solo una delle tante che entrano in gioco quando si tratta di decidere il percorso del Tour de France. Ci sono necessità economiche (le città pagano per essere sedi di arrivo o di tappa) ed estetiche (c’è ovviamente l’interesse a mettere in mostra la Francia e i suoi paesaggi), ma anche esigenze logistiche (come quando si deve “fare tappa” in una specifica località per evitare trasferimenti troppo lunghi) e ragioni storiche o culturali (come la volontà di celebrare un determinato luogo in occasione di un anniversario).
La persona che per il Tour de France si occupa di tutto questo è Thierry Gouvenou, definito da The Athletic «la mente dietro il percorso del Tour de France». Gouvenou ha 56 anni ed è un ex ciclista professionista che tra il 1994 e il 2001 partecipò a sette Tour de France e che dal 2014 si occupa di deciderne i percorsi. Gouvenou ha raccontato che il suo lavoro inizia quando il suo capo (Christian Prudhomme, il direttore generale del Tour de France) gli presenta le città interessate a essere sedi di tappa e i luoghi da cui vorrebbe si passasse. Dopodiché, prima online e poi di persona – guidando nei luoghi interessati – il suo compito è costruire il percorso chilometro dopo chilometro.
Intervistato nel 2023 dalla rivista di ciclismo Rouleur, Gouvenou aveva raccontato di dover bilanciare la sicurezza dei corridori e la praticabilità di determinate strade con la necessità di rendere le tappe difficili, imprevedibili e possibilmente sorprendenti, aperte a diversi possibili esiti. Riferendosi al modo in cui il Team Sky, la squadra di Chris Froome, riusciva a controllare le tappe, spesso rendendole parecchio noiose, Gouvenou aveva ammesso di aver dovuto più volte «abbandonare la zona di comfort» per cercare qualcosa di diverso e imprevisto. E parlando con The Athletic ha ammesso che gli eventi di un’edizione influiscono sulla pianificazione della successiva: «Tra l’80 e il 90 per cento del percorso è deciso dopo la fine dell’edizione precedente».
Resta però un lavoro parecchio difficile, perché implica il provare a prevedere come si comporteranno 184 corridori, senza sapere chi ci sarà e chi no, che tempo farà, o cosa sarà successo nelle tappe precedenti. Intervistato dall’Équipe, Prudhomme ha detto che a volte capita di prenderci in pieno, perché «tutto va come previsto», altre volte può capitare che nonostante un percorso «magnificamente disegnato» non succeda granché per l’intera tappa. Alla domanda «siete mai tentati di favorire, anche solo inconsciamente, corridori con caratteristiche specifiche?», Prudhomme ha risposto: «Non è nemmeno qualcosa di inconscio. In anni recenti, per esempio, abbiamo favorito i puncheur [corridori abili in terreni ondulati, con salite ripide ma brevi] rispetto agli scalatori [gli specialisti delle salite più lunghe]. E lo abbiamo fatto perché così si creano finali più incerti e perché in questo modo ci sono meno rischi di cadute».
A proposito della prima delle tre settimane di corsa, quelle considerate più pianeggianti, Prudhomme ha detto che è un «trompe-l’oeil», un percorso che sembra facile e poco adatto a generare importanti distacchi in classifica generale, ma che invece potrebbe scombussolare molto le cose già dalle prime tappe. Vingegaard e soprattutto Pogačar, peraltro, hanno dimostrato di poter attaccare praticamente su qualsiasi percorso: non è detto insomma che già dalla prima settimana non riescano a distanziare il resto dei partecipanti.



