La prima protesta per i diritti delle persone trans in Italia, 45 anni fa

In una piscina di Milano, due anni prima che venisse approvata la legge che regola la transizione

(Dal post su Instagram di Associazione Libellula e Movimento Identità Trans)
(Dal post su Instagram di Associazione Libellula e Movimento Identità Trans)
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Il 4 luglio del 1980 una quindicina di donne trans entrò al Lido di Milano, un centro sportivo con piscina nella zona di San Siro, a nordovest del centro storico, e mise in scena una piccola manifestazione di protesta. Alcune di loro si tolsero il pezzo di sopra del costume: in un brevissimo spezzone di un video della Rai si vedono due donne camminare con il seno scoperto in mezzo a un gruppo di bambini e altre donne. In un altro video le si vede sventolare uno striscione che secondo alcune ricostruzioni diceva: «Siamo transessuali, basta con le discriminazioni». A chi intimò loro di rivestirsi risposero che potevano stare tranquillamente solo con il pezzo di sotto del costume, dal momento che lo Stato le considerava degli uomini.

(Dal profilo Instagram di Movimento Identità Trans)

Questa protesta, chiamata anche “la rivolta trans delle piscine”, è considerata la prima in Italia per il riconoscimento dell’identità di genere delle persone trans sui documenti d’identità. Avvenne due anni prima che fosse approvata la legge 164 del 14 aprile 1982, quella che regola la transizione e consente di allineare il sesso biologico alla propria identità di genere («Norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso»). La legge del 1982 fu introdotta proprio su pressione delle prime associazioni e movimenti che rappresentavano le persone trans, con due obiettivi principali: mettere fine alle cure ormonali fai da te, rischiose per la salute, e sanare la posizione anagrafica di quelle persone che provavano un forte disagio per avere sui documenti un genere diverso da quello vissuto come proprio.

La storia della protesta in piscina viene ricordata dal Movimento Identità Trans (Mit) come l’inizio di «45 anni di lotte». Un articolo del Corriere della Sera di allora dice che la protesta iniziò verso le 17: poi le manifestanti, tra cui Pina Bonanno (che per anni fu la presidente del Mit di Milano), vennero fermate dalla polizia e furono portate in commissariato insieme a quattro giornalisti che erano presenti, e dovevano quindi essere sentiti come testimoni. In un articolo pubblicato sulla rivista il Mulino qualche anno fa Elia A.G. Arfini scrive che tutte le manifestanti furono denunciate per oltraggio alla pubblica decenza. Insieme a loro in piscina c’erano anche tre esponenti del Partito Radicale, stando al Corriere della Sera del 5 luglio 1980.

Non si trovano molte altre informazioni su questa protesta, che però divenne in qualche modo un momento di svolta. In quegli anni infatti, ricorda Arfini, molte persone trans erano sottoposte a multe, diffide e sequestri di documenti, con tutte le difficoltà e discriminazioni del caso sia sul lavoro che a livello sociale.

Nel 1982 la legge 164 fu approvata su iniziativa del deputato radicale Francesco De Cataldo. Stabilisce che deve essere il tribunale di residenza a prendere la decisione sul cambiamento anagrafico di sesso della persona che ne fa richiesta. Dice anche che il tribunale autorizza «quando risulta necessario» un «adeguamento dei caratteri sessuali da realizzare mediante trattamento medico chirurgico». La legge è stata fino a un certo punto interpretata in modo da considerare necessaria l’operazione chirurgica ai genitali, e dunque la sterilizzazione, per la rettifica del sesso e il cambio del nome sui documenti.

Nel 2015 due importanti sentenze (la 15138 della Corte di cassazione e la 221 della Corte costituzionale) sono intervenute su questo aspetto della legge: andando contro l’interpretazione fino a quel momento prevalente, hanno stabilito che l’intervento chirurgico non è necessario, ma è solo una possibilità. Prima delle sentenze, non era previsto di poter scegliere: se si volevano ottenere i documenti l’operazione era obbligatoria. Fu così per molte persone che non volevano essere costrette a una continua violazione della privacy e sottoposte al costante disagio dovuto al contrasto tra identità di genere vissuta e sesso indicato sui documenti.

Oggi quindi è possibile chiedere anche solo la rettificazione del nome e del sesso al tribunale. Se si sceglie l’intervento chirurgico serve comunque un’autorizzazione apposita del tribunale, e in tutti i casi la richiesta va accompagnata da una documentazione psicodiagnostica e medica.

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