I politici che funzionano sui social hanno una cosa in comune

Riescono a dare l'idea di essere sé stessi, e in questo modo risultano simpatici e credibili: da Zohran Mamdani a Roberto Gualtieri

(AP Photo/Heather Khalifa)
(AP Photo/Heather Khalifa)
Caricamento player

Pochi giorni prima di vincere le primarie del Partito Democratico statunitense per il candidato sindaco di New York con il 56 per cento delle preferenze, Zohran Mamdani ha pubblicato un video in cui attraversava tutta Manhattan a piedi, da una parte all’altra, per un totale di circa 25 chilometri in un giorno. Nel video lo si vede fermarsi per dare il cinque a decine di sostenitori, oppure per abbracciarli, stringere loro la mano, scambiare qualche chiacchiera, scattarsi selfie. Lo ha fatto, ha detto, «perché i newyorkesi meritano un sindaco che possono vedere, sentire e persino sgridare personalmente».

Il commento era una frecciatina a Andrew Cuomo, il suo principale sfidante alle primarie, che è spesso stato criticato perché non vive a New York da anni ed è considerato poco consapevole di come se la passa davvero la gente comune in città. Ma è anche un buon esempio dello stile di comunicazione diretto, a tratti impertinente ma sempre molto chiaro che Mamdani ha adottato fin dall’inizio della sua campagna, e che secondo molti esperti è uno dei fattori centrali nella sua vittoria inaspettata.

Da anni, come tutti, anche i politici si sono spostati sui social network, con risultati altalenanti. Quasi tutti faticano a stare al passo con nuovi formati e tendenze senza sembrare fuori luogo: quelli che ci riescono, però, hanno principalmente una cosa in comune.

«Quello che funziona nel 2025 è la stessa cosa che funzionava nel 2007, che poi è la stessa cosa che funziona anche offline. Non è mai solamente una questione di tecnica di comunicazione: serve la capacità di risultare credibile e coerente, tenendo insieme profilo, storia personale, battaglie politiche, curriculum, tutto quello che rappresenta il vissuto della persona», spiega Dino Amenduni, uno dei più riconosciuti esperti di comunicazione politica in Italia.

È insomma una questione di autenticità, a maggior ragione ora che gli utenti online hanno cominciato a premiare, in generale, gli influencer che pubblicano contenuti meno patinati, che paiono genuini, credibili e fedeli a sé stessi. «Sappiamo ormai da molti anni che un candidato in grado di raccontare la propria storia in modo creativo su Internet ha un vantaggio elettorale, a New York e praticamente in qualsiasi parte del mondo», ha scritto per esempio Eric Lach sul New Yorker, parlando del successo di Mamdani. «I social media sono il luogo in cui molti elettori decidono se possono contare su uno specifico politico. È un test di autenticità».

È il caso di Mamdani, che nell’arco di un anno è passato dall’essere un membro dell’assemblea statale di New York sostanzialmente sconosciuto a una sorta di celebrità sui social network, dove migliaia di commentatori in giro per il mondo rispondono costantemente ai suoi post per dire che, se solo potessero, anche loro voterebbero per lui. Ma era stato già il caso, tra il 2018 e il 2019, di Alexandria Ocasio-Cortez, che con una velocità sorprendente era diventata una delle politiche più visibili e discusse del Partito Democratico statunitense, anche grazie a una presenza molto fresca e spontanea sui social.

In Italia ha suscitato una certa curiosità il nuovo approccio di Roberto Gualtieri, il sindaco di Roma, che da mesi appare quotidianamente in video per mostrare (e indicare con il dito, di solito) tutti i cambiamenti che stanno avvenendo in città, al punto che è apparsa anche una pagina Instagram satirica che si chiama “Gualtieri che indica cose”. E in Spagna in molti analizzano la comunicazione della presidente della Comunità autonoma di Madrid Isabel Diaz Ayuso, politica di centrodestra e principale oppositrice del primo ministro Pedro Sánchez e la seconda leader più seguita del paese sui social, che sta invece puntando molto sul racconto della propria vita privata, come farebbe un’influencer, più che sulle sue battaglie politiche.

«Ciò che funziona per Mamdani non funzionerebbe per Gualtieri», sottolinea Amenduni. Anzi, a suo avviso nel caso di alcuni politici particolarmente anziani, oppure molto ingessati, o in generale poco propensi ai social media, non ci si dovrebbe sforzare di cercare una strategia politica particolarmente attiva online. La cosa fondamentale, infatti, è dare l’idea di essere sé stessi. I politici che lo sanno fare, e che quindi “funzionano”, finiscono per diventare un po’ anche delle personalità di internet, seguite anche solo per il loro carisma o la simpatia, e apprezzate come forma di intrattenimento. Dei content creator.

– Leggi anche: Su Instagram e TikTok è pieno di nonni

In televisione, nei comizi e sui giornali, per esempio, Diaz Ayuso è molto combattiva nelle sue critiche al governo di centrosinistra spagnolo. Ma sui propri profili sui social – e soprattutto su Instagram – ha scelto di non investire su un’immagine polarizzante, né sulla celebrazione dei risultati della sua amministrazione. In larga parte, anzi, Diaz Ayuso pubblica il genere di post che si troverebbero sul profilo di una persona qualsiasi: foto degli outfit che indossa e delle cose che sta mangiando, selfie con i personaggi famosi che incontra o con il proprio cane.

Secondo una recente analisi dell’Università di Cadice del suo stile di comunicazione, è una formula che funziona sia perché Instagram premia più i contenuti positivi che quelli polarizzanti – al contrario di piattaforme come Twitter o Facebook – sia perché molti si aspettano, dalle donne famose che vedono online, un comportamento simile a quello delle influencer, molto incentrato sulla quotidianità, che trasmetta un’immagine da persona comune. Ed è una strategia che la premia, dice Amenduni: in Spagna Diaz Ayuso è «una figura molto pop, capace di generare non solo sentimenti rabbiosi ma anche un forte gradimento personale».

Anche Mamdani ha limitato gli attacchi agli avversari, a cui ha rivolto più che altro frecciatine e battute sarcastiche. Né ha cercato forzatamente di diventare un meme, strategia che invece era stata adottata dalla campagna elettorale della candidata Democratica alla presidenza statunitense Kamala Harris. Anche sui social, la campagna di Mamdani si è concentrata principalmente sulle sue proposte radicali per la città: il videomaker Donald Borenstein, che ne ha realizzati gran parte, ha detto che «ogni tanto creiamo contenuti un po’ giocosi, ma per noi è importante non ridere mai della situazione in cui si trova New York».

Nei suoi video Mamdani coinvolge spesso newyorkesi comuni, con cui parla dei problemi che affrontano nel quotidiano. Ha spiegato il sistema di voto per le primarie, piuttosto complesso, parlando fluentemente hindi, e facendo dei riferimenti scherzosi alla cultura pop indiana, consapevole del fatto che New York ha una grande comunità del sud-est asiatico. È andato a mangiare una porzione di pollo e riso a un carretto di street food parcheggiato a Zuccotti Park, in piena Manhattan, e si è messo a parlare delle difficoltà economiche che affrontano i venditori ambulanti in città. Ha fatto un sacco di battute sul fatto che nei suoi video, mentre parla, muove molto le mani, al punto che il suo team gli avrebbe chiesto di tenerle in tasca.

– Leggi anche: La difficile ricerca di un «Joe Rogan della sinistra»

Se i politici americani (soprattutto tra i Democratici) tendono a evitare di apparire negli show di content creator famosi, perché richiedono un genere di spontaneità che non tutti possiedono, Mamdani ha mostrato di saper stare al gioco. Ha partecipato spesso a video che hanno più a che fare con l’intrattenimento che con la politica, senza apparire per questo goffo o artificioso. Ha chiacchierato tranquillamente con lo streamer di sinistra Hasan Piker, si è sottoposto a un quiz sulla cultura LGBTQ+ per determinare se fosse «gay o omofobo», è stato addirittura ospite di un podcast gestito da due ex membri della polizia municipale di New York, che in larga parte erano in disaccordo con le sue posizioni. Uno dei conduttori ne è uscito dicendo che «è chiaro che quanto meno [Mamdani] è un uomo onesto».

I risultati sui social network, in termini di numeri, sono stati enormi: secondo la società di analisi dei dati Sprout Social, nel mese di giugno il suo tasso di interazione con gli utenti su Instagram è stato 14 volte superiore a quello di Andrew Cuomo, il principale favorito alle primarie del Partito Democratico.

Secondo Amenduni, il sindaco di Roma Roberto Gualtieri sui social network – specie su Instagram e TikTok – funziona molto bene per motivi simili. Eletto nel 2021 per il centrosinistra, nei primi anni Gualtieri aveva fatto fatica a comunicare il lavoro della propria amministrazione ai romani: «addirittura, parlando a pochi mesi dall’elezione con amici romani che non erano stati elettori di Virginia Raggi [la precedente sindaca di Roma, del Movimento 5 Stelle] e che avevano votato per Gualtieri, mi dicevano che quasi quasi rimpiangevano Raggi. Ci ha messo un po’ a carburare», riassume Amenduni.

Da qualche mese a questa parte, però, Gualtieri ha trovato un modo efficace di comunicare i risultati del lavoro della sua giunta, che si tratti di nuovi parchi aperti, monumenti ristrutturati o migliaia di nuovi cestini. Sono i video verticali in cui mostra l’andamento di lavori in corso, oppure inaugura nuovi spazi e servizi, entrando «a suo agio nei panni del “delegato” del cittadino, che ispeziona e rendiconta. E quando indossa giubbotto catarifrangente e caschetto e dialoga con gli operai del cantiere di una ristrutturazione, diventa anche un addetto ai lavori», ha scritto Fabio Insenga sul blog specializzato Comunicazione Italiana. «La percezione della gente comune, anche considerando la quota di chi lo prende in giro, è quella di un sindaco che fa, che è presente, che si muove continuamente e arriva dove succedono le cose. E il risultato è che è cresciuta la sua popolarità».

Daniele Cinà, il responsabile della comunicazione di Gualtieri sui social, ha detto che con questa nuova strategia i profili del sindaco hanno ottenuto 18 milioni di visualizzazioni su Instagram e 10 milioni su TikTok in 90 giorni. Il suo profilo Instagram è tra quelli più seguiti dei sindaci in Europa, e lui stesso è entrato a far parte della cultura pop. A giugno, per esempio, è stato chiamato a fare da comparsa al programma comico di Tv8 In&Out, insieme a Michela Giraud, e sui social network è al centro di vari meme che lo prendono bonariamente in giro.

Anche in questo caso, dice Amenduni, è una questione di coerenza: «Anche Virginia Raggi di frequente pubblicava foto di rotonde, cantieri e inaugurazioni, ma all’epoca le venne detto che se sei sindaca di Roma non puoi comunicare piccoli lavori di manutenzione, essendo una città molto grande, e la sua strategia fu liquidata», racconta.

Con Gualtieri, invece, questi contenuti funzionano meglio non solo perché ci sono molti più progetti da inaugurare – per via dei fondi stanziati con il PNRR e per il Giubileo – ma anche perché «lo fa in una maniera perfettamente coerente con il suo profilo pubblico. Il suo non sembra solo un tentativo di essere simpatico sui social: sono video che hanno effettivamente una base di contenuto dietro. Se non avesse nulla di sostanziale da dire, questo stile di comunicazione gli si ritorcerebbe contro, perché darebbe l’aria di prendere in giro i cittadini».