Al Pride di Budapest ci sarà poca opposizione
Partecipare è considerato politicamente problematico anche da diversi avversari del primo ministro Orbán, che ha provato a impedire la manifestazione

Sabato il Pride di Budapest si farà lo stesso nonostante i molti tentativi di impedirlo fatti dal governo ungherese, guidato dal primo ministro sovranista Viktor Orbán, che governa dal 2010 e ha progressivamente smantellato i diritti civili nel paese. Il Pride è diventato un nuovo motivo di scontro tra Orbán e le istituzioni europee, ma ha anche posto un problema politico all’opposizione ungherese, che non sempre ha aderito alle istanze della comunità LGBT+ con la stessa convinzione dei partiti progressisti di altri paesi europei.
Nelle ultime settimane c’è stata una grossa mobilitazione internazionale in difesa della manifestazione. È previsto che partecipino più di 70 eurodeputati (su 719), numerosi parlamentari da vari stati membri, inclusa l’Italia, e anche ministri o ex ministri. La delegazione di più alto livello è probabilmente quella del governo spagnolo: ci saranno la vice prima ministra, Yolanda Díaz, e il ministro della Cultura, Ernest Urtasun.
La mobilitazione è la risposta a come per mesi Orbán si è accanito contro il Pride. Dapprima lo ha vietato per legge, poi la polizia ungherese non lo ha autorizzato. Quando il sindaco di Budapest Gergely Karácsony è intervenuto, consentendo di aggirare il divieto intestando l’organizzazione dell’evento al Comune, il ministro della Giustizia Bence Tuzson ha minacciato di farlo arrestare.
Il governo ungherese insiste che la manifestazione è illegale. Il risultato dei provvedimenti approvati questa primavera, tra i quali un emendamento alla legge sul diritto di assemblea, è che le persone che partecipano a un Pride rischiano una multa fino a 200mila fiorini (circa 500 euro) e che la polizia può ricorrere a software di riconoscimento facciale per identificarle a posteriori. La seconda possibilità, che è potenzialmente incompatibile con le normative europee, riguarda chi ha documenti ungheresi e quindi non dovrebbe applicarsi ai cittadini di altri paesi, che però possono comunque venire multati sul posto. Il comitato del Pride si è organizzato per fornire assistenza legale.
Contro le prospettive di repressione, in questi giorni è intervenuta anche la Commissione Europea. La presidente Ursula von der Leyen ha chiesto al governo ungherese di «consentire che il Pride possa svolgersi senza il timore di sanzioni penali o amministrative contro i partecipanti o gli organizzatori». Orbán le ha risposto di non interferire nelle questioni interne di uno stato membro. Negli stessi giorni Tuzson (il suo ministro della Giustizia) aveva scritto alle ambasciate a Budapest dei paesi europei minacciando l’incarcerazione dei partecipanti, per dissuaderli. Giovedì Orbán è stato meno intimidatorio: ha invitato le persone a non andare al Pride ma ha escluso l’utilizzo della forza.
Anche se la polizia non ha dato il permesso al Pride, ha autorizzato però una contromanifestazione di un gruppo di estrema destra (HVIM), convocata allo stesso orario del Pride con l’obiettivo di impedire il suo svolgimento. HVIM ha legami con Légió Hungária, una formazione neonazista con un inquadramento paramilitare. Anche per motivi di sicurezza, gli organizzatori del Pride comunicheranno sui social il percorso solo a ridosso della partenza (è prevista alle 15, il raduno è un’ora prima).

Viktor Orbán durante il Consiglio Europeo di questi giorni, il 26 giugno a Bruxelles (EPA/OLIVIER MATTHYS)
Il sito Politico Europe ha fatto notare che il principale e più promettente oppositore di Orbán si è tenuto fuori dal dibattito sul Pride. Peter Magyar è un ex alleato del primo ministro e oggi è il leader del primo partito nei sondaggi (TISZA, Rispetto e Libertà). Ci sono alcune eccezioni rilevanti, come il partito di centrosinistra Coalizione Democratica e quello ecologista di Karácsony, sindaco di Budapest, che però sono molto piccoli e soprattutto non hanno una base di consensi a livello nazionale, a differenza di Magyar. Proprio il fatto che lui si sia tenuto defilato ha contribuito a dare più visibilità a Karácsony, che comunque è un suo sostenitore.
La tattica di Magyar ha ragioni politiche. Un eurodeputato del suo partito, Zoltán Tarr, ha detto a Politico che «ci rifiutiamo di cadere nella trappola di Orbán» e cioè in «una provocazione pensata per dividere la società e distrarre dal collasso dei servizi pubblici e dall’aumento del costo della vita». In questo momento TISZA vuole mantenere i consensi senza farsi impelagare in una battaglia che considera ideologica in vista delle elezioni del 2026. Alle ultime, nel 2022, l’opposizione aveva puntato su un candidato con posizioni conservatrici proprio per cercare di pescare nel tradizionale bacino di voti di Orbán fuori dalle città, in cui è più radicata, ma aveva perso lo stesso.
Secondo alcuni analisti l’ultima serie di misure omofobe e discriminatorie del governo, che ha sempre avuto la maggioranza per introdurne ma ha accelerato negli ultimi mesi, si spiega anche tenendo conto di questo contesto. Da un lato il governo ha l’obiettivo di compattare i settori più conservatori dell’elettorato, dall’altro vuole provare a tendere una “trappola” all’opposizione facendola concentrare su temi con cui, secondo Orbán, non vincerà le elezioni.
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