La regione in cui quasi tutto è commissariato
In Calabria ci sono commissari straordinari per i comuni, per gli ospedali, a volte anche per gli stessi commissari: nemmeno il governo sa quanti sono

Quando un ricercatore dell’università della Calabria si è presentato agli uffici del ministero dell’Interno per chiedere l’elenco di tutti gli enti commissariati della regione, i funzionari sono rimasti spiazzati. Nemmeno lì, dove in teoria si dovrebbe conoscere tutto di tutti i comuni italiani, sapevano dare una risposta certa. Qualche elenco c’era, ma non completo né aggiornato. Il motivo è semplice: in Calabria ci sono così tanti commissariamenti, disposti da così tanto tempo, che non è più possibile nemmeno contarli. È questa straordinarietà ormai ordinaria che ha spinto l’università della Calabria a studiarli, a cercare di capire quanto influiscano sulla gestione dell’amministrazione pubblica, sulla partecipazione elettorale e alla lunga sulla democrazia.
A maggio anche una giornalista del Quotidiano del Sud, Maria Francesca Fortunato, ha provato a capire quanti siano con più precisione, fermandosi ad alcune stime attendibili. Tra comuni, aziende sanitarie e ospedaliere, enti regionali e aziende partecipate ha contato almeno 40 commissariamenti, senza però tenere conto dei sub commissariamenti, ovvero del commissariamento dei commissari.
Vanno poi considerati i commissariamenti per dissesto finanziario dei comuni che hanno accumulato debiti per milioni di euro e non sono riusciti ad approvare i bilanci: sono almeno 52, ma il dato è aggiornato allo scorso ottobre e nel frattempo se ne sono aggiunti altri, o stanno per esserne disposti altri dalle prefetture. Anche Fortunato in più parti della sua inchiesta ha scritto che i numeri sono arrotondati per difetto, perché non esiste una ricognizione di tutte le nomine.
I commissari straordinari, come dice l’aggettivo stesso, dovrebbero avere un incarico temporaneo, limitato nel tempo. Fin dalle origini della pubblica amministrazione, il loro compito è accelerare alcune procedure o risolvere in tempi rapidi un problema specifico.
Nella maggior parte dei casi, sia a livello nazionale che locale, i commissari possono agire in deroga rispetto alle normative tradizionali, per esempio assegnando appalti e lavori senza gare, con molta più libertà e discrezionalità rispetto ai sindaci. I commissari nazionali vengono nominati con un decreto del presidente della Repubblica, su proposta della presidenza del Consiglio, mentre i commissari locali – in particolare quelli dei comuni – vengono nominati dalle prefetture.
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In Calabria negli ultimi tre decenni molti comuni sono stati commissariati per infiltrazioni mafiose. I più recenti sono Badolato, Casabona e San Luca, commissariato tre volte negli ultimi 25 anni. Dal 1991, quando fu istituito lo scioglimento dei comuni per mafia, in Italia ci sono stati 350 commissariamenti di questo tipo, più di un terzo dei quali in Calabria. Circa il 70 per cento delle persone che abitano nella provincia di Reggio Calabria, capoluogo compreso, ha visto il proprio comune commissariato per mafia almeno una volta dal 1991.
Antonio Costabile, professore di sociologia dell’università della Calabria, dice che quando lui e i suoi colleghi hanno iniziato a occuparsi di questo fenomeno sono rimasti impressionati dalla moltiplicazione e dalla reiterazione dei commissariamenti. Soprattutto nei casi di dissesto finanziario, i commissariamenti vengono allungati o prorogati, in molti casi senza nemmeno troppe comunicazioni. Molti commissari rimangono semplicemente in carica anche dopo la scadenza del loro mandato. «Il commissariamento dovrebbe essere un evento straordinario, in realtà è diventato silenziosamente un fenomeno ordinario e di lunga durata, l’opposto di quello che dovrebbe essere», dice Costabile. «Ormai viene commissariato di tutto, perfino gli stessi commissari».
Il commissariamento più noto è quello della sanità calabrese. L’assessorato regionale alla Salute è commissariato ormai da 15 anni, durante i quali sono stati approvati a più riprese piani di rientro dal debito e tagli delle spese che hanno impoverito sempre di più ospedali e altre strutture sanitarie, in molti casi portando alla loro chiusura.
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Oltre al commissariamento generale, all’inizio di marzo il governo ha approvato una misura che prevede di accelerare tempi e procedure per la costruzione di vari ospedali che avrebbero dovuto essere realizzati anni fa. Tra questi ci sono i quattro ospedali di Palmi, Vibo Valentia, Sibari e Catanzaro.
Il commissario nominato per la costruzione degli ospedali è il presidente della Regione Roberto Occhiuto, che è anche commissario per il rientro del debito della sanità. Già 20 anni fa in Calabria fu nominato un commissario per la costruzione degli ospedali, che concluse il mandato senza aver raggiunto l’obiettivo. Tra le altre cose, Occhiuto a metà giugno ha annunciato di essere indagato per corruzione, anche se non per il suo ruolo nella gestione della sanità.
A febbraio inoltre Occhiuto ha nominato i nuovi commissari di quattro aziende sanitarie: quella di Catanzaro, quella di Crotone, dell’azienda ospedaliera di Reggio Calabria e dell’azienda ospedaliera universitaria Dulbecco di Catanzaro. È stato necessario nominare nuovi commissari perché quelli precedenti erano andati in pensione oppure non erano più idonei. L’azienda sanitaria di Vibo Valentia ha ben due commissariamenti: uno per debiti e uno per infiltrazioni mafiose.
Oltre a comuni e aziende sanitarie in Calabria c’è un commissario per il rischio idrogeologico, uno per la bonifica di una grande area industriale dismessa di Crotone, quattro per altrettanti parchi nazionali – Sila, Aspromonte, Pollino e il parco regionale delle Serre.
Sono commissariate anche molte aziende partecipate, alcune in attesa della nomina dei dirigenti: l’ATERP, ovvero l’azienda territoriale per l’edilizia residenziale pubblica, l’Arrical che gestisce i rifiuti e la rete idrica, il consorzio unico di bonifica e gli 11 consorzi di bonifica territoriali, la ReDigit che si occupa di servizi digitali e l’Agenzia per l’energia. Anche alcune fondazioni regionali, come le fondazioni a tutela delle minoranze linguistiche, sono state commissariate perché in liquidazione.
Secondo Costabile, in Calabria quello dei commissari è diventato negli anni un «mondo opaco» che ha contribuito a creare una nuova figura amministrativa che si sostituisce alla politica. Molti commissari sono funzionari pubblici che durante la loro carriere hanno fatto quasi solo i commissari, oppure ex politici non eletti, riciclati in questo ruolo perché portatori di qualche consenso e a cui bisogna trovare un posto. Costabile dice che ormai non è più la politica a essere commissariata, ma direttamente la democrazia, perché i commissari non devono rendere conto agli elettori, bensì a chi li ha nominati: «La democrazia viene depotenziata, ha molto meno valore».
La ricerca a cui sta lavorando l’università della Calabria in collaborazione con le università di Napoli, Firenze e Salerno sta cercando di analizzare il fenomeno anche da un punto di vista culturale, ovvero cercando di capire come mai al sud ci sono molti più commissari rispetto alle regioni del nord.
Una risposta è che nel Meridione il tessuto produttivo è più debole e gli enti pubblici hanno il ruolo delle industrie del nord, dove si concentrano molti posti di lavoro. «Il politico è un datore di lavoro da cui dipende la distribuzione di risorse pubbliche: qui la politica non risponde alle regole dell’economia, ma a quelle del consenso», continua Costabile. «Il commissariamento è anche questo: uno strumento ormai ordinario per gestire più facilmente il consenso».
Le conseguenze sulla partecipazione elettorale e più in generale politica sono già evidenti. Alle prime elezioni dopo i commissariamenti – questo vale in tutte le regioni, non solo in Calabria – è molto complicato trovare persone disposte a candidarsi e sono poche le persone che vanno a votare. Spesso si ricandida chi governava nel momento in cui il comune era stato commissariato, senza alcun tipo di rinnovamento. I lunghi commissariamenti compromettono anche la crescita della classe dirigente delle aziende pubbliche, incentivando i giovani laureati a emigrare alla ricerca di opportunità e meritocrazia.



