La Cina vuole maiali più magri

Per ragioni che hanno a che fare con il prezzo della carne suina, in costante diminuzione

Maiali in un allevamento cinese
Maiali in un allevamento di Panggezhuang, nel nord della Cina (AP Photo/Mark Schiefelbein)
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Il governo cinese sta cercando di ridurre la produzione nazionale di carne suina e per questo vuole che i maiali che vengono macellati non siano troppo grassi. Per ottenere questo risultato la Commissione nazionale per lo sviluppo e le riforme, un’istituzione statale che si occupa di programmazione economica, ha vietato ai grandi allevatori di vendere una parte dei propri animali ad allevatori più piccoli, per impedirgli di sottoporli a un “ingrasso secondario” e vendere così quantità di carne maggiori.

L’obiettivo del divieto non è legato a questioni sanitarie, ma economiche. I prezzi all’ingrosso della carne suina, un prodotto alimentare fondamentale in Cina, sono i più bassi da quasi un anno e rispetto a gennaio sono diminuiti del 10 per cento, a causa di una più ampia crisi dei consumi. Ormai da quasi quattro anni l’economia cinese ha varie difficoltà, iniziate con la grande svalutazione del settore immobiliare dopo la pandemia. Negli ultimi quattro mesi c’è stata una generale deflazione, cioè una riduzione sostenuta del livello dei prezzi dei beni di consumo. È la condizione contraria all’inflazione ed è un sintomo della riduzione della crescita economica.

Riducendo la produzione di carne di maiale, e quindi l’offerta, le autorità cinesi sperano di contenere la deflazione e rendere più stabili i prezzi. Per farlo hanno anche chiesto agli allevatori di non aumentare il numero di scrofe che vengono sfruttate per la riproduzione. La Commissione nazionale per lo sviluppo e le riforme non ha confermato questa strategia ai media internazionali che se ne sono occupati, come Bloomberg e l’agenzia di stampa Reuters, che però hanno parlato con alcune persone informate che non potevano discuterne pubblicamente.

L’ingrasso secondario è una pratica che si era diffusa tra i piccoli agricoltori cinesi per speculare sul prezzo della carne suina, nella speranza di poter vendere maiali con 40 o 50 chili in più rispetto al consueto a prezzi più alti. Quando però i prezzi sono già in diminuzione peggiora la situazione, perché aumenta l’offerta di carne disponibile in alcuni momenti: e se aumenta l’offerta calano ancora di più i prezzi.

Per il governo cinese questo è un problema, non solo perché rende i prezzi più instabili ma anche per lo spreco di mangime. Generalmente i maiali vengono macellati quando raggiungono un peso di 115-120 chili: è il peso considerato più vantaggioso perché una volta superato gli animali mangiano di più ma crescono meno di dimensioni. E ora la Cina sta cercando di ridurre il consumo di mangimi per via della guerra commerciale con gli Stati Uniti: gran parte degli alimenti per gli animali di allevamento è legata alle importazioni di soia proprio dagli Stati Uniti.

Attualmente la Cina è il paese che produce più carne di maiale e ne importa anche dall’estero, per esempio dal Brasile, dagli stessi Stati Uniti e dalla Russia (le cui esportazioni verso la Cina sono aumentate del 72 per cento rispetto all’anno scorso nei primi tre mesi dell’anno). Solo nel 2024 la Cina ha importato 4,8 miliardi di dollari di carne suina, di cui la metà dai paesi dell’Unione Europea, che vendono in Cina soprattutto frattaglie, meno richieste nei mercati interni.

La Cina è il principale mercato estero dell’Unione Europea per la carne suina, sebbene le importazioni siano calate negli ultimi anni. Proprio per questo il prodotto è stato coinvolto nella disputa commerciale tra il paese e l’Unione Europea, iniziata dopo che un anno fa la Commissione Europea aveva deciso di introdurre nuovi dazi sull’importazione di auto elettriche cinesi. Come ritorsione, il governo cinese aveva aperto un’indagine “antidumping” sulle importazioni di carne suina europea: per “dumping” (dall’inglese “scaricare”) si intende una pratica commerciale per cui in un mercato estero vengono introdotti prodotti a un prezzo molto inferiore rispetto a quello praticato sul mercato interno. L’indagine non è ancora stata chiusa e la scorsa settimana la Cina ha deciso di posticiparne la chiusura di sei mesi in vista di un possibile accordo sulle auto elettriche.

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