Alla Lega non rimane molto tempo per un altro mandato di Zaia in Veneto

E quindi cerca di mettere alle strette Fratelli d'Italia, che per ora sembra voler collaborare soprattutto per convenienza

La presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il presidente della Regione Veneto Luca Zaia durante il Vinitaly a Verona, il 3 aprile 2023 (ANDREA MEROLA/ANSA)
La presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il presidente della Regione Veneto Luca Zaia durante il Vinitaly a Verona, il 3 aprile 2023 (ANDREA MEROLA/ANSA)
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Martedì mattina Alberto Balboni, che è di Fratelli d’Italia ed è il presidente della commissione Affari costituzionali del Senato, ha preso una decisione inattesa: ha accolto la richiesta della Lega di prorogare il termine, inizialmente fissato per martedì stesso, per presentare emendamenti a un disegno di legge che riguarda la composizione dei consigli regionali. In sostanza, i partiti avranno una settimana in più per proporre modifiche o integrazioni a quel testo.

La decisione è apparentemente innocua. Ma in realtà è destinata ad alimentare il dibattito su uno dei temi politici più dibattuti da mesi, e cioè l’innalzamento del limite da due a tre mandati consecutivi per i presidenti di regione. La Lega, grazie soprattutto al lavoro del ministro per gli Affari regionali Roberto Calderoli, ha individuato proprio questo disegno di legge come quello più adatto ad accogliere questa riforma e ad approvarla in tempo utile per le elezioni regionali del prossimo autunno. A quella tornata, tra gli altri, potrebbe beneficiare di un nuovo mandato proprio un presidente leghista, il veneto Luca Zaia. In teoria per lui sarebbe il quarto, ma ai fini della legge ne vengono considerati “validi” solo due dei tre che ha svolto (in Veneto la legge sul limite dei mandati venne applicata nel 2015, dopo il suo primo mandato).

La discussione sembrava accantonata, fino a tre settimane fa. Poi il 5 giugno scorso, al termine del consiglio direttivo di Fratelli d’Italia, Giovanni Donzelli, uno dei più importanti dirigenti del partito di Giorgia Meloni, ha detto che loro sono disponibili a valutare il terzo mandato, se i presidenti di regione lo avessero formalmente richiesto al governo. L’annuncio è stato a suo modo sorprendente: negli ultimi due anni Fratelli d’Italia era sempre stata risolutamente contraria, e ogni volta che la Lega aveva tentato di modificare la norma per alzare il limite dei mandati si era ritrovata isolata, spesso anche in maniera plateale.

Inoltre, la stessa Meloni aveva deciso di impugnare davanti alla Corte costituzionale le leggi con cui sia la Campania sia il Trentino-Alto Adige avevano introdotto il terzo mandato, generando di nuovo un forte conflitto con la Lega.

Alberto Balboni durante la quarta edizione di “Piazza Italia”, una manifestazione di Fratelli d’Italia a Roma, il 12 luglio 2023 (GIUSEPPE LAMI/ANSA)

Poi il 5 giugno c’è stata la svolta. Il ripensamento è mosso evidentemente da ragioni di convenienza tattica: Meloni lo promuove, senza tuttavia formalmente esporsi in prima persona, pensando alle regionali autunnali che si preannunciano complicate per il centrodestra. Introdurre il terzo mandato servirebbe da un lato a soddisfare la Lega in Veneto, così da convincere Salvini a rinunciare a pretendere altre regioni in futuro.

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Dall’altro lato spingerebbe Vincenzo De Luca, presidente uscente del Partito Democratico al termine del suo secondo mandato consecutivo, a ricandidarsi in Campania: e questo potrebbe spaccare la coalizione di centrosinistra e dunque favorire il centrodestra che al momento parte sfavorito in quella regione.

Ma prima ancora che per le sue possibili ricadute concrete, la scelta di Fratelli d’Italia ha un’altra, preliminare, motivazione: far vedere a Salvini che non c’è intenzione di fare uno sgarbo a lui e al suo partito. Insomma, sarebbe una sorta di dimostrazione di buona volontà che varrebbe, se non altro, a togliere a Salvini la possibilità di recriminare.

Il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, di Fratelli d’Italia, era stato tra i primi a suggerire questo ripensamento, ponendo però come condizione che si arrivasse a una legge nazionale che disciplinasse la materia in maniera uniforme, senza lasciare l’iniziativa a ogni singola regione. «Se c’è la possibilità di trovare un accordo, perché non provare? Se l’accordo poi non si trova, se ne prenderà atto», diceva giorni fa.

Il punto però è come sia possibile trovarlo, questo accordo. Gli impedimenti sono principalmente due. Il primo ha a che vedere con la posizione di Forza Italia: Antonio Tajani ha ribadito in modo categorico di essere contrario al terzo mandato. «E senza Forza Italia non ci sono i numeri», dice con tono sornione e allusivo il senatore di Fratelli d’Italia Luca De Carlo. «Noi abbiamo aperto, nessuno può negarlo adesso. Se altri chiudono, anche la Lega se ne farà una ragione», aggiunge.

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L’altro problema è legato al tempo, invece. Per fare in modo che la riforma del terzo mandato possa essere sfruttata da Zaia in autunno, non ne rimane molto. La legge prevede che le liste dei candidati, e le candidature alla carica di presidente di regione, devono essere depositate non oltre il 29° giorno prima del voto, quindi insomma un mese prima. La data più probabile per le regionali – ma ancora non decisa – oscilla tra il 19 e il 26 ottobre. Dunque in teoria si avrebbe tempo fino a metà settembre per approvare la norma, ma nella pratica non è così. Per compilare le liste dei candidati si impiegano giorni, spesso settimane: e ovviamente la composizione delle liste varia non poco a seconda di chi è il candidato presidente, di quale partito è, in quale provincia risiede, eccetera.

Il ministro per gli Affari regionali Roberto Calderoli al Senato, il 10 giugno 2025 (MASSIMO PERCOSSI/ANSA)

Per questo motivo sia Tajani sia Calderoli, stando a quanto riferiscono i parlamentari che hanno avuto modo di confrontarsi con loro su questo argomento, convengono sul fatto che la modifica della legge per consentire il terzo mandato vada depositata non oltre la fine di questa settimana. Certo, con un decreto-legge si potrebbe intervenire anche più tardi e senza grossi problemi: ma un decreto-legge, per essere approvato dal governo, richiede che ci siano motivi di necessità e di urgenza. Nel governo c’è timore che una decisione in questo senso possa essere malvista dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Resta dunque, più ragionevolmente, l’ipotesi di un disegno di legge ordinario: potrebbe essere un provvedimento scritto ex novo proprio per introdurre questa modifica, oppure un emendamento a un disegno di legge già in discussione, che però riguardi una materia affine. La Lega ha individuato appunto quello di cui dicevamo riguardo ai consiglieri regionali, che dallo scorso aprile è in discussione nella commissione Affari costituzionali del Senato. È un provvedimento che modifica i parametri con cui si calcola il numero dei consiglieri e degli assessori nelle varie regioni sulla base del numero degli abitanti. Con ogni probabilità verrà approvato in tempi utili per le prossime regionali, visto che anche le opposizioni, e il PD in particolare, hanno interesse a modificare la norma con riferimento alla Puglia, dove si vota in autunno.

I senatori del centrosinistra hanno già detto che si opporrebbero all’inserimento di un emendamento sul terzo mandato in questo disegno di legge, perché sarebbe disomogeneo col resto del testo e dunque inammissibile. E anche Forza Italia, con Gasparri, esprime seri dubbi al riguardo. La richiesta da parte della Lega, accordata da Balboni, di avere un’ulteriore settimana per discutere sulla presentazione di un simile emendamento serve dunque a fare sì che i tre leader della coalizione si parlino: solo un accordo ai più alti livelli di governo, con Meloni, Salvini e Tajani, potrebbe effettivamente risolvere lo stallo.

D’altro canto, questa è al momento l’unica ipotesi concreta. Va infatti considerato che tra il deposito di un disegno di legge e la sua definitiva approvazione passano di solito dei mesi (talvolta degli anni): ovviamente, la maggioranza potrebbe dare massima priorità al provvedimento e approvarlo nel minor tempo possibile, ma anche in questo caso il tempo potrebbe non bastare. Il parlamento, infatti, chiuderà per le ferie estive quasi tutto agosto e riaprirà nei primi giorni di settembre. Di fatto, dunque, ci sarebbero non più di 50 giorni per l’approvazione di un disegno di legge, un tempo probabilmente insufficiente.