Lo Studio Ghibli va avanti a modo suo
Cioè facendo cartoni originali e riconoscibili senza fretta, e provando a preservare la sua indipendenza: oggi non è così facile

Fondato il 15 giugno 1985, quarant’anni fa, lo Studio Ghibli non è soltanto il più famoso studio d’animazione giapponese al mondo, responsabile di film memorabili come La città incantata e Il mio vicino Totoro. Per molte persone è anche il simbolo di una produzione artistica unica nel settore: unica per qualità e stile “artigianale” dei disegni e della narrazione, ma anche e soprattutto perché fondata su aspirazioni, valori e approcci al lavoro rari e incompatibili con gran parte della moderna industria dell’animazione.
Fin dalle origini, l’opposizione verso i modelli dominanti in quell’industria è stata una caratteristica identitaria e molto raccontata dello studio. I registi Hayao Miyazaki e Isao Takahata e il produttore Toshio Suzuki lo fondarono proprio per dedicarsi a progetti indipendenti e sfruttare al meglio le potenzialità espressive dell’animazione, in un momento storico in cui il pubblico era abituato a vederla in prodotti di intrattenimento, perlopiù seriali. Era un contesto che lo stesso Miyazaki conosceva bene, avendo lavorato in precedenza come disegnatore di serie popolari, tra cui Heidi e Anna dai capelli rossi.
Dalla sua fondazione a oggi, lo Studio Ghibli ha realizzato 23 lungometraggi, dieci dei quali diretti da Miyazaki e tutti molto apprezzati non soltanto per la loro profondità narrativa, ma anche per la particolare visione del mondo che propongono. Lo ha fatto privilegiando tecniche di animazione tradizionali, soprattutto nei primi anni, e con l’obiettivo di lasciare ai disegnatori ampia libertà nella scelta dei temi, nei tempi di consegna e nello sviluppo delle storie.
Questo contrasto con altri modelli produttivi è la ragione per cui affezionati e cultori dei film dello studio avevano trovato particolarmente stridente, a marzo, che lo stile dei disegni Ghibli fosse stato scelto per dimostrare le nuove potenzialità del sistema di intelligenza artificiale dell’azienda OpenAI, ChatGPT, nella generazione di immagini. Moltissimi utenti avevano utilizzato quel software per creare disegni che sembrassero prodotti dallo Studio Ghibli, e li avevano poi condivisi sui social media suscitando estese polemiche nel dibattito sulla difesa del lavoro degli artisti e sulla tutela del diritto d’autore.
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Le ambizioni e i metodi di produzione dello Studio Ghibli, da sempre ispirati all’indipendenza artistica e finanziaria, rendono ancora più sorprendente e per molti aspetti irripetibile il grande successo commerciale di molti suoi film. È sorprendente perché, nel frattempo, i principali modelli antagonisti nell’industria dell’animazione e dell’intrattenimento – Disney, su tutti – sono andati da un’altra parte, privilegiando saghe, remake, merchandising e sfruttamento commerciale di proprietà intellettuali esistenti. Hanno insomma preferito riprendere storie esistenti, più che crearne di nuove.
Secondo diversi critici ed esperti, la reputazione dello Studio Ghibli come modello radicalmente diverso dalle sue controparti occidentali si è però indebolita in anni recenti, a causa delle scelte compiute dallo studio per fare fronte alla necessità di restare rilevante sul mercato. Nel 2023 lo studio è stato acquisito da Nippon Television, una delle principali emittenti televisive private del Giappone. Nonostante le rassicurazioni dei dirigenti dell’emittente, l’acquisizione aveva suscitato qualche preoccupazione riguardo ai margini di autonomia creativa che sarebbero stati lasciati allo studio.
«Ghibli è sempre stato un miracolo precario, sostenuto dalla pura volontà dei suoi fondatori e da alcuni enormi successi al botteghino», ha scritto il sito Screen Rant, chiedendosi se lo studio riuscirà a mantenere la propria indipendenza in un settore stravolto dalle piattaforme di streaming (i film dello Studio Ghibli sono disponibili su Netflix soltanto dal 2019). L’effetto delle crescenti pressioni commerciali era peraltro già emerso in passato: nel 2022 era stato aperto a Nagakute il Ghibli Park, un parco divertimenti a tema, e prima ancora la vendita autorizzata dei peluche di Totoro – uno dei personaggi Ghibli più amati – aveva permesso allo studio una maggiore stabilità finanziaria negli anni Novanta.
Altri fattori contribuiscono a rendere più incerto il futuro dello Studio Ghibli, a cominciare dall’età del suo più importante cofondatore: Miyazaki, che ha 84 anni. Il suo film più recente, Il ragazzo e l’airone, uscito nel 2023, era stato considerato da una parte della critica una sorta di «testamento». E oltre che uno dei registi di film di animazione più amati al mondo, Miyazaki è la persona che il pubblico associa di più allo Studio Ghibli, quella considerata più influente sotto ogni aspetto: creativo, artistico e identitario. «La domanda non è solo chi lo sostituirà, ma se qualcuno potrà farlo», ha scritto Screen Rant, definendo lo Studio Ghibli il risultato eccezionale e raro di «un insieme ben preciso di persone, ideali e condizioni culturali».
L’influenza e la centralità di Miyazaki hanno da un lato hanno reso lo “stile Ghibli” famoso in tutto il mondo, ma dall’altro hanno impedito che altri registi di talento, come il 51enne Hiromasa Yonebayashi, potessero essere riconosciuti dal pubblico come suoi possibili successori. Anche Goro Miyazaki, figlio di Hayao e regista di alcuni film dello studio (I racconti di Terramare, La collina dei papaveri, Earwig e la strega) è rimasto schiacciato dai paragoni con il padre, peraltro alimentati sui media dal racconto di presunti dissidi tra i due, come ha detto al sito IndieWire la studiosa di cinema inglese Rayna Denison, esperta conoscitrice della storia dello studio.
Esiste infine per i film e i disegni dello Studio Ghibli un rischio che vale anche per altri prodotti culturali di successo ed esteticamente riconoscibili: cioè che la loro qualità artistica e “autoriale” venga sminuita dall’uso di software e strumenti di intelligenza artificiale, che rischia di trasformare molti tratti distintivi di quelle opere in filtri visivi per i social. In attesa di nuovi film significativi e originali dello studio, ha concluso Screen Rant, «c’è il rischio che il “marchio Ghibli” diventi un involucro di se stesso, oggetto di riferimenti, imitazioni e persino celebrazioni, ma privo di nuove idee».
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