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  • Giovedì 12 giugno 2025

Le richieste di escludere Israele dallo sport internazionale

Finora non hanno avuto alcun seguito, ma forse qualcosa sta cambiando: per la prima volta ne ha parlato un commissario europeo

di Valerio Moggia

Un gruppo di tifosi del Celtic durante una protesta per chiedere un cessate il fuoco a Gaza, a gennaio del 2024 (Guy Smallman/Getty Images)
Un gruppo di tifosi del Celtic durante una protesta per chiedere un cessate il fuoco a Gaza, a gennaio del 2024 (Guy Smallman/Getty Images)
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Le istituzioni sportive sono rimaste a lungo in una posizione ambigua rispetto alla possibilità di escludere atlete e atleti israeliani dalle competizioni internazionali, a differenza di quello che era successo a partire dal 2022 dopo l’invasione della Russia in Ucraina. Dopo venti mesi di attacchi israeliani nella Striscia di Gaza però anche nello sport l’atteggiamento verso Israele sta cambiando, come nel resto della politica internazionale.

A fine maggio il commissario per lo Sport dell’Unione Europea, Glenn Micallef, ha preso per la prima volta una posizione netta sull’argomento. Rispondendo a una domanda di Politico sull’eventualità di sanzioni sportive a Israele per la guerra a Gaza, Micallef ha detto che non ci dovrebbe essere «nessuno spazio» nelle competizioni per «coloro che non condividono i nostri valori».

Anche se non ha menzionato direttamente Israele, era la prima volta che un politico europeo di primo piano parlava pubblicamente della possibilità di sanzionare le federazioni sportive israeliane. Micallef ha precisato che le istituzioni sportive sono autonome nelle proprie decisioni, ma che i rappresentanti dell’Unione Europea hanno «il dovere e la responsabilità» di esprimersi sul tema.

Le dichiarazioni del commissario per lo Sport sono state fatte appena dieci giorni dopo un discusso congresso della FIFA, l’organizzazione che regola il calcio a livello globale, in cui ancora una volta non era stata valutata la richiesta della federazione calcistica palestinese, la PFA, di sanzionare l’omologa israeliana, l’IFA. Nel maggio del 2024 l’associazione palestinese aveva presentato un dossier con le proprie accuse verso Israele, ma il processo è ancora in fase di valutazione da parte della FIFA.

Il commissario europeo per lo sport Glenn Micallef (AP Photo/Geert Vanden Wijngaert)

La decisione sulle sanzioni era già stata più volte rinviata, e l’ultimo aggiornamento sul tema risale all’ottobre del 2024, quando la FIFA confermò che avrebbe avviato un’indagine sulla questione. Al congresso dello scorso 15 maggio la vicepresidente della PFA, Susan Shalabi, si è lamentata per la poca chiarezza su questa indagine e per il fatto che ancora non ci sia stato un voto su eventuali sanzioni sportive contro Israele.

Le richieste della federazione palestinese si basano principalmente su due accuse: la prima è quella per cui l’IFA discriminerebbe gli atleti palestinesi, e include anche la distruzione degli impianti sportivi a Gaza; la seconda è che nella federazione israeliana ci sono squadre con sede nelle colonie in Cisgiordania.

Quest’ultimo aspetto è particolarmente rilevante, e oggetto di discussione almeno dal 2016: la Cisgiordania è una delle due regioni abitate dalla popolazione palestinese, insieme alla Striscia di Gaza, e fin dal 1967 è occupata illegalmente da Israele proprio tramite la costruzione di colonie (insediamenti che in molti casi assomigliano a piccole città). Le colonie non sono riconosciute dalla comunità internazionale ma stanno continuando a espandersi, nonostante anche a luglio del 2024 siano state dichiarate illegali dalla Corte Internazionale di giustizia, il più importante tribunale delle Nazioni Unite.

Ci sono squadre di calcio anche nelle colonie: sei di queste hanno ottenuto il riconoscimento ufficiale dell’IFA e sono state ammesse a partecipare alle competizioni nazionali israeliane. Per la PFA è una violazione dei regolamenti della FIFA, che vietano a una federazione di riconoscere società sportive con sede in un territorio straniero senza il consenso della Federazione calcistica locale. Per lo stesso motivo nel 2014 la UEFA, l’organizzazione del calcio europeo, che segue le regole della FIFA, aveva vietato alla Russia di riconoscere i club della Crimea, la regione ucraina che aveva annesso unilateralmente dopo un referendum ritenuto non valido dalla comunità internazionale.

Il gol di Giovanni Di Lorenzo nell’ultima partita giocata tra Italia e Israele, a ottobre del 2024 (Image Photo Agency/Getty Images)

C’erano già state richieste di escludere Israele o atleti israeliani anche in altri sport, con conseguenze minime o nulle. Nel gennaio del 2024 la presenza di Israele nelle competizioni internazionali di hockey su ghiaccio era stata bloccata dall’International Ice Hockey Federation (IIHF), ufficialmente per “ragioni di sicurezza” dovute alla guerra nella Striscia di Gaza. Israele aveva contestato la decisione, ritenendola discriminatoria e smentendo che ci fossero problemi di sicurezza legati alla sua partecipazione. Nemmeno una settimana dopo l’IIHF aveva ribaltato la decisione precedente.

Un mese dopo le giocatrici della selezione femminile di basket irlandese si erano rifiutate di stringere la mano alle avversarie israeliane prima di un incontro. Sempre nel febbraio del 2024, il gruppo politico Democracy in Europe Movement 2025 (noto anche come DiEM25) aveva raccolto circa 70mila firme per una petizione che chiedeva al CIO, il Comitato olimpico internazionale, di escludere Israele dai Giochi Olimpici. L’iniziativa non ha avuto alcun seguito, e gli atleti e le atlete israeliani avevano poi partecipato regolarmente alle Olimpiadi di Parigi 2024.

Il calcio però è lo sport in cui questo genere di proteste si sono notate di più, sia per la sua maggiore diffusione, sia per il fatto che le tifoserie sono generalmente molto più attive. Il calcio è inoltre lo sport più popolare nei paesi a maggioranza musulmana, che sono generalmente più vicini alla causa palestinese anche perché l’Islam è la religione più diffusa tra la popolazione palestinese.

Già nel marzo 2023, per esempio, le autorità politiche dell’Indonesia – il paese con il più alto numero di musulmani al mondo, superiore a 200 milioni di fedeli – avevano vietato alla squadra Under 20 maschile di Israele di prendere parte al Mondiale di categoria che si sarebbe tenuto nel paese asiatico: di conseguenza, la FIFA fu costretta a spostare la competizione in Argentina.

Nei primi mesi del 2025 si è sviluppata una grande campagna globale chiamata “Show Israel the Red Card” (cioè “mostra il cartellino rosso a Israele”, o più semplicemente “espelli Israele”), che ha coinvolto diverse decine di tifoserie in tutto il mondo nell’esposizione di messaggi negli stadi per chiedere l’esclusione di Israele dalle competizioni internazionali. Hanno aderito rapidamente 180 squadre in 38 paesi su tutti e sei i continenti, dopo essere stata lanciata a febbraio dalla Green Brigade, il principale gruppo ultras del Celtic Glasgow. È una tifoseria legata alla comunità irlandese in Scozia, tradizionalmente schierata su posizioni filopalestinesi sia per ragioni culturali che politiche (è un gruppo di estrema sinistra). Da diversi anni la Green Brigade sventola bandiere della Palestina durante le partite, e nel 2019 alcuni suoi esponenti hanno creato una scuola calcio nel campo profughi di Aida, in Cisgiordania, chiamata inizialmente Aida Celtic e oggi nota come Lajee Celtic (lajee, in arabo, significa “rifugiato”).

Uno striscione con scritto “Show Israel the red card” esposto dalla tifoseria dell’Empoli (Gabriele Maltinti/Getty Images)

La campagna “Show Israel the Red Card” ha avuto grande successo in Italia, dove ha raccolto molte adesioni nelle serie dilettantistiche e anche alcune a livello professionistico, da parte di tifoserie come quella dell’Empoli e del Pisa. L’ampio consenso tra i dilettanti si deve alla presenza in Italia di numerosi club di calcio popolare, ovvero società sportive amatoriali molto impegnate a livello sociale e politico. Anche durante l’ultimo Giro d’Italia si sono visti diversi messaggi pro Palestina nelle strade.

Il prossimo autunno ci saranno due partite tra la Nazionale italiana maschile di calcio e quella israeliana per le qualificazioni ai Mondiali del 2026, e questo genere di attivismo potrebbe diventare più rilevante. L’Italia gioca contro Israele perché anche Israele è membro della UEFA dal 1994 (vent’anni prima era stato escluso dall’organizzazione asiatica, l’AFC).

L’Italia ospiterà Israele il 14 ottobre prossimo in una sede ancora non definita, a un anno esatto di distanza dalla partita giocata a Udine tra le due squadre in Nations League, la competizione della UEFA che ha sostituito le amichevoli internazionali. Prima di quella partita c’era stata una manifestazione di protesta a cui avevano partecipato circa 2mila persone. Finora la Federazione calcistica italiana (FIGC) non si è mai esposta su possibili sanzioni sportive a Israele, assumendo una posizione molto simile a quella del governo italiano.

D’altra parte sono pochissime le associazioni nazionali nel mondo ad aver espressamente sostenuto la richiesta avanzata un anno fa dalla PFA. In Europa, solo la presidente della federazione norvegese Lise Klaveness ha condannato gli attacchi israeliani nella Striscia di Gaza. È un fatto determinante: se effettivamente la FIFA dovesse organizzare un voto per decidere eventuali sanzioni contro la federazione israeliana, molte federazioni europee potrebbero non essere favorevoli. La UEFA ha 55 membri, più di tutte le altre organizzazioni continentali che fanno parte della FIFA, e ha quindi una grossa influenza nelle decisioni che si prendono sul calcio internazionale.