È cambiata l’aria attorno a Israele
I governi, i media e l'opinione pubblica occidentali sono molto meno comprensivi nei confronti di Netanyahu, dopo un anno e mezzo di massacri

Piers Morgan è un commentatore e polemista britannico, noto e controverso per le sue posizioni vicine alla destra. Nel corso di quest’ultimo anno e mezzo di guerra nella Striscia di Gaza, Morgan si è sempre schierato nettamente dalla parte di Israele, e ha spesso descritto la guerra come un atto di difesa israeliano contro il terrorismo di Hamas. Man mano che la guerra andava avanti, però, le sue posizioni si sono fatte sempre più critiche.
Questa settimana, durante il suo show Piers Morgan Uncensored, si è rivolto a Mehdi Hasan, uno dei suoi ospiti ricorrenti che ha opinioni critiche nei confronti di Israele, e gli ha detto: «A lungo ho evitato di essere duro quanto te nelle critiche al governo israeliano, ma adesso non più. Penso che ormai siamo d’accordo su quello che stiamo vedendo». Il titolo del video della discussione, pubblicato su YouTube, parla apertamente di un genocidio nella Striscia di Gaza.
Piers Morgan non è l’unico ad aver avuto un recente cambio di opinione.
Nelle ultime settimane in tutto l’Occidente è mutato l’atteggiamento nei confronti di Israele, e dei crimini e dei massacri che sta compiendo nel corso della guerra nella Striscia di Gaza. Vari governi mondiali, i media e le opinioni pubbliche hanno cominciato a criticare Israele e a condannare l’uccisione indiscriminata dei civili palestinesi come non era ancora successo in oltre un anno e mezzo di guerra, e l’hanno fatto in una maniera repentina e generalizzata.
Il cambiamento di tendenza della politica è il più evidente. Soltanto negli ultimi dieci giorni:
• i leader di Canada, Francia e Regno Unito hanno reso pubblico un comunicato congiunto in cui condannano la condotta di guerra israeliana con una durezza senza precedenti;
• il governo britannico ha sospeso i negoziati in corso per un trattato di libero scambio con Israele, sostenendo che il modo in cui Israele tratta la popolazione palestinese «è un affronto ai valori del popolo britannico»;
• il primo ministro spagnolo Pedro Sánchez ha definito Israele «uno stato genocidario», e ha detto che la Spagna non fa affari con paesi del genere;
• la Commissione Europea ha annunciato che «rivedrà» il trattato di associazione con Israele firmato nel 1995 e in vigore dal 2000.
Molti di questi paesi e leader finora erano stati comprensivi nei confronti di Israele e avevano sostenuto più o meno incondizionatamente la guerra israeliana a Gaza.
Perfino Donald Trump, il presidente degli Stati Uniti, di recente si è allontanato dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, e pochi giorni fa per la prima volta ha citato con preoccupazione le sofferenze della popolazione di Gaza. Le posizioni di Trump però sono sempre da prendere con le molle, perché il suo allontanamento da Netanyahu sembra più una decisione tattica per favorire il negoziato che una sincera preoccupazione nei confronti della popolazione palestinese.
La ragione più immediata di questi cambiamenti è il blocco totale del cibo, delle medicine e di altri beni di prima necessità che Israele ha imposto sulla Striscia di Gaza negli ultimi due mesi, e che ha portato la popolazione palestinese a una condizione disperata e terrificante. Davanti al rischio che decine di migliaia di civili morissero di fame e di stenti a causa di Israele, perfino i governi occidentali più filoisraeliani si sono mobilitati. Questo benché Israele avesse già applicato in passato tattiche di “assedio totale” contro la popolazione della Striscia, e benché con le operazioni militari e i bombardamenti nell’ultimo anno a mezzo avesse già ucciso più di 50 mila persone, in grandissima parte civili.
Che il blocco dei beni di prima necessità fosse un problema anche diplomatico lo ha ammesso lo stesso Netanyahu, che negli scorsi giorni ha acconsentito a una ripresa estremamente limitata delle consegne di cibo dicendo che se non l’avesse fatto Israele avrebbe perso anche il sostegno dei suoi alleati.

Benjamin Netanyahu il 21 maggio 2025 (Ronen Zvulun/Pool Photo via AP)
È probabile però che questo cambiamento di atteggiamento sia anche il frutto di un accumulo di tensioni e di frustrazioni che arriva da più lontano.
Lo si vede abbastanza bene nell’evoluzione di molti media occidentali, che hanno adottato un linguaggio e un atteggiamento sempre più duro nei confronti di Israele. Per esempio il quotidiano francese Le Monde ha pubblicato il 21 maggio un editoriale in cui dice che le azioni di Israele «non fanno che rafforzare l’accusa di genocidio da parte della giustizia internazionale».
Il giornale britannico Guardian ha da poco pubblicato un editoriale durissimo in cui non accusa direttamente Israele di genocidio, ma spiega come questa definizione sia molto plausibile, e lo stesso ha fatto il quotidiano olandese NRC in un articolo. Il Financial Times ha recentemente condannato il «vergognoso silenzio dell’Occidente» sulla guerra a Gaza. Anche sui media italiani negli scorsi giorni sono apparsi articoli ed editoriali molto duri nei confronti di Israele, che sarebbero stati impensabili anche soltanto pochi mesi fa.
Un elemento interessante è che questo cambiamento di prospettive a proposito della guerra sta avvenendo anche all’interno di Israele.
Ormai da mesi circa il 70 per cento degli israeliani è favorevole a terminare la guerra, ma finora le manifestazioni a favore della pace erano soprattutto (ma non soltanto) in favore della liberazione degli ostaggi ancora prigionieri nella Striscia di Gaza.
La scorsa settimana però l’organizzazione pacifista Standing Together ha organizzato per la prima volta una manifestazione contro la guerra che aveva la crisi umanitaria a Gaza come principale motivazione. La manifestazione si è tenuta ai confini della Striscia, ed è stata repressa violentemente dal governo: i leader di Standing Together sono stati arrestati.
A livello politico ha creato un enorme scandalo nel paese il fatto che uno dei leader dell’opposizione di sinistra, l’ex generale Yair Golan, abbia detto pochi giorni fa che ormai Israele «uccide bambini per hobby». Fino a poco tempo fa una dichiarazione del genere sarebbe stata impensabile.