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  • Giovedì 12 giugno 2025

Dietro a un grande golfista c’è sempre un grande caddie

Cioè quello che gli porta le mazze, ma che in realtà fa molto di più: a volte quasi da psicologo

Il vincitore del Masters Augusta del 2025 Rory McIlroy (destra) seguito dal suo caddie Harry Diamond, 13 aprile 2025 (David Cannon/Getty Images)
Il vincitore del Masters Augusta del 2025 Rory McIlroy (destra) seguito dal suo caddie Harry Diamond, 13 aprile 2025 (David Cannon/Getty Images)
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Nel golf il caddie è la persona che sta dietro a ogni colpo di un giocatore, sia letteralmente che in senso figurato: segue il golfista su ogni buca, trasporta il suo borsone con le mazze e le pulisce regolarmente, studia il campo, il vento e molte altre variabili per consigliargli come colpire al meglio la pallina. Soprattutto, gli fornisce costante sostegno morale, in uno sport dove chi gioca resterebbe altrimenti solo per le molte ore che dura una giornata di un torneo. Il successo di un golfista, insomma, dipende anche dal lavoro meno in vista del suo caddie, con il quale può nascere un rapporto molto personale e profondo.

In italiano “caddie” si traduce come “portabastoni”, a dimostrazione di una certa sottovalutazione dell’importanza che può avere. È un ruolo antichissimo nel golf: si ritiene che il primo fu Andrew Dickson, che nel 1681 trasportò le mazze del duca di York durante una partita.

Soprattutto nell’Ottocento, i caddie iniziarono a essere impiegati sempre più regolarmente nelle partite di golf. Allora erano soprattutto ragazzini, i cui compiti erano pochi e abbastanza servili, dato che dovevano solo trasportare le mazze del loro golfista e recuperare le palline, che all’epoca erano molto costose e non potevano essere perse.

Sullo sfondo, alcuni giovani caddie di un golf club del Somerset, Inghilterra, 1898 (English Heritage/Heritage Images/Getty Images)

Sullo sfondo, alcuni giovani caddie in un club di golf del Somerset, Inghilterra, 1898 (English Heritage/Heritage Images/Getty Images)

Nel Novecento il ruolo dei caddie cambiò e divenne una professione, talvolta anche molto remunerativa. Nei tornei professionistici, i ragazzini che portavano le mazze furono progressivamente sostituiti da esperti ed esperte che studiavano di volta in volta i campi dove si giocava e che, con i loro consigli, aiutavano concretamente i golfisti a ridurre il numero di colpi per completare ogni buca (nel golf infatti vince chi completa tutte le buche di un campo nel minor numero di colpi).

Oggi i caddie sono presenti a tutti i livelli del golf, dai club amatoriali fino ai tornei più importanti. Sul campo sono facilmente riconoscibili perché indossano una pettorina, o “bib”. L’unica eccezione in questo senso è il patinatissimo club dell’Augusta Masters – uno dei quattro Major, i più importanti tornei del golf professionistico –, dove i caddie devono indossare una tuta bianca per coprire eventuali sponsor.

A livello amatoriale, molti circoli in cui si gioca a golf hanno i loro caddie, che si possono “affittare” per una o più partite: in questi casi sono spesso giovani appassionati di golf, che fanno questo lavoro per guadagnare qualcosa o per potersi appoggiare a un club in cui allenarsi. Ma lavorare come caddie in un club è anche uno dei modi per farsi notare e diventare un professionista: nei circuiti più importanti, infatti, i giocatori non cambiano caddie a seconda del club in cui giocano, ma tendono a portarne uno con sé nei vari tornei.

Non tutti i rapporti tra un golfista e il suo caddie sono uguali (ci sono giocatori molto più autonomi di altri, per esempio), ma un buon caddie è solitamente quello che riesce a instaurare un grande clima di fiducia tra sé e il proprio golfista. Secondo Michael Collins, un ex caddie statunitense intervistato da Business Insider nel 2018, oggi la parte più delicata del lavoro è quella psicologica: un torneo professionistico di golf, infatti, dura diversi giorni e il caddie deve saper mantenere il suo giocatore sempre concentrato e fargli sentire il meno possibile la pressione.

Collins ha anche spiegato che non esiste quasi mai un contratto formale tra il caddie e il suo giocatore: molto spesso è un accordo informale per cui il caddie ha una paga settimanale e guadagna una percentuale — generalmente tra il 5 e il 10 per cento — dei premi in denaro ottenuti dal golfista, che nel caso dei Major sono anche milioni di dollari. Ma dato che questi accordi possono essere interrotti dal giocatore in qualsiasi momento, per un caddie conquistarsi e mantenere la sua fiducia rimane essenziale.

Oltre a essere un sostegno tecnico e tattico, il caddie deve insomma imparare a conoscere a fondo e a gestire il carattere del suo golfista: per questo motivo, alcune delle coppie più durature nel golf sono state anche quelle di maggior successo. Non sorprende nemmeno che alcuni golfisti abbiano paragonato il rapporto con i loro caddie a un matrimonio, per la lunga durata e l’intenso coinvolgimento emotivo che ne consegue.

Lo statunitense Tiger Woods per esempio, uno dei giocatori di golf più forti di sempre, dal 1999 al 2011 ebbe un solo caddie, Steve Williams, con il quale conquistò 13 dei 15 Major vinti in carriera. Oltre alla sua esperienza tecnica e tattica, Williams era noto per l’attenzione riservata ad aspetti del gioco apparentemente meno centrali: una volta, per fare un esempio, gettò in acqua la costosa macchina di un fotografo che aveva cercato di fare una foto a Woods durante un tiro abbastanza importante e per il quale aveva bisogno di concentrarsi.

Il rapporto tra Woods e Williams fu molto stretto in quegli anni: nel 2006, quando Woods vinse il suo primo Major dalla morte di suo padre, al quale era molto legato, ci fu un abbraccio molto intenso tra i due.

Un esempio più recente di rapporto personale e duraturo tra un golfista e il suo caddie è quello di Rory McIlroy, golfista nordirlandese tra i più forti della sua generazione che nel 2017 assunse come caddie il suo amico d’infanzia Harry Diamond. È una scelta che in questi anni ha dovuto giustificare più volte: McIlroy non ha vinto un Major dal 2014 a quest’anno, e Diamond è stato spesso considerato una delle cause principali dei suoi mancati successi.

McIlroy però non ha mai voluto rinunciare a Diamond, che ha definito una volta il suo «fratello maggiore». Il ruolo di Diamond si è notato molto al Masters Tournament di Augusta del 2025. Durante il torneo McIlroy aveva accumulato un grande vantaggio sugli altri giocatori, ma lo perse tutto verso la fine e fu costretto a giocare uno spareggio: era un momento di grande tensione per lui, che non vinceva un Major da 11 anni e sentiva grandi pressioni, visto che gli mancava solo quel torneo per completare il Career Grand Slam (cioè la vittoria di tutti e quattro i Major nel corso della carriera).

McIlroy ha detto che prima dello spareggio Diamond gli diede gli incoraggiamenti di cui aveva bisogno, non tanto suggerimenti tecnici o tattici quanto piuttosto conforto morale. The Athletic ha fatto un’accurata ricostruzione di quei momenti, citando alcune frasi che Diamond avrebbe detto a McIlroy, come: «Beh, amico, avremmo dovuto vincerlo già lunedì mattina», «ma all’inizio del torneo avresti dato un braccio per arrivare allo spareggio». McIlroy riuscì infine a mantenere la calma e la concentrazione anche grazie alle parole di incoraggiamento di Diamond e vinse il torneo, diventando il primo europeo di sempre a completare lo Slam.

Il golifista Rory McIlroy insieme al suo caddie Harry Diamond durante la premiazione dell'Augusta Masters, 13 aprile 2025 (David Cannon/Getty Images)

Il golfista Rory McIlroy insieme al suo caddie Harry Diamond durante la premiazione dell’Augusta Masters, 13 aprile 2025 (David Cannon/Getty Images)

Non tutti i giocatori di golf hanno vissuto positivamente un legame così stretto. Secondo il golfista statunitense Mark Calcavecchia, per qualche giocatore un rapporto troppo personale con il proprio caddie può diventare controproducente: lui per esempio ha raccontato di aver licenziato il suo caddie Greg Martin, nonostante fosse diventato uno dei suoi «migliori amici». Calcavecchia dice che gli si era affezionato al punto da sentirsi obbligato a giocare bene per lui, mettendosi troppa pressione addosso e compromettendo così il proprio rendimento.