Tutto quello che c’è da sapere sui referendum sulla cittadinanza e sul lavoro

Un ultimo ripasso sui temi dei cinque quesiti, su quando e come si vota, e su cosa c'è in ballo per i partiti

(Mauro Scrobogna / LaPresse)
(Mauro Scrobogna / LaPresse)
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Oggi e domani si vota per cinque referendum abrogativi, cioè con cui i cittadini possono chiedere di eliminare totalmente o in parte una norma: un quesito chiede di modificare le norme sulla cittadinanza e gli altri quattro riguardano il lavoro. I seggi elettorali saranno aperti dalle 7 alle 23 di domenica, e dalle 7 alle 15 di lunedì. Affinché i referendum siano validi, serve che vada a votare almeno la metà +1 degli aventi diritto.

In questi giorni il Post ha pubblicato sul tema una serie di articoli – e una puntata del podcast Wilson del direttore Francesco Costa – che spiegano i quesiti, le conseguenze di una loro possibile approvazione e la discussione politica che si è creata attorno. Abbiamo radunato le informazioni principali da tenere presenti per chi vuole orientarsi su questo voto.

I quattro quesiti sul lavoro
Il primo, riportato sulla scheda verde, riguarda la gestione dei licenziamenti illegittimi e propone una modifica del Jobs Act, la legge sul lavoro introdotta nel 2015 dal governo di Matteo Renzi. Il secondo, sulla scheda arancione, chiede di rimuovere i limiti massimi per il risarcimento dopo un licenziamento illegittimo nelle imprese più piccole, quelle fino a 15 dipendenti. Il terzo quesito, riportato sulla scheda grigia, chiede che un datore di lavoro indichi fin dall’inizio il motivo per cui assume una persona con un contratto a termine anziché con uno a tempo indeterminato. Il quarto quesito, su scheda rossa, riguarda invece la responsabilità dell’impresa committente e dell’impresa appaltatrice in caso di infortuni sul lavoro.

I quesiti sulle schede non sono facili da capire, perché comprendono di fatto solo l’elenco delle norme che intendono abrogare. È invece piuttosto dibattuto l’effetto che avranno sulle norme esistenti e sui rapporti di lavoro se dovessero essere approvati: lo abbiamo spiegato più nel dettaglio in un articolo intitolato “Cosa cambia se vince il “Sì” nei quattro referendum sul lavoro”.

Il quesito cittadinanza italiana
L’obiettivo del referendum sulla cittadinanza (che si trova nel quinto quesito, riportato sulla scheda gialla) è ridurre da 10 a 5 gli anni di residenza regolare necessari in Italia per poter chiedere la cittadinanza italiana. La proposta consiste nel modificare l’articolo 9 della legge 91 del 1992 con cui si è alzata la durata minima di soggiorno legale ininterrotto in Italia per poter presentare la domanda di cittadinanza. Il referendum non cambia gli altri requisiti come conoscere l’italiano, avere un reddito stabile e non avere commesso reati. La modifica avrebbe effetti indiretti anche sui minori, che potrebbero ottenere la cittadinanza trasmessa da un genitore neo italiano.

Abbiamo pubblicato un articolo che spiega cosa succede se passa il “Sì” al referendum per la cittadinanza, e un altro su chi sono le persone di cui parla questo referendum.

Cosa hanno detto i partiti sui referendum
Il quesito sulla cittadinanza è stato proposto dal deputato Riccardo Magi del partito progressista +Europa, a cui poi si sono aggiunti diversi altri partiti e associazioni. È sostenuto anche da PD, Alleanza Verdi e Sinistra, Azione e Italia Viva, mentre il Movimento 5 Stelle non ha preso una posizione di partito e non ha dato indicazioni ai suoi elettori su come votare.

I quesiti sul lavoro sono stati invece proposti dalla CGIL e per la campagna referendaria si è esposto molto soprattutto il segretario del sindacato, Maurizio Landini, in un modo che ha alimentato speculazioni sulle sue ambizioni politiche future. Sono sostenuti da PD, Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi e Sinistra. Azione si è detta contraria a tutti e quattro, mentre Italia viva si è opposta solo al primo e al terzo quesito (quelli sul Jobs Act e sui contratti a tempo determinato), mentre ha lasciato libertà di voto sugli altri due.

Il PD è l’unico grande partito ad aver fatto campagna a favore di tutti e cinque i quesiti, e questa scelta ha molto a che fare con una decisione della sua leader Elly Schlein: abbiamo raccontato in questo articolo cosa spera di ottenere Schlein con questa strategia politica, che ha anche causato delle discussioni interne con alcuni esponenti del partito ancora favorevoli alle riforme volute da Renzi.

I partiti della maggioranza di destra si sono opposti ai referendum e in vari modi hanno invitato gli elettori e le elettrici ad astenersi e non andare a votare, affinché il quorum non venga raggiunto e quindi il referendum non sia valido. La scelta ha suscitato molte polemiche, sebbene la campagna per l’astensione sia del tutto legittima e sebbene non sia certamente una novità che un governo inviti ad astenersi a un referendum.

La presidente del Consiglio Giorgia Meloni invece ha detto che andrà al seggio per i referendum ma che non ritirerà le schede: una dichiarazione che ovviamente è stata molto commentata. Meloni si riferiva a una possibilità prevista dai regolamenti per i referendum: si può infatti andare a votare, ed esprimere una preferenza per il Sì o per il No anche solo per alcuni dei cinque referendum; si può lasciare la scheda bianca, e in quel caso si contribuisce comunque al raggiungimento del quorum. E poi ci si può astenere in due modi diversi: scegliendo di non andare proprio a votare, oppure – come dice Meloni – presentandosi al seggio e registrandosi ma senza ritirare le schede dei quesiti. In questo caso non si contribuisce al quorum, è come non andare del tutto al seggio.

Il quorum del 50 per cento significa che i referendum saranno validi solo se andranno a votare più di 25,6 milioni di persone: molte per gli standard di partecipazione italiani ai referendum. Negli ultimi 30 anni solo 4 dei 34 referendum organizzati hanno ottenuto il quorum. In queste settimane si è discusso naturalmente anche della possibilità di ripensare il quorum dei referendum.

– Ascolta: Wilson: Capiamo questi referendum