La pratica erotica giapponese di legare le persone sta uscendo dalla nicchia
Negli ultimi anni in Italia l'interesse per lo "shibari" è aumentato, e si sono diffusi corsi ed eventi per impararne le tecniche
di Viola Stefanello

Nella periferia di Treviso, a una decina di minuti d’auto dal centro, c’è un prefabbricato che dall’esterno è indistinguibile da migliaia di altri edifici industriali del nord Italia. Entrando, però, ci si trova in uno spazio dall’estetica giapponese, totalmente inaspettato nella campagna veneta. È lo Shibari Loft, uno degli spazi che negli ultimi anni sono stati aperti in Italia per insegnare e praticare lo shibari, la pratica originariamente giapponese che consiste nel legare una persona in modo piuttosto intricato con delle corde, quasi sempre in un contesto erotico.
Lo shibari ha cominciato a diffondersi lentamente, prima negli Stati Uniti e poi in Europa, nella seconda metà del secolo scorso, soprattutto grazie ad alcune riviste pornografiche giapponesi come Kitan Club e al passaparola di persone che erano vissute in Giappone o ci avevano viaggiato, e avevano osservato questa pratica. In Italia i primi corsi sono nati all’inizio degli anni Duemila: negli ultimi cinque anni, però, l’interesse è decisamente aumentato, anche perché è sempre più facile incapparci, online ma non solo.
Sui social network hanno cominciato a circolare molte foto e video che mostrano persone spesso mezze nude legate e talvolta sospese, a formare posizioni innaturali ma esteticamente affascinanti. Offline, poi, non ci si imbatte più in performance di shibari soltanto negli spazi dedicati all’esplorazione della sessualità alternativa, ma anche a festival, manifestazioni come il Pride e serate musicali. Lo scorso anno ce n’è stata una addirittura alla festa di Halloween di paese del comune toscano di Borgo a Mozzano, famoso per il “Ponte del Diavolo”.
Così, la pratica sta diventando un po’ meno di nicchia: l’associazione di Treviso, Shibari Loft, ha più di 500 iscritti, ma ci sono scuole e gruppi grandi e piccoli anche a Trieste, Brescia, Ravenna, Catania, Palermo, Ragusa, Napoli e Torino, oltre a Milano e Roma.
Per la maggior parte delle persone che vi partecipano come rigger (la persona che lega) o come persona legata (detta bottom, o bunny), lo shibari è una pratica erotica. Non vuol dire, però, che venga inserita nel contesto di un rapporto sessuale penetrativo o anche solo genitale: capita molto spesso che una sessione di shibari si concluda senza che in alcun momento ci sia stato il genere di contatto con gli organi sessuali che si associa al sesso. Tanti principianti però vi si avvicinano perché vogliono introdurre qualche novità nella propria vita sessuale, ed esistono corsi specializzati di “shibari for sex” che servono a rispondere a questa richiesta.
Le persone che allo shibari dedicano ore e ore – partecipando a corsi, workshop, eventi, momenti conviviali in cui conoscere altre persone appassionate e considerandosi parte di una comunità unita da questa passione – lo vedono spesso però come un’attività a sé stante, a cui non è necessario aggiungere il sesso. Lo shibari, infatti, fa parte della più ampia categoria del BDSM, termine ombrello che include tutte le pratiche relazionali ed erotiche che permettono di esplorare fantasie basate su dinamiche di dominazione e sottomissione, sadismo e masochismo, dolore e umiliazione, con il consenso attivo e continuativo dei partecipanti. Non sono fantasie comuni a tutti, e anche all’interno della comunità di persone interessate al BDSM c’è chi è molto attratto da una specifica pratica e totalmente disinteressato ad altre.
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L’idea dello shibari, come di molte altre pratiche BDSM, è di poter esplorare in modo sicuro e consensuale emozioni e dinamiche di potere che in altri contesti sarebbero problematiche. Storicamente è successo più spesso che i rigger fossero uomini e le bunny donne: nell’ultimo decennio, però, la pratica è diventata molto più fluida, e oggi capita spesso che i ruoli siano invertiti, o che a partecipare siano persone non eterosessuali, trans o che non si riconoscono nel binarismo di genere.
Ciò che si cerca nello shibari, comunque, dipende da moltissimi fattori. C’è per esempio chi ama essere legato perché questo lo costringe a sentire e ritrovare il proprio corpo; chi nella vita quotidiana ha un lavoro o un ruolo familiare di grande responsabilità e nell’essere legato trova una forma di liberazione dal controllo; chi lo vede come una forma di meditazione profonda, o come un modo per esplorare in un contesto sicuro e simbolico un trauma che ha vissuto in passato. C’è addirittura chi segue corsi di auto-sospensione, per imparare ad appendersi senza bisogno di essere legato da qualcun altro.
Lily Gray Banshee, una delle fondatrici dello spazio WhyKnot di Roma – che dal 2023 ospita lezioni, eventi e workshop di ospiti internazionali legati anche ad altre forme di BDSM – spiega per esempio: «Mi è successo di fare sesso qualche volta mentre ero legata o quando avevo legato qualcuno, ma normalmente mi trovo appagata dalla sessione stessa», dice. «Mi piace semplicemente vedere una persona legata, vulnerabile ai miei occhi. Il mio obiettivo finale è vedere il cuore debole della persona che lego, quello che non mostra mai a nessun altro. Ma è un’esperienza che dipende molto dal passato di ciascuno e dalle cose che piacciono».
L’origine dello shibari, tra l’altro, non è sessuale. Durante il periodo feudale in Giappone si diffuse la pratica di legare i nemici catturati con nodi particolari a seconda del loro rango sociale: questo sistema, tramandato di generazione in generazione, è noto come hojojutsu. Ai poliziotti giapponesi vengono insegnate alcune di quelle tecniche anche al giorno d’oggi. Più tardi, nel diciannovesimo secolo, alcuni autori di stampe erotiche cominciarono a ritrarre donne nude (o quasi) immobilizzate con le tecniche dell’hojojutsu, a formare posizioni simili a quelle che oggi vengono riprodotte nello shibari, unendo il tema della sensualità a quello della sottomissione. Il più celebre di questi artisti, Seiu Ito, è ancora oggi considerato «il padre dello shibari».
Soltanto dopo la Seconda guerra mondiale lo shibari (che viene dalla parola giapponese per “legare” o “immobilizzare”), cominciò a essere strettamente associato al mondo della pornografia, degli spettacoli erotici e delle riviste per adulti: molti dei maestri che hanno perfezionato e tramandato le varie tecniche dello shibari nell’ultimo secolo erano anche attori o registi porno. Tuttora in Giappone lo shibari è associato all’industria del porno, e per questo piuttosto stigmatizzato.
In Italia, dei veri e propri corsi di shibari non esistono da molto tempo: i primi sono spuntati all’inizio degli anni 2000, ma fino a dieci anni fa erano molto di nicchia. «Quando abbiamo iniziato noi, circa quindici anni fa, a livello di formazione c’era davvero poco: tra le persone che iniziavano a legare ci si scambiavano un po’ di informazioni, o si andava alle feste e si guardava un po’ quello che facevano gli altri per replicarlo», dice Marta Tenshiko, che insieme al marito Federico ha fondato la scuola di shibari Rope Tales nel 2016. Racconta che un primo moto di interesse c’è stato dopo l’uscita del libro bestseller Cinquanta sfumature di grigio di E. L. James, che in teoria dovrebbe raffigurare una relazione di coppia basata su dinamiche BDSM, ma che fu fin da subito molto criticato da chi le praticava. L’ondata di interesse maggiore, però, è arrivata dopo la pandemia.
Le cose da imparare non sono poche né semplici. Legare qualcuno e suscitare emozioni facendolo richiede molta consapevolezza dei rischi di quello che si sta facendo, comunicazione verbale e non tra i partecipanti, e fiducia. Per questo molte persone che si avvicinano ai corsi spesso non tornano più, rendendosi conto che si tratta di qualcosa di più complesso e rischioso di quel che immaginavano. «La maggiore visibilità di questa pratica nella cultura mainstream avvicina persone che non hanno coscienza della reale pericolosità dello shibari. Ma noi ci assumiamo una componente di rischio molto alta», dice Lily Grey Banshee, di WhyKnot. «Non ci si può improvvisare».
Già alla prima lezione, quindi, si impara a evitare di comprimere certi nervi, a stare distanti da determinate parti del corpo e a prevenire eventuali problemi di circolazione del sangue. Le persone che verranno legate, al contempo, devono imparare a conoscere meglio il proprio corpo, in modo da comunicare eventuali sensazioni allarmanti. C’è poi un lungo discorso da fare sul consenso. «Molte persone non si rendono conto di quanto si troveranno effettivamente in difficoltà nel dire cosa vogliono o non vogliono in una situazione simile. Non sanno quanto lavoro psicologico e mentale bisogna fare», dice Alessandro Uch, un altro dei fondatori di WhyKnot.
Anche Enis Trevisi, il fondatore dello Shibari Loft di Treviso, racconta che i loro corsi base sono strutturati in modo da porre molta attenzione sul momento della negoziazione e della comunicazione tra le parti, «su come gestire una persona, a livello fisico ma anche interpersonale». «Parliamo anche di come provocare sensazioni, cioè di come una persona può reagire quando viene legata. E diamo molto spazio alla parte di ascolto e di interazione con i bottom. Man mano che si va avanti, poi, si comincia a parlare di tecnica in modo molto più specifico».
Trevisi, che fa parte della comunità BDSM da più di vent’anni, dice che la moltiplicazione di spazi e di lezioni che permettono di avvicinarsi in sicurezza a queste pratiche è molto importante, perché la comunità stessa può essere «un po’ un postaccio»: «alcune delle persone che ne fanno parte sono piuttosto problematiche, quindi è importante diffondere una forte cultura del consenso. Ma le nuove generazioni mi stanno facendo ben sperare: vedo che c’è molta più consapevolezza, conoscenza, desiderio di imparare prima di lanciarsi».
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