Chi guadagna cosa dall’accordo tra Stati Uniti e Ucraina sulle risorse minerarie
È stato firmato questa settimana, dopo mesi di negoziati: è un po' più favorevole all'Ucraina rispetto alle bozze passate, ma manca una cosa fondamentale

L’accordo firmato mercoledì da Ucraina e Stati Uniti sull’uso delle risorse nel sottosuolo ucraino è un po’ più favorevole agli ucraini rispetto alle bozze che erano state discusse nei mesi precedenti.
Le prime versioni dell’accordo, che risalgono a febbraio e marzo, erano sbilanciate in misura enorme a favore degli Stati Uniti. A febbraio il presidente statunitense Donald Trump aveva detto di volere dall’Ucraina 500 miliardi di dollari – che poi erano scesi a 350 nelle dichiarazioni successive – come pagamento per gli aiuti militari statunitensi ricevuti dagli ucraini dal febbraio del 2022, ossia dall’inizio dell’invasione russa su larga scala. Trump considerava tutti gli aiuti militari inviati dagli Stati Uniti come un debito gigantesco, che gli ucraini avrebbero dovuto ripagare.
Secondo Trump l’Ucraina avrebbe dovuto farlo usando il denaro ottenuto dalla vendita dei minerali estratti dal proprio sottosuolo. Inoltre Trump aveva aggiunto questa clausola: per ogni dollaro di aiuti statunitensi all’Ucraina, gli ucraini ne avrebbero dovuti restituire due.
Se non facessimo così, aveva dichiarato Trump, sembreremmo degli stupidi, perché avremmo dato all’Ucraina molti aiuti militari senza ricevere nulla in cambio. In realtà gli Stati Uniti non hanno mai dato 500 miliardi di dollari in aiuti militari all’Ucraina: stime affidabili dicono che il valore per adesso ammonta a 114 miliardi di dollari.

Trump e Zelensky a settembre del 2024 (AP Photo/Julia Demaree Nikhinson)
Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky aveva respinto quella bozza di accordo, dicendo che avrebbe pesato sulle prossime dieci generazioni di ucraini. Aveva aggiunto che accettare sarebbe stato come mettere in vendita l’Ucraina. Inoltre aveva sostenuto che gli aiuti militari americani non erano da considerarsi un debito contratto dall’Ucraina, ma erano il risultato di accordi fatti con la precedente amministrazione statunitense (quella di Joe Biden), quindi quando ancora non c’era Trump. Trump aveva risposto definendo Zelensky «un dittatore».
Nell’accordo firmato mercoledì non si parla più di quel debito. Il principio sostenuto da Trump, quindi che tutto il materiale bellico inviato negli ultimi tre anni dagli Stati Uniti all’Ucraina sia da considerare un debito da pagare, non c’è più.
L’accordo stabilisce che sarà creato un fondo comune, gestito da Ucraina e Stati Uniti. A decidere che cosa sfruttare, dove e come farlo saranno gli ucraini, mentre gli statunitensi avranno un diritto di precedenza per partecipare alla vendita delle licenze e agli accordi di estrazione. Nel fondo comune confluiranno metà dei soldi ottenuti dall’Ucraina dai giacimenti di minerali e gas e dai pozzi di petrolio che saranno aperti in futuro, non di quelli già in funzione.
Gli ucraini useranno i soldi che metteranno nel fondo anche per ripagare le armi degli Stati Uniti, non quelle ricevute in passato ma quelle che arriveranno in Ucraina dalla firma dell’accordo in avanti. In questo modo si assicurano che gli Stati Uniti continueranno a inviare armi, soprattutto i sistemi di difesa aerea che proteggono le città dai bombardamenti russi, e l’amministrazione Trump potrà dire che aiutare l’Ucraina è un’impresa redditizia per gli americani.

Un uomo controlla i lavori di estrazione da una miniera di limenite, nella regione ucraina di Kirovohrad (AP Photo/Efrem Lukatsky)
Lo sfruttamento dei potenziali giacimenti ucraini menzionati dall’accordo è un’impresa spostata in un futuro ipotetico: alcuni si trovano nel territorio oggi controllato dai soldati russi, di altri non si conoscono bene le potenzialità, per tutti c’è da fare un lungo lavoro di ricerca che richiede investimenti corposi. Gli statunitensi potrebbero dare un aiuto fondamentale agli ucraini per trovare, finanziare e rendere sfruttabili giacimenti che ancora non esistono.
È probabile che le aziende statunitensi vogliano aspettare che in Ucraina ci sia una pace stabile prima di fare gli investimenti costosi che servono per sviluppare progetti minerari all’estero. Questa è la seconda grande differenza con le richieste di Trump a febbraio: si parla dello sfruttamento di risorse ucraine che saranno scoperte in futuro, non di quelle presenti.
Una terza differenza è che l’accordo firmato non menziona più, come voleva Trump, il controllo statunitense dei porti e di almeno un gasdotto ucraino. Tutte le infrastrutture del settore minerario e dell’energia restano in mano agli ucraini, così come tutti i diritti sul sottosuolo.
L’idea di proporre a Trump un accordo sui metalli rari dell’Ucraina era stata degli ucraini, perché si erano resi conto che per tenere il presidente statunitense dalla loro parte era meglio fare leva sulla sua natura di uomo d’affari, che vede in ogni cosa un aspetto transazionale, che quindi risponde alla domanda: “Che cosa ci guadagno?”.

L’incontro tra Trump e Zelensky alla Casa Bianca, a fine febbraio (AP Photo/Mstyslav Chernov)
Zelensky ne aveva parlato a Trump nel settembre del 2024 a New York. L’idea però si era ritorta contro l’Ucraina, perché Trump aveva cominciato a fare richieste esagerate, che gli ucraini non possono soddisfare. Il Financial Times ha scritto che quando il segretario al Tesoro statunitense Scott Bessent era andato a Kiev a presentare i termini dell’accordo, Zelensky gli aveva urlato contro.
L’attrito era cresciuto fino alla visita disastrosa di Zelensky alla Casa Bianca a fine febbraio, finita in un litigio pubblico con Trump e con il suo vice J.D. Vance. Poi c’era stato un lavorio diplomatico di riconciliazione, culminato in un incontro tra Trump e Zelensky nella basilica di San Pietro, a Roma, durante i funerali di papa Francesco.
L’accordo non offre agli ucraini garanzie di sicurezza, cosa che era la loro domanda principale fin dalle prime bozze, ma limitano le pretese dell’amministrazione statunitense. Trump d’ora in poi potrà dire che agli Stati Uniti conviene inviare armi all’Ucraina. Mark Galeotti, attento osservatore della guerra russo-ucraina, ha scritto sullo Spectator che «Kiev ha qualche motivo per essere soddisfatta di quello che considera meno un accordo economico e più un necessario atto di sottomissione performativa per mantenere Donald Trump impegnato nella sua causa». E in fondo, considerato che i giacimenti minerari devono ancora essere trovati e sfruttati, «Kiev ha ceduto una quota del cinquanta per cento di risorse fantasy» per avere il sostegno del presidente degli Stati Uniti.



