La chiusura di un centro culturale islamico a Mestre, e le prevedibili contestazioni
Il sindaco dice che il posto non è adatto alla preghiera, com'era già successo in altre città: la comunità bangladese protesta da giorni

A Mestre, la città sulla terraferma nel comune di Venezia, è in corso da giorni una protesta della comunità bangladese per via della chiusura di un centro culturale islamico che era utilizzato come luogo di preghiera. Il centro era stato allestito in un ex supermercato, ma una recente sentenza del Consiglio di Stato, tribunale competente per la pubblica amministrazione, ne ha ordinato la chiusura stabilendo che non è a norma dal punto di vista urbanistico, confermando una precedente decisione della giunta di centrodestra del sindaco Luigi Brugnaro.
Come in altre situazioni simili, la questione è diventata un caso: la comunità bangladese ha accusato il comune di Venezia di razzismo, attaccato il sindaco e scritto anche al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, mentre il sindaco sostiene di aver semplicemente applicato le regole. Nei prossimi giorni è in programma una manifestazione e la comunità ha già detto di voler fare ricorso in Cassazione.
A Mestre la vicenda va avanti da un po’: è iniziata due anni fa, nel 2023, quando un gruppo di circa 500 persone bangladesi riunite in un’associazione, chiamata Ittihad, ha preso in affitto uno spazio all’interno di un ex supermercato Pam in via Piave, a Mestre, e ne ha fatto un centro culturale islamico. Poco dopo l’associazione ha allestito all’interno anche lo spazio per pregare: a maggio del 2023 il comune di Venezia ha imposto all’associazione di smantellare il centro, stabilendo che dal punto di vista urbanistico quegli spazi fossero destinati a un utilizzo commerciale e che quindi l’associazione dovesse ripristinare quel tipo di utilizzo.
Il comune aveva chiesto la chiusura del centro perché non era stata fatta la procedura per cambiare la destinazione d’uso di un locale, in questo caso da commerciale a luogo di culto, come previsto dalle norme sia nazionali che regionali.
La situazione di Mestre non è nuova. Una delle più discusse era avvenuta l’anno scorso a Monfalcone, in Friuli Venezia Giulia, quando un’ordinanza comunale aveva vietato la preghiera nei due centri culturali islamici della città. L’ordinanza era stata emessa nell’ambito di un più ampio scontro che l’ex sindaca leghista della città, Anna Maria Cisint, aveva portato avanti per anni con la comunità bangladese di religione musulmana: in quel caso anche Cisint aveva motivato la propria decisione con ragioni di regolamento urbanistico.
Anche nella stessa Mestre c’era stato un altro caso simile, nel 2017: era stato chiuso un centro culturale islamico in via Fogazzaro, anche in quel caso utilizzato come luogo di preghiera quando la sua destinazione d’uso era commerciale.
In tutti questi casi le polemiche e tensioni che originano dagli scontri tra le amministrazioni comunali e le comunità religiose vengono raccontate come incentrate sulla “chiusura di moschee”: in realtà non si parla di moschee (in Italia ce ne sono pochissime) ma di centri culturali in cui tra le altre cose si prega. A Mestre ci sono in tutto cinque centri culturali di questo genere.
Nel frattempo, anche in risposta a pressioni esercitate dall’opposizione, il sindaco di Venezia Brugnaro ha detto di sostenere il progetto di realizzare un luogo di culto a norma in via Giustizia, a poco più di due chilometri da via Piave. Per farlo bisognerebbe ristrutturare un edificio in disuso e in condizioni di degrado. Al momento non ci sono stime sui tempi di questa ristrutturazione.
A Mestre, dopo l’ordinanza del comune, l’associazione Ittihad fece ricorso al Tribunale amministrativo regionale (TAR) del Veneto, che aveva inizialmente sospeso l’ordinanza del sindaco per poi decidere di respingere il ricorso dell’associazione, che a quel punto ha fatto nuovamente ricorso al Consiglio di Stato, l’organo di secondo grado della giustizia amministrativa a cui si può fare appello contro le sentenze dei TAR.
La sentenza del Consiglio di Stato è stata emessa a inizio aprile, e ha confermato la decisione del TAR e del sindaco Brugnaro. Il Consiglio di Stato ha ribadito che la libertà di culto è un diritto riconosciuto sia dalla Costituzione italiana che da convenzioni internazionali, ma ha comunque negato il ricorso per varie ragioni.
Anzitutto il fatto che la legge regionale del Veneto relativa ad alcune norme urbanistiche ed edilizie (la 12 del 2016) stabilisce che i luoghi di culto devono avere alcune caratteristiche e requisiti, tra cui buoni collegamenti stradali, parcheggi pubblici, accessibilità per le persone disabili e servizi igienici. La stessa legge stabilisce che il compito di individuare spazi adatti alla realizzazione dei luoghi di culto debba essere degli enti territoriali locali, quindi per esempio del comune, e che fino a quando non sia stato trovato un accordo le comunità religiose debbano stipulare delle convenzioni col comune per allestire i propri spazi in aree specifiche.
Il centro culturale islamico di via Piave non ha alcune di queste caratteristiche, come i parcheggi: intervistato dalla Nuova Venezia Abdullah Samrat, portavoce della comunità islamica bangladese di via Piave, ha definito il requisito dei parcheggi insensato, visto che chi frequenta il centro generalmente non ha automobili e si muove in bici.
La comunità contesta anche il fatto che, sempre secondo la legge regionale, l’area in cui potrebbe allestire il proprio spazio di culto in attesa di stipulare la convenzione si trova all’altezza del sobborgo di Tessera, vicino all’aeroporto e a quasi dieci chilometri di distanza: secondo Samrat è una distanza non percorribile dalle moltissime persone che frequentano il centro, che invece è in città, soprattutto per chi volesse pregare cinque volte al giorno come prevede la religione musulmana.
In altre parole, secondo la comunità bangladese le norme contenute nella legge regionale del Veneto che regolamenta la costruzione dei luoghi di culto sono assurde, non aderenti alle abitudini e necessità di chi prega, e in quanto tali andrebbero modificate. L’associazione Ittihad contesta inoltre il fatto che la chiusura del centro culturale islamico priverebbe Mestre di un luogo che offre servizi molto utili dal punto di vista sociale a molte persone, come corsi di lingua o assistenza per pratiche burocratiche di vario tipo.
Nella lettera inviata al presidente Mattarella, l’associazione ha utilizzato il caso di Mestre per esprimere forti preoccupazioni sulla possibile chiusura degli altri centri culturali allestiti in altre zone, magari più periferiche, e in modi simili.
Dopo la sentenza del Consiglio di Stato l’associazione Ittihad aveva indetto una manifestazione per il 25 aprile, poi rimandata per il maltempo. Dovrebbe comunque essere riorganizzata prossimamente. Sempre il 25 aprile il portavoce dell’associazione Ittihad Samrat ha condiviso su Facebook un post con un’immagine del sindaco Brugnaro trasformato in un maiale in giacca e cravatta. L’immagine era accompagnata da un testo tratto dal romanzo La fattoria degli animali di George Orwell che accomunava i politici ai maiali.
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